username: password: dati dimenticati?   |   crea nuovo account

Racconti del mistero

Pagine: 1234... ultimatutte

Le sette solitudini

"Perché la lampada si spense?
La coprii con la mano,
per ripararla dal vento,
ecco perché si spense...
Perché il ruscello s'inaridì?
Lo sbarrai con una diga,
per averlo solo per me:
ecco perché s'inaridì...

E sia quel che sia non dipende da me
E sia quel che sia non dipende più da me."

L'esecuzione della prima strofa e del ritornello mi avevano stregato.
L'artista di strada suonava quella meravigliosa canzone per un distratto pubblico di quattro passanti che andavano e venivano, gettando qualche monetina dentro la custodia della sua chitarra.
Sembrava l'uomo più povero del mondo e nello stesso tempo posso dire che era un Re: la sua schiena era dritta come quella di un monarca sul trono e il suo sguardo sembrava quello di un capitano pirata all'arrembaggio... e quella musica, quei delicati arpeggi ad accompagnare quei versi stupendi...

"Perché il fiore appassì?
Con ansioso amore
Lo stinsi al petto
Ecco perché, il fiore appassì.
Perché la corda dell'arpa si spezzò?
Tentai di trarne una nota.
Al di là delle sue forze:
ecco perché si spezzò.

E sia quel che sia non dipende da me
E sia quel che sia non dipende più da me."

Terminata la canzone e dopo aver raccolto qualche applauso sgangherato e pochi spiccioli, il chitarrista clochard stava per andarsene, quando in preda a un misterioso desiderio chiesi di potergli parlare:
- Umm... fanno cinquanta euro, amico, questa è la mia tariffa...
- Cinquanta euro? Accidenti, sei caro quanto sei bravo!
- Non l'ho inventato io questo mondo, amico.
Dalle nostre parti conta solo quello che può essere comprato o venduto.
Se tu non paghi per l'opera di un'artista, quella non vale niente, e viene buttata nella spazzatura, e spesso, il suo autore insieme alla sua opera.
Ripeto, non le ho stabilite io queste regole.
Senza ulteriori obiezioni, mi sfilai dal portafoglio cinquanta euro e gliele misi in mano all'istante.
- Bene, andiamo in quel bar a bere un caffè, offri tu ovviament

[continua a leggere...]

   1 commenti     di: Mauro Moscone


L'ULTIMO GOCCIO

Franky sedeva sulla sua comoda poltrona con un bicchierino di whisky in mano ed un bel sigaro cubano da assaporare pronto sul tavolino. Stava aspettando una persona.
Il camino era acceso, le fiamme sembravano danzare sulla legna come ballerine attraenti intenzionate a suscitare grande piacere e godimento. La luce della lampada da lettura illuminava il suo volto, quel volto che aveva sghignazzato tante volte di fronte alla vita ed ora era pronto a farsi l'ultima risata perchè “chi ride bene, ride ultimo!”
A parte quella fioca luce, il resto della stanza era immerso nell'oscurità, fuori faceva freddo, il vento batteva forte sulla finestra. Franky adorava gustarsi un buon bicchiere di whisky davanti al camino mentre imperversava una tempesta, era un modo per prendersi gioco del tempo, quel tempo dittatore che ti obbliga a prendere l'ombrello se piove e ad essergli grato se splende il Sole. Franky invece era diverso, Franky non voleva essere comandato da nessuno, Franky comandava e gli altri dovevano obbedirlo.
Franky non aveva amici, ma non aveva neanche nemici perchè prendeva le contromisure adeguate. Fare il suo mestiere era difficile, di nemici ne hai a migliaia, puoi trovarti contro i tuoi stessi fratelli, il tuo stesso sangue. Ma Franky non aveva né amici né fratelli, Franky non aveva genitori, Franky non aveva mogli né figli, Franky era solo.
Franky sapeva che gli affetti erano sinonimo di debolezza, lui invece doveva essere duro, doveva essere il “duro” e lo era stato per tanto tempo, forse troppo tempo, quel tempo che ora si era preso gioco di lui. Sì, proprio così, ora che lo vedevano debole e malconcio si sarebbero presi tutti quanti gioco di lui. “La vita è dura caro Franky!” pensava “E tu hai cercato di renderla più leggera possibile, pur sapendo di stare in equilibrio sopra un filo... vecchio temerario, te ne sei accorto solo adesso!”
In quella stanza immersa nell'oscurità solo il rumore del vento che sb

[continua a leggere...]



Nel lago

-Dove sono? Sono in riva al lago, non mi pareva di dovere qui...
Poi guardai e capii.
[...]È da una settimana che mi trovo qui, non mangio, non bevo e non dormo, e non riesco a capire cosa devo cercare, cosa ho perso, cosa non ho fatto.
Poi ricordai; non avevo salutato.
Con l'animo in pace mi diressi verso casa, arrivato li scrissi una lettera alla famiglia.
Poi tornai al lago.
-Maledetti quelli che mi hanno buttato in questo lago!
Detto questo scesi sul fondo del lago.
Mi distesi su quello che ero.
E io, fantasma, scomparvi.

   2 commenti     di: Andrea


San Giorgio- secondo capitolo

L’alba giunse molto rapidamente quel giorno e Giorgio era sveglio già da un paio di ore.
“Non è ancora tempo di incamminarsi, visto che il cavallo è molto stanco e la gente sta ancora dormendo” si disse, così aspettò ancora qualche momento prima di riprendere la sua marcia verso il compimento della missione.
Già, la missione a cui era stato chiamato era la più singolare che gli fosse mai stata affidata.
Fino a quel giorno, ciò che aveva dovuto affrontare rientrava, in una maniera o nell’altra, nell’ordine di imprese fattibile per qualsiasi uomo valoroso, ma oggi era chiamato ad un’impresa che aveva dell’inverosimile.
Pareva infatti che, da molto tempo, nella regione in cui si stava dirigendo, una strana creatura facesse stragi di vittime, distruggesse campi e pretendesse vergini in sacrificio.
Un Drago, dicevano alcuni, per altri una Manticora, secondo altri ancora solo una farsa organizzata da un gruppo di briganti, infine per i più disillusi, solo una diceria popolare per mascherare con l’assurdo l’incapacità di pagare i tributi al Sovrano.
Il compito di Giorgio era proprio quello di vagliare la fondatezza di queste voci e, qualora fosse stato necessario, occuparsi di risolvere la situazione, in qualunque modo si fosse presentata.
Erano le prime luci del mattino quando Giorgio, avvicinatosi ad uno specchio d’acqua, cominciò a dedicarsi alle sue abluzioni mattutine.
Non che amasse particolarmente l’acqua e il lavarsi, ma ciò era necessario per risvegliare dal torpore notturno i muscoli, rendere reattivi gli occhi e rinfrescare la pelle dall’incipiente calura che ormai stava aumentando, facendo presagire un giorno più caldo addirittura di quello precedente.
Mentre si immergeva nel piccolo stagno e detergeva le sue braccia, non perdeva mai di vista il cavallo ma soprattutto le armi e l’armatura di metallo scuro. Era quella infatti una situazione propizia per un gruppo di briganti, non solo per derubarlo di tutto, ma pe

[continua a leggere...]



Krestos I

PRIMA LUNA.
Il mio nome è Krestos.
Nell'ombra sono cresciuta e nell'ombra vivo.
Mai nacqui, perché chi mi mise al mondo mi uccise.
Io sono morte. E come la morte non ho ricordi. Né preferenze.
Delle mille piccole persone che brulicano in questo piccolo mondo, io conosco il tumultuare del piccolo cuore.
Lo spengo. E osservo i lineamenti di quei volti pietrificarsi.

Nell'Anno Domini 1543, in una tetra mattinata di gennaio, nella via principale del paesino di Greys, il trambusto s'arrestò.
- Pentitevi!! - urlò una voce sovrastando il frastuono. E quell'appello sembrava celare un non so che di così terribile e apocalittico, che le massaie rimasero con le gonnelle a mezz'aria e l'espressione affaccendata stampata in volto, i mocciosetti con gli occhioni spalancati e le palle di fango a sciogliersi fra le mani.
- Pentiiiteviiiiii!!- tuonò ancora.
I bottegai si affacciarono sorpresi dalla imposte.
- Pentiitevi, perché presto sarà troppo tardii!!
Gli abitanti di Greys ci misero qualche secondo a realizzare che era alquanto impossibile che l'anatema fosse scaturito dal nulla.
- Presto accadranno cose terribiliiii!!
Basiti, guardarono un vecchio avvolto in un saio bisunto e incrostato della melma fresca arrancare nella piazza, prendere posizione al suo centro e, volti gli occhi al cielo, ricominciare il vaticinio.
- Presto, molto presto!!
Agli strilloni del genere, avevano fatto il callo. Centinaia di frati d'ogni risma, col cordone degli inquisitori o la spada dei monaci guerrieri, li visitavano portando l'annuncio dell'imminente fine dei tempi e, Di conseguenza, l'importanza di giungere mondi alle porte del Signore. Attraverso il logorante digiuno o lo straziante cilicio, messe e oboli indistintamente.
Quando quegli uomini si presentavano a Greys, con i loro sguardi demoniaci rivolti alla pel di carota moglie del fabbro, e i sinistri borbottii mentre in disparte osservavano i fedeli alla funzione, per giorni la vita lì sembrava affie

[continua a leggere...]

   1 commenti     di: myatyc myatyc


Dry Hands

Io e i miei genitori vivemmo a Rovigo, piccola città del Basso Veneto, in una specie di bolla, un nostro mondo a parte in cui la religione non aveva nessun valore e le bestemmie erano una salutare valvola di sfogo. Ancora non riesco a calcolare quanto questo abbia avuto un'influenza su di me: in fondo anche io nacqui con le risposte già pronte, come il figlio di qualsiasi integralista. Il problema è che ero un bambino con idee (inculcate a forza) da adulto: il mio essere bambino, e quindi facilmente ingannabile e credulo, cozzava inesorabilmente con il materialismo che mi ero trovato tra capo e collo, senza scelta.
L'assenza di un conflitto mi rese immaturo fino ai 16 anni, anno in cui ebbi la mia prima, breve, crisi mistica.
Io e la mia famiglia di atei eravamo a cena da amici di famiglia, estremamente cattolici: se avessimo vissuto sotto lo stesso tetto, anche solo per una settimana, avremmo scritto abbastanza materiale per una sit-com.
In quanto padroni di casa, era loro compito dirigere la conversazione. La moglie si lanciò in un appassionato resoconto del loro pellegrinaggio a Lourdes, che raggiunse il suo apice alla descrizione di una particolare fontana.
E quindi ci siamo lavati le mani nell'acqua di questa fontana, e poi ho ripreso le mani da questa fontana, ed erano completamente asciutte! Neanche una goccia d'acqua, vero caro? -
Trattenni il mio fiato in infantile stupore. Mi passò davanti la mia vita da scettico, e pensai con rabbia “ Mi hanno lasciato fuori dal mondo reale tutto questo tempo? I miracoli esistono davvero! “
Mi girai a destra per vedere le reazioni dei miei genitori. Mia madre sembrava stupita come me, ma lo imputai più alla sua educazione cattolica e alla sua fascinazione per il soprannaturale; mio padre invece stava ponderando, tra il riflessivo e il trionfale. Poi, con tono monocorde, disse:
Non è acqua, è un prodotto di laboratorio. Lo usano nei musei per spegnere gli incendi senza bagnare i quadri. -
Ci fu un

[continua a leggere...]

   6 commenti     di: Matteo Ferrazzi


Fedor

C’era un gran silenzio in via Solfoponte, una delle tante viuzze spente e addormentate della città. La nebbia fitta non faceva vedere niente, soltanto qualche luce offuscata di alcuni lampioni alti e freddi davano speranza di veduta.
Il rumore pesante di una carrozza trainato da un paio di cavalli ruppe il silenzio circostante. La carrozza si dirigeva alla Vecchia Villa, in fondo alla via. Dopo parecchi anni i grossi cancelli della reggia si stavano riaprendo, il loro cigolio grave ne era la prova. La carrozza entrò, in cancelli si chiusero e il silenzio si riappoggiò delicatamente sulla metropoli.

La mattina seguente riprese ad esserci il solito trambusto caotico; i mercatini posti negli angoli delle strade, i nobili signori pronti ai loro affari importanti, i negozi graziosi e la gente davanti a ogni tipo di bancarella.
Un ragazzo tra tanti stava andando a lavorare, Fedor. Un tipo facilmente curioso, poco sfacciato, piuttosto basso e con una capigliatura sempre scompigliata. Non si imponeva molto fisicamente, ma aveva una qualità che non tutti i giovani della sua età possedevano, l’educazione; la galanteria che poneva verso le signore e la serietà che mostrava sul lavoro lo contraddistinguevano. Per non parlare poi delle innumerevoli volte che aiutava le vecchiette a portare sacchi pesanti, si un’educazione esemplare.
Stava andando al “Boccale D’oro” una locanda tragicamente sporca, straboccante di ubriaconi e generose ragazze: al centro dell’osteria un lampadario, a dir poco sporco, tanto che le candele che vi erano sopra non si vedevano nemmeno per la strato di polvere. Per non parlare poi del pianoforte abbandonato nell’angolo più remoto dell’osteria che nessuno non usava ormai da anni, ornato da cocci di vetro e ragnatele. Il pavimento brulicava di ratti e ragni disgustosi ormai abituati alla clientela altrettanto disgustosa.
Squallida a dirsi, e anche a lavorarci. Ma lì ormai conosceva tutto e tutti, e si era affezionato alla

[continua a leggere...]




Pagine: 1234... ultimatutte



Cerca tra le opere

La pagina riporta i titoli delle opere presenti nella categoria Racconti del mistero.