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Racconti del mistero

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La linea 5

Occupava sempre lo stesso seggiolino della linea 5, quella dove non si paga; non si paga perche' non c'e' il fattorino, scendeva sempre alla medesima fermata, Kaisergracht, e si perdeva per il canale omonimo con il suo cammino incerto, un avanzare scordinato.
Un giorno decisi di seguirlo, non era facile pedinarlo perche' la sua camminata era talmente lenta che ad un certo punto mi tocco' superarlo, nel farlo urtai leggermente la sua spalla, un forte formicolio mi invase il corpo, mi girai improvvisamente, impaurito, e finalmente riusci' a vedere i suoi occhi, non c'erano.
Affrettai il passo, desideravo solo allontanarmi più possibile da questo individuo, iniziai a correre, superai canali, strade, prati, boschi, torrenti, nazioni intere, arrivai alla fine del mondo, e lui mi aspettava li'.
Entrammo insieme sulla linea 5 e non pagammo il biglietto, lui sul suo seggiolino io al mio posto di sempre, scendemmo in Kaisergracht e un individuo ci segui', ci supero' e urto' la mia spalla, si giro' improvvisamente indietro e vidi la sua faccia terrorizzata, inizio' a correre, supero' canali, strade, prati, boschi, torrenti, nazioni intere, arrivo' alla fine del mondo, e noi lo aspettavamo li'.

   13 commenti     di: Isaia Kwick


Che cosa cazzo sto a fare sopra un ultraleggero a motore?

Per sfuggire al senso di desolazione che m'ispira la vista delle vite assurde dei conigli antropoidi, accetto l'invito di un mio amico, pilota di ultraleggeri a motore.
Salgo su una specie di trabiccolo fatto di lega di carbonio e di kevlar e decolliamo verso le nuvole, sopra le deprimenti conigliere.
Dall'alto vedo i roditori a due gambe intenti a scavarsi le loro profondissime buche.
Il mio folle sodale vira e urla come un pazzo! Woooommm! Saluta il sole e manda baci alle nuvole... è fuori come una notte all'aperto.
Sapete, è un'ottimista, uno di quelli che crepano intossicati dal monossido di carbonio e li trovano con un bel sorrisino ebete, stampato su una sana faccia rosa da cadavere consumista prematuro.
Personalmente, la sua euforia, le turbolenze, che squassano 'sto ferrovecchio volante, le virate pazze e tutto questo sentirsi sballonzolati in aria e precari mi fa venire il vomito.
Bluuurrrpppp!
Giù un bel chilo di vomito in allegria ottimistica!
Tazio - questo è l'improbabile nome del mio amico pilota di serie zeta - mi urla in faccia:
- Tutto bene? Ti stai cagando addosso, eh?
Replico gridando a mia volta, e un rivolo del mio vomito lo centra nell'occhio destro protetto dall'occhiale scuro.
- Una volta che uno è nato in Italia, è tutto un continuo cagarsi addosso, Tazio!
Come il solito Tazio, non ascolta nemmeno una sillaba di quello che gli ho detto - infatti, è per questo che siamo amici - e continua a gridare sgasando sugli orecchioni dei conigli antropomorfi:
- Abbiate gioia, leprotti! Fuori dalle tane! Ahahahahah!

Osservo la luna mattutina sopra le nostre teste e medito sulla sua parte in ombra.
Noi vediamo solo ed esclusivamente una sola faccia della Luna, quella luminosa.
Questo succede perché il tempo che la Luna impiega per ruotare sul suo asse è lo stesso di quello che ci mette per girare intorno al pianeta Terra, con l'incarico di satellite.
Questo è il fascino arcano della Luna: ha una parte che rimane sempre un ogg

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   1 commenti     di: Mauro Moscone


Lo sconosciuto, parte 1

- Solo Beemoth, prego - disse lo sconosciuto quando il consièrge gli chiese il nome.
Lui non obiettò. Scrisse il nome, poi girò il registro al nuovo cliente perché firmasse.
- Anna, aiuta il signore col bagaglio - da dietro il bancone spuntò una bambina bionda di non più di tredici anni.
Il nuovo arrivato sorrise sotto la tesa del suo cappello nero: - Non si preoccupi, ho solo quella - disse accennando alla valigetta in pelle nera poggiata accanto al bancone.
Il consièrge, il padre di Anna, si strinse nelle spalle: - Come preferisce -
Gli porse la chiave, che lo sconosciuto prese con una mano guantata di pelle nera. Il padre di Anna se ne dimenticò subito, ma sul momento gli sembrò di percepire un netto senso di repulsione mentre gli dava la chiave. Anche se le loro dita si erano appena sfiorate, fu come se avesse ricevuto una spiacevole scossa elettrica, e, pur non ricordandosi assolutamente quando fosse cominciato, passò tutto il giorno con uno spiacevole formicolio alla mano, così fastidioso che continuava a massaggiarsela, soprappensiero, senza però saperne individuare il momento d'origine.
Ritirando la mano troppo di scatto disse: - La sua stanza è in fondo sulla sinistra, numero diciannove. Come ha chiesto lei, le due accanto sono libere -
L'uomo sorrise scoprendo denti stranamente puntuti - almeno così sembrò ad Anna, che ancora lo spiava da dietro il bancone - ma il suo tono, benché avesse una voce metallica, sembrò assolutamente sincero e cordiale: - Grazie mille, ci vediamo domattina allora -
Si girò in uno svolazzo del lungo cappotto nero.
Guardandolo, Anna non riuscì a capire dove finisse il suo corpo e dove iniziasse il cappotto. Sotto quel lungo soprabito nero, per quanto si sforzasse, non riusciva a percepire la fisicità dell'ospite, la sua corporeità. Per qualche istante si chiese addirittura se ci fosse un corpo sotto quel cappotto.
Andiamo, hai tredici anni, datti un contegno si disse, lieta di poter utilizzare l

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   1 commenti     di: Francesco Rossi


La pietra filosofale

Napoli, sono circa le dieci del mattino.

È una soleggiata giornata di maggio che con il suo caldo abbraccio, avvolge tutta la città, vicoli compresi e n’esalta la magnificenza, insieme con quella del suo golfo, dove Napoli, con imperturbata bellezza, vi si adagia pigramente, mollemente cullata dal respiro del suo mare.

“Ué, Ciro, stai dinto?” Dice Gennaro con un tono di voce forte, per farsi sentire fin dentro la pizzeria di Ciro, che aveva la serranda abbassata per metà.
“Si Gennà, stò cà!”
“E che stai a fa? Oggi nun è o juorne e ripose?”
Ciro, rispondendo sempre da dentro: “Né Gennà, so’ trasite dinto a pizzeria, pe’ vedé si tutte 'e ccose sò a poste! Aspiette ‘nu pucherille ch’agge fernuto, vuò trasì?” “No Cì, t’aspiette cà, ma fa ampresse ch’ ‘a jurnata è bell’assaie! Nun a vulisse passà tutta annanze a pizzeria toia, né!”
“Uè Gennà, cumme si scucciante, t’agge ditto ch’agge fernute…statte carme nu mumiente!” Poi con voce sommessa: “Maronne, cumm' è agitate, sempre accussì, cumme s’avisse a fa quacche cose d’importante!”
“È ditte quacchecose, Cire?” “ No Gennà, n’agge ditte niente!” E con un filo di voce: “Che scassacazze, stu cristiane!”

I nostri due amici, Gennaro Platone e Ciro Aristotele, che si conoscono da oltre quaranta anni, fin da quando, appena ragazzi, le rispettive famiglie, abitanti nello stesso vicolo, fecero amicizia, da allora non fanno altro che stuzzicarsi a vicenda, si prendono sempre in giro e, la cosa più importante, dibattono spesso sulle cose più diverse, tanto sono compresi dei loro cognomi, dal filosofeggiare su tutto e tutti, con risultati il più delle volte ridicoli, per chi ha la sventura di ascoltare le loro discussioni.
Com’è costume a Napoli, sono stati soprannominati: ”E doie filosofe”. In questa definizione c’è tutta la bonomia e l’ironia tipica dei napoletani. Gennaro è o filosofe che nun fatig

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   5 commenti     di: Sergio Maffucci


La casa fantastica (parte settima)

La casa fantastica (parte Settima)

Il rapporto con mio padre, aveva assunto degli aspetti di complicità: avevamo abbattuto quella barriera che si crea tra un genitore ed un figlio.
Infatti si ripetè per più volte di andare insieme al cinema, macchè! quale cinema!.
Facevamo finta di andare al cinema, in realtà andavamo nel nostro rifugio segreto.
A Mamma e mia sorella Sara, sarebbe venuto un colpo se avessero saputo dell’esistenza di tale struttura sotterranea, tanto, chi gli avrebbe detto qualcosa?
Anche io sono rimasto allo scuro per tanto tempo… se non fosse stato per quella circostanza fortuita della cassapanca.
Ma! ritorniamo al racconto: mio padre mi centellinava poco per volta delle sue ricerche e delle sue scoperte.
Aveva incentrato tutto il suo sapere sul teletrasporto, creando dei software adatti a questo tipo di viaggio.
Un giorno, mi ricordo una domenica primaverile, ma di stagione autunno! Mio padre portò tutta la famiglia, ad una gita fuori porta, visto che noi abitiamo in un posto così ameno, non abbiamo fatto tanta strada per arrivarci.
Mia madre era felicissima nel vedere la famiglia riunita “ cosa rara per uno che ha gli impegni di lavoro come mio padre”.
Mia sorella Sara scorazzava tra gli alberi inseguendo le farfalle, mia madre inseguiva lei per non perderla di vista.
Mio padre facendomi segno con la testa mi dice: Salvo! vieni, ti faccio vedere dove nascono i funghi! là in fondo ci sono gli alberi secchi bruciati dalla lava, guardandomi in faccia ammicca!
Ci incamminiamo per una leggera salita, tutto attorno è sublime, alberi di castagni e betulle che fanno insieme una cornice al canto degli uccellini di bosco, un odore acre si alza dal terreno al calpestio dell’erba fresca, mi distraggo da tanta bellezza: Salvo, là!
Mio padre indica con il dito puntato come una pistola, una radura.
Da lontano, intravedo al centro di quella piccola zona priva di alberi un traliccio, arrivammo fin sotto la struttura metalli

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   1 commenti     di: Carmelo Rannisi


L'autosilo

Il Parco dell’Acquasola è il giardino pubblico più centrale di Genova e gode di una fama sinistra. Durante l’epidemia di peste che colpì la città nell’anno 1657, venne utilizzato come fossa comune per seppellire le vittime del contagio, devastate della terribile malattia. Durante l’ultima guerra, il luogo fu teatro di esecuzioni sommarie. In altri periodi quest’area fu sempre adibita a parco pubblico. I genovesi più datati narrano che, in alcune notti tempestose, al passante che incautamente si avventuri ai margini del giardino, giungano i suoni indistinti dei lamenti di coloro che qui morirono e furono seppelliti senza una croce che li confortasse lungo il viaggio oscuro.
Francesco lavorava come geometra in un’Impresa edile ed era stato destinato in quel posto con il compito di dirigere i lavori di costruzione di un silo sotterraneo per la realizzazione di 300 posti auto. Il progetto, pendente da tempo nel limbo delle buone intenzioni a causa del ricorso di alcuni ambientalisti, aveva finalmente trovato uno sbocco, grazie ad un cavillo che aggirava la decisione del Tar di bloccarne la realizzazione. L’Impresa che si era aggiudicata la gara d’appalto avrebbe iniziato subito i lavori, terminandoli nel giro di sei mesi. Per Francesco, che con quell’impiego si guadagnava da vivere dignitosamente, il taglio di qualche albero avrebbe significato ben poca cosa in confronto al futuro beneficio che il silo avrebbe significato per la città e per quei cittadini che ogni giorno si contendevano con i denti i pochi spazi adibiti a parcheggio.
Egidio era un escavatorista con le palle. Guidava la ruspa ed altri mezzi meccanici con grande padronanza e movimentava velocemente metri cubi di materiale con grande profitto per l’Impresa. Era stato affidato ai lavori di scavo per la realizzazione dell’autosilo. Francesco lo conosceva bene e nutriva una grande fiducia nei suoi confronti.
Quella mattina le transenne furono aperte alle sette ed Egidio era s

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   3 commenti     di: Alberto Carbone


La casa fantastica (parte terza)

... mio padre dall’eccitazione non ricordò che per entrare al piano terra, bisognava salire tre gradini, in quanto era più sollevata rispetto alla quota del terreno, naturalmente inciampò e tirò dietro tutta la compagnia urtando violentemente la testa contro la porta d’ingresso, cominciò a suonare la sirena dell’antifurto, una serie di faretti si accesero per illuminare la zona dell’intrusione e relativa telecamera di sorveglianza che filmò tutta la scena; dal bernoccolo in testa di mio padre (che urlava come un forsennato), alle risate a crepapelle del resto della truppa.
Mentre mio padre inveiva contro di noi, alterato dal nostro comportamento non consone al suo impegno, io corro nella casetta degli attrezzi sede dell’interruttore generale del quadro elettrico.
Tutto fu riportato alla normalità e la prova antifurto rimandata ( ricordo che al secondo tentativo tutto riuscì alla perfezione, in fondo papà era un bravo elettrotecnico).
Salvo ho visto che vai spesso nella casetta degli attrezzi! Disse mio padre con tono concitato, dentro vi si trovano attrezzi che non devi toccare, ed in special modo la cassapanca! Annuisco al suo sguardo e vado a casa.
Nella mia stanza un turbinio di pensieri…” Salvo non toccare la cassapanca” questa frase rimbalzava nella mia testa come una pallina da ping-pong ; dopo poco tempo mi addormentai.
L’indomani al ritorno da scuola e approfittando che mio padre facesse il turno pomeridiano, mi avvio di corsa nella piccola casa degli attrezzi: Salvo non vieni a mangiare? Mia madre giustamente mi fa notare che sono le 14 passate; tra cinque minuti! Risposi! Mi sentivo attirato da quella cassapanca come una calamita, davanti a me imperiosa e chiusa da una grande catenaccio.
Da sempre fin da piccolo sono stato attratto dalle apparecchiature elettroniche di mio padre, alcune emettevano strani sibili e linee colorate, altre onde che ballavano dentro piccoli televisori, il mio pensiero va sempre alla cassapanca; ch

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   3 commenti     di: Carmelo Rannisi



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