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Racconti del mistero

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La casa fantastica (parte quarta)

Un cunicolo stretto e ad altezza d’uomo si presentava davanti a me, non lontano vedo sulla mia  destra una insenatura, ecco! scoperto l’arcano mistero era il vano che conteneva la caldaia per il riscaldamento. Un pannello con molti pulsanti e luci, sul tetto come dei fori che prelevavano la luce dall’esterno ( non ricordo di aver visto mai sul prato queste prese di luce ).
Appesa ad una parete una tuta di colore bianco con bardature in argento, nell’altra parete uno scaffale con dei ripiani, in uno di questi alcuni caschi tipo motociclista ma con le visiere oscurate, mi giro attorno e guardo indietro come per capire se quella strada l’ho percorsa realmente, o stavo sognando. Lo sconforto stava quasi per prendere il sopravvento, cosa è tutto questo mi chiedevo? non riuscivo ancora a darmi delle risposte, è passata solo mezz’ora ed è come se fosse passato un giorno.
Più non capivo e più la curiosità aumentava, il tunnel proseguiva per altri 10 metri circa, alla fine di questo una scala che portava da qualche parte, ma dove? una porta pone fine alla mia fantasia, provo ad entrare, la porta è aperta.
Davanti a me si presenta uno spettacolo che avevo visto solo nei film di fantascienza, un piccolo vano con al centro uno sgabello, attorno a questo una fitta rete di lampade ed addossato ad una parete un tavolo con un computer portatile, due monitor, cuffie, webcam e tanti cavi che mettevano in comunicazione la cabina con le lampade ed il computer.
Sapevo che mio padre era una mente per l’informatica e l’elettronica, ma tutto quello che avevo visto mi lasciava pensare che sotto c’era qualcosa che andava oltre l’hobbystica ed il passatempo.
Cerco di memorizzare nella mia mente più cose possibili, e ripercorro al contrario tutto il tragitto fatto prima. Risalgo le scale che portavano alla botola ed accosto sopra a questa, la cassapanca.
Esco fuori dalla casetta degli attrezzi e mi avvio nel luogo dove io penso di poter trovare le prese di

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   7 commenti     di: Carmelo Rannisi


In principio è il chaos

C'era una volta...
Forse ci sono ancora delle nonne e delle mamme - se le televisioni non le hanno rimbambite tutte - che comincia così, per raccontare ai propri figli e nipoti l'incanto di una fiaba.

I miei racconti invece vengono dalla notte dei tempi ed io sono la dea Memoria, Mnemosyne.
Le mie storie sono state trasmesse da generazione a generazione e il mio grande orecchio, che tutto vede e tutto ascolta, le ricorda.
Aedi, poeti, musicanti girovaghi le hanno cantate ed io li ho ispirati e li ho ascoltati.
Le loro saghe, le ho impresse tutte nella lamina d'oro della mia Mente.

Allora comincio così:
C'È DA SEMPRE...
Voi contemporanei vi chiedete che cosa c'era, quando ancora non c'era qualcosa, quando non c'era proprio nulla?
Siete interessati solo al Nulla, lo sapete?
Perché tendete sempre a qualcosa fuori di voi, al di là e così rendete il vostro attimo presente un nonnulla.
Non conoscete Afrodite, la gioia.
Non si può conoscere ma solo provare.
Non conoscete l'eterno presente, il momento reso intenso da una decisione, un moto di volontà che sempre ritornerà nell'eterno presente.
Non si può conoscere ma solo sperimentare.

In principio è il Chaos, la potenza dai mille nomi.
Uno di questi nomi è Abisso.
È un vuoto, un vuoto oscuro, dove niente può essere distinto; una notte buia, dove tutte le vacche sono grigie.
È un punto di caduta, di vertigine e confusione, un precipizio senza fine, senza fondo.
Abisso è fauci immense in cui tutto può essere ingoiato e confuso in un'unica oscurità indifferenziata.

Chaos decide di scagliare il suo maglio di fuoco e appare Gaia, la Terra.
Dai recessi segreti dell'Abisso sorge il pianeta Terra.
Chaos ama la diversità e la Terra è il suo contrario.
Gaia non è più una caduta nel buio senza limiti, indefinito, inarrestabile.
Sulla Terra ogni cosa è ben delimitata da orizzonti, visibile, solida, corposa, tangibile.
Gaia è il suolo su cui dei, uomini e animali camminano con si

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   3 commenti     di: Mauro Moscone


Lo strano caso della porta alchemica - conclusione -

Si tolse il soprabito e si versò un whisky poi prese la fotocopia della pergamena forata avuta da Ortis e con una forbicina cominciò ad eliminare le parti scure che nell’originale corrispondevano ai fori, facendo molta attenzione che il taglio non sbordasse. Intanto pensava a dove potesse trovarsi la frase segreta. Gli vennero subito in mente le foto scattate alla porta alchemica, forse era lì che si trovava il messaggio. Le prese dalla borsa e cominciò a provare a sovrapporre la copia forata della pergamena, ma per quante prove facesse sembrava non ottenere alcun risultato. In quello stesso istante bussarono alla porta. Probabilmente era Nora di ritorno dallo shopping.
Non si era sbagliato, infatti anche lei rientrava con le mani occupate da buste e pacchetti.
“Buonasera cara. "disse Howard- Sembrerebbe che tu abbia svaligiato un intero negozio.”
“Ho comperato qualcosa per me e qualche regalo per i nostri amici. Considerando che dovremo passare le feste insieme mi sembra il minimo che potessi fare. A proposito ho informato Silvia dell’invito del dottor Ortis ed ha accettato subito, era veramente felice di questa notizia.”
“Molto bene! "rispose Howard- Ora cosa ne diresti di scendere per la cena?”
Durante la cena il discorso cadde sulle indagini momentaneamente sospese.
“No, -disse Howard- non ho assolutamente intenzione di abbandonare le mie ricerche sul mistero degli Hortis. Purtroppo abbiamo ben poco tempo per trovare la chiave dell’enigma e, devo dire, che siamo ancora in alto mare. Poco fa ho provato a sovrapporre il foglio forato sulle foto della porta ma non vi è alcuna corresponsione.”
“Hai provato a girare il foglio, oppure a capovolgerlo?”
“Ma certo, ho provato tutte le combinazioni possibili ed ora sono certo che dobbiamo cercare altrove…… ma dove?”
“Andiamo per gradi. "riprese Nora concentrandosi- Escludendo le frasi incise sulla porta e dando per scontato che esiste

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Missione mortale

Aveva un sorriso raggiante. Capelli castani mossi e occhi scuri giganti.
Lo incontravo tutti i pomeriggi alla fermata del pullman.
Se ne stava lì con la sua tracolla, e il giornale del Politecnico in mano. Ecco, quella era l'unica informazione che possedevo: sapevo che con molta probabilità era uno studente del Politecnico di Torino.
Quel giorno sembrava agitato. Continuava a fissare l'orologio e a guardarsi in giro.
Avrei voluto avere il coraggio di farmi avanti, ma non ero mai stata intraprendente.
Una volta sull'autobus, presi posto in uno dei sedili davanti; guardai fuori del finestrino. Ero intenta a fissare quel cielo così grigio che prometteva pioggia e conciliava il sonno, quando mi sentii toccare una spalla.
“Scusa? ”
Mi voltai: era lui.
“Sì? ”
“Scusa, puoi dirmi che ore sono? ”
Risi sotto i baffi: ok, era un tipo che ci stava provando. L'orologio ce l'aveva, avevo visto che leggeva l'ora pochi minuti prima di salire sul pullman.
Risposi: “Sono le cinque e mezza. ”
“Grazie. ”
Io sorrisi e di rimando indicai il suo polso: “Cos'ha il tuo che non va? ”
Lui balbettò qualcosa d'incomprensibile. Poi mi tese la mano e si presentò: “Massimo. ”
“Caterina”
“Non vorrei che tu pensassi che sono uno che abborda le ragazze sui pullman... ”
“Oh no! Perché dovrei? ”
Si toccò il capo e commentò. “Ho fatto una figuraccia, vero? ”
Anche se ero maledettamente diffidente, lì per lì mi venne da ridere.
“Non fa niente, tranquillo! ”
Quella fermata caricò un numeroso tot di anziani e di conseguenza mi alzai per lasciargli il posto. Sì, perché se poi non lo fai, s'incazzano e ti guardano male. Tanto vale...
Mi spostai e Massimo mi seguì.
Non so dove trovai il coraggio per domandargli: “Vai al Politecnico? ”
Lui inclinò il viso e socchiuse gli occhi: “Come lo sai? ”
Indicai il giornale che teneva in mano.
Lui seguì il mio sguardo e sorrise.
“Sì, sono un assistente di un

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   6 commenti     di: Roberta P.


Che cosa cazzo sto a fare sopra un ultraleggero a motore?

Per sfuggire al senso di desolazione che m'ispira la vista delle vite assurde dei conigli antropoidi, accetto l'invito di un mio amico, pilota di ultraleggeri a motore.
Salgo su una specie di trabiccolo fatto di lega di carbonio e di kevlar e decolliamo verso le nuvole, sopra le deprimenti conigliere.
Dall'alto vedo i roditori a due gambe intenti a scavarsi le loro profondissime buche.
Il mio folle sodale vira e urla come un pazzo! Woooommm! Saluta il sole e manda baci alle nuvole... è fuori come una notte all'aperto.
Sapete, è un'ottimista, uno di quelli che crepano intossicati dal monossido di carbonio e li trovano con un bel sorrisino ebete, stampato su una sana faccia rosa da cadavere consumista prematuro.
Personalmente, la sua euforia, le turbolenze, che squassano 'sto ferrovecchio volante, le virate pazze e tutto questo sentirsi sballonzolati in aria e precari mi fa venire il vomito.
Bluuurrrpppp!
Giù un bel chilo di vomito in allegria ottimistica!
Tazio - questo è l'improbabile nome del mio amico pilota di serie zeta - mi urla in faccia:
- Tutto bene? Ti stai cagando addosso, eh?
Replico gridando a mia volta, e un rivolo del mio vomito lo centra nell'occhio destro protetto dall'occhiale scuro.
- Una volta che uno è nato in Italia, è tutto un continuo cagarsi addosso, Tazio!
Come il solito Tazio, non ascolta nemmeno una sillaba di quello che gli ho detto - infatti, è per questo che siamo amici - e continua a gridare sgasando sugli orecchioni dei conigli antropomorfi:
- Abbiate gioia, leprotti! Fuori dalle tane! Ahahahahah!

Osservo la luna mattutina sopra le nostre teste e medito sulla sua parte in ombra.
Noi vediamo solo ed esclusivamente una sola faccia della Luna, quella luminosa.
Questo succede perché il tempo che la Luna impiega per ruotare sul suo asse è lo stesso di quello che ci mette per girare intorno al pianeta Terra, con l'incarico di satellite.
Questo è il fascino arcano della Luna: ha una parte che rimane sempre un ogg

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   1 commenti     di: Mauro Moscone


Tosse

Non riusciva ad individuare quale fosse la chiave d’ingresso, troppo simile alle altre del mazzo; o forse la sua vista era troppo annebbiata. Le grosse dita afferrarono una per una le singole chiavi, nella speranza che il tatto lo aiutasse a trovare quella giusta. I riflessi lo rallentavano. Un colpo di tosse gli scosse il petto, seguito da un altro ancor più violento e¿  rumoroso. La respirazione si faceva affannosa, ansimante. Si resse al pomello esterno della porta, sentiva le gambe cedergli e se fosse caduto nessuno lo avrebbe aiutato a rialzarsi. Tentò con una chiave. Non era quella giusta. La infilò bruscamente nella toppa tanto da incastrarla, per fortuna con uno strattone riuscì ad estrarla. Goccioline salate iniziarono ad imperlargli la fronte. Respirava a fatica. Sudava.
E tossiva.
Finalmente la chiave girò, gracchiò nella serratura e, accompagnata da un cigolio sinistro, la porta si aprì dinanzi a lui. Una sciabolata di luce, proveniente dal freddo neon del ballatoio esterno all’abitazione, squarciò il buio dell’ingresso. L’uomo richiuse la porta dietro di sé e l’oscuritÿ  inghiottì di nuovo la stanza.
Tossì.
Avanzò a fatica, reggendo la propria stanchezza sulla spalliera di una vecchia sedia sfondata, appoggiata ad un tavolo al centro della stanza. L’interruttore non funzionava. Ma no, ricordò che la luce l’avevano staccata da un pezzo. L’unico segnale di vita era il suo respiro affannoso, faticoso, stanco. Si trascinò verso il divano dove sprofondò poco dopo.
Tossì.
I colpi di tosse erano come tuoni che squassavano un’atmosfera di morte, di solitudine disastrata, di esistenza che rubava giorni senza senso. Non riusciva a respirare, la tosse lo tramortiva; picchiava duro nella sua testa, gli infuocava la gola. Già , gli infuocava la gola. Forse è per questo che ogni giorno se ne andava in quel lurido bar a consumare qualche goccia di fuoco liquido, malsana estasi, piacere proibito e violento. Quel basta

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Krestos II

SECONDA LUNA.
Nell'anno domini 1543, altri tre cadaveri furono trovati a Greys.
Dalla morte di Marie, la paura aveva ammorbato le case e le strade, trasformando il paese in una ragnatela spoglia di casupole dalle imposte sbarrate e sinistri ornamenti d'aglio; in chiesa i fedeli s'erano centuplicati e le diserzioni alle messe praticamente ridotte a zero, e non si perdeva occasione per riempire la fiaschetta d'acqua santa obbligatoriamente da aspergere tre volte al giorno sulla fronte e davanti all'uscio.
Il pretuncolo era subissato di peccatori da confessare, ma egualmente riservava consigli e benedizioni ai fedeli tremanti, una mano a segnare l'ultimo purificato, l'altra a stringere il crocifisso di legno al collo.
- Non temete nulla. Se pregheremo, Dio è con noi, ci aiuterà.
E Dio li aiutò. Per quattro giorni non vi fu più nulla, nemmeno il fruscio del vento. Anche quello sembrava essersi acquietato nel brulicare di pater noster, ma quella sinistra entità doveva essere troppo affamata per disdegnare il sangue purificato delle pecorelle spaurite. Così l'ultima mattina lo trovarono che giaceva, esattamente come Marie, riverso al suolo, i due fori rossi roventi sul collo marmoreo. Il falegname.
Il cerusico scrollò il capo, incredulo.
Le altre due vittime si susseguirono nello stesso lasso di tempo: il figlioletto del calzolaio, la pel di carota moglie del fabbro. E dinnanzi a quella cespugliosa massa di capelli rossi, gli abitanti di Greys si convinsero definitivamente di essere perduti.
La moglie del calzolaio ancora piangeva, che gennaio finì. E in una di quelle mattine immobili, quando il chiarore dell'alba è ancora opaco e pregno di buio, un'ombra si defilò nel paesello addormentato.
Era domenica, il giorno del Signore. Il pretuncolo ancora russava fra le lenzuola, beandosi di qualche ora di sonno in più prima della solita funzione.
La chiesa era deserta, il Cristo nella navata osservava le pozze di nero ancora tese fra le panch

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   0 commenti     di: myatyc myatyc



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