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Racconti sulla nostalgia

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UN PRETE DI CAMPAGNA

Mi piace pensarti in uno dei tanti vialetti del Paradiso, seduto con il tuo immancabile libro. Poco importa se sono convinto che dopo la morte ci sia il nulla, per te farò un’eccezione.

                                        *    *    *

“È morto Don Antonio.”
“Quanti anni aveva?”
Mentre salgo le scale, sento la voce di mia madre che dice “Novantadue.”
Bella età. Sarei contento di arrivarci, soprattutto nelle sue condizioni.
Si. Bella età. Mentre mi infilo sotto la doccia, continuo a pensare a lui. Non posso dire di provare dolore, tutto ha una fine e la morte di un uomo di novantadue anni può essere considerata quasi normale: ma il pensiero non si ferma, è incredibile come un avvenimento ti porti a rivivere episodi tanto lontani, riprovando le stesse sensazioni, gli stessi sentimenti, le stesse paure.
Don Antonio è stato una figura di grande rilievo nella nostra minuscola comunità, ha saputo essere un riferimento prezioso. Ha svolto la sua missione d uomo di chiesa con garbo, con coerenza, rapportandosi con tutti, senza imposizioni, con grande rispetto. Sacerdote, ma soprattutto persona colta, attenta, inserita nella società. Una discrezione quasi esagerata, tanto da essere spesso scambiata per superficialità, per poco interesse.
Sono molti i ricordi, soprattutto della mia gioventù, legati a lui, alla parrocchia: gli anni da chierichetto, le partitelle nel campetto prima della costruzione dell’asilo, il biliardo. Seduto sotto il portico con l’immancabile libro in mano, fingeva di non vedere quando combinavamo qualche marachella. Ci arrampicavamo per prendere le “mitiche” prugne rosse e quando soddisfatti pensavamo di averla fatta franca, sentivamo il rimprovero per il ramo rotto o per il rischio corso.
Una volta ci sorprese (eravamo io, Carlo, Mauro, Antonio, tutta la banda insomma) con la sigaretta accesa; noi paralizzati dalla vergogna (forse era solo paura che lo r

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   12 commenti     di: Ivan


IL DIO PISCHELLO

Tanto tempo fa trovai una piccola pietra sulla sabbia. Troppo bella, veramente molto molto bella: meraviglioso marmo incantevole, piccola unghia venata di rosa e madreperla.
Mi ritenni più che fortunata ad aver trovato una cosa simile, senza esagerare mi sentivo predestinata per quel sassolino stupendo.
la feci vedere ad una mia compagna e anche lei concordò sul fatto che era bellissimo, eccezionale.
Poi continuammo a raccogliere conchiglie sulla spiaggia.
Le raccogliemmo tutte su un'asciugamano e lo avvolgemmo su se stesso quasi come un sacchetto; hai presente quello dei cartoni animati, quando qualcuno se ne va via di casa? quello appeso ad un bastone? mi ha sempre intrippato un fottio sai?
A volte da piccola mi passava per la testa di voler scappare di casa e, ogni volta, me ne facevo sempre uno con un plaid ed un manico di scopa... poi mi mettevo davanti alla porta e dicevo seria seria: "io me ne vado e non torno più".
Ogni volta, ovviamente, mia madre divertitissima, si sbellicava dalle risa. Questo mi faceva incazzare tantissimo, non mi sentivo presa sul serio:lei, mia madre, non riusciva a capire quanto fosse grave tutto ciò; ma, altre volte, cominciavo a ridere anche io dietro a lei: avevo voglia di fare la pace.

C'era l'asciugamano con la piccola pietra e con tutte le conchiglie dentro, camminammo, camminammo, arrivammo a casa, la srotolammo e la pietrina meravigliosa non c'era più; c'erano solo i poco eleganti gusci di patelle, che in quel momento ci sembrarono brutti come delle polpette, anche se intravedere la madreperla color arcobaleno dentro.
Non lacrime, ma tanta rabbia.
Sono tuttora convinta che me l'abba fottuta quella stronzetta.
Ecco! ho deciso, la prossima volta che la rivedo le chiederò spiegazioni.

"Ridammela"
"che?"
"la pietrolina, quella bellissima che avevo trovato a mare.."
"ma cosa, quando?"
"non far finta di niente. Circa quindici, sedici anni fa tu me l'hai fottuta, piccola stronzetta...
pe

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cap. 3 -In volo-

Avevo lo sguardo perso nel vuoto, pensavo, riflettevo. Sono le 7 e mezzo di una caldissima sera di agosto. Fuori queste mura c’è il mondo, il movimento, la vita, io invece sono fermo, seduto su una sedia. Di fronte a me libri, tanti libri, ho tanto da studiare, ho un esame da preparare, ma non ho voglia. Domani sarà un grande giorno per me, sarà un appuntamento che deciderà le sorti della mia vita. Ci sto lavorando da molto tempo, circa tre mesi, e domani dovrò dare prova delle mie conoscenze. Nonostante tutto, sono ancora seduto con lo sguardo perso nell’infinito dei mie pensieri. I miei genitori sono stati chiari fin dall’inizio, ricordo ancora le parole di mia madre:” se non concludi niente all’università, di certo non vivrai a spese mie”. Quelle parole mi facevano paura, ancora adesso mi capita di risentirle e di ripensarci. Se le cose andranno diverse dal previsto sarò costretto a lavorare, ad organizzarmi una vita, a pagarmi le bollette, ad avere tante responsabilità. Mamma aveva ragione, ultimamente non stavo studiando, ero alla ricerca di distrazioni: donne, divertimento, riposo, nel mio mondo non c’era posto per l’impegno, lo studio. Di certo non avrei potuto continuare a vivere così, alle spalle dei miei genitori, che con tanti sacrifici, hanno sempre cercato di accontentarmi, rendermi felice. Non meritavano tutto questo. L’ avevo dimenticato. La voglia di fuggire dalla solita realtà, dalle solite persone, dal solito ambiente chiuso e ristretto, avevano preso in me il sopravvento, facendomi vedere l’università come un paradiso felice, come il paese dei balocchi. Mi sbagliavo. Avevo fatto male i miei calcoli, sottovalutato la situazione.
-Francescooo è pronta la cena!
Era Gigi, aveva preparato lo sformato di patate. Vado pazzo per la cucina di Gigi ma questa sera non avevo fame. In cucina era tutto pronto per mangiare Gigi e Luca erano seduti in sala, aspettavano con la birra alla mano il fischio di inizio di una important

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Il gabbiano

IL GABBIANO

Mamma, ti ricordi quando da piccola ti dicevo che avrei voluto essere un
gabbiano, si uno di quei gabbiani che noi vedevamo volare sopra il mare durante le nostre passeggiate sulla spiaggia.
Ero affascinata dal loro volteggiare e con il dito ti indicavo quelli che man mano si libravano dagli scogli verso il mare aperto.
Tu sorridevi e mi accarezzavi i capelli, io seguitavo, rassicurata dalla tua
carezza, a guardarli e ad immaginarmi al loro posto chiudendo gli occhi e pensando ai mille riflessi prodotti dal sole sull'acqua del mare che essi
ammiravano.
Pensavo è questo il senso della vita, anche io da grande dovrò librarmi dallo scoglio della mia esistenza verso il mare aperto della vita.
Quando sono diventata grande, lo sai, l'ho fatto e sono andata a vivere da sola la mia vita, lasciando la casa che mi aveva vista nascere spinta dal richiamo del mare della vita.
Poi, lo sai, mi ero illusa di avere trovato l'amore ed in quel momento la
mia casa mi è sembrata la nostra casa.
Questa è la gioia che avevo provata, ma poi quello che avevo pensato fosse l'amore, si è sciolto come neve al sole lasciandomi sola in quella casa che non era più la mia casa.
Il pensiero subito ha rievocato nella mia mente il gabbiano ed ho pensato che anche esso nel suo volo si allontana dal suo nido e che certe volte si spinge per l'anelito di libertà oltre le sue forze raggiungendo un punto di non ritorno dal quale cerca invano di ritornare al suo nido, ma
la lontananza ed il vento spesso contrario lo abbattono stremato sulla
superfice del mare, dove dibattendosi, per qualche istante, trova la sua
dolorosa morte.
Anche io, mamma, mi sono spinta nel mare della vita per l'anelito di
libertà verso un punto di non ritorno.
Invoco la tua mano che possa tendersi verso di me per guidare il mio volo verso casa, quella vera dove vi era una famiglia piena d'amore, ma tu non ci sei più e quella casa ormai è vuota.
Le mie ali sono state tarpate dal vento della

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IL FIGLIO DELLA TIGRE.

Lentamente i granelli di sabbia si disponevano sul fondo della clessidra. Per infinite volte si girava su se stessa per sottolineare quell’incedere costante del tempo. In altri posti, lontano da Guadalavez, l’alternarsi delle stagioni scandisce il ritmo della vita, a Guadalavez neanche quello. Il clima è costante, immune ai cambiamenti di questo mondo. Come se la città fosse vaccinata contro tutto e contro tutti. Indenne, nella sua perenne decadenza. Quando i padri fondatori posero le prime pietre il destino della città era già segnato. Si narra che la tribù india che generò la città fece un incantesimo per renderla immortale. I più anziani raccontano che tanto tempo prima, nessuno sa quando, un uccello dalle piume di fuoco guidò una tribù di indios attraverso la foresta; e si posò su una roccia, pietrificandosi. Fu lì, ai piedi della roccia, che al calar del sole lo sciamano incominciò la sua danza rituale. Fu accesa una pira alle pendici del masso sacro; e alte fiamme si levarono fino alla sommità, quasi a lambire l’uccello pietrificato; le punte delle fiamme sembravano voler riaccendere le sue piume; e intorno al fuoco gli indios cantavano antiche nenie, bevendo distillati d’erbe fino allo stordimento. Le figure si confondevano con il tremolio delle fiamme e le donne danzavano sopra i corpi degli uomini trascinandoli in un’orgia confusa di sensi. Al primo raggio di sole lo sciamano mise fine alla danza tribale, prese con sé l’ultimogenito della tribù, un maschio di giovane età, e lo condusse in cima alla roccia, al cospetto dell’uccello di pietra. Lo mise in ginocchio e lo uccise, pronunciando frasi in una lingua conosciuta solo dagli dei. Il sangue del ragazzo colava sulle fiamme mentre tutti sotto stavano a guardare, in un silenzio irreale, rotto solo dal crepitare del fuoco. Le fiamme, invece di assottigliarsi, sembravano nutrirsi di quella sacra linfa; l’uccello di pietra colorò le sue piume col rosso di quel sangue, si riani

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La primavera

Avere il coraggio di vivere di quello che ancora non c'è.
La primavera sta colorando l'anima mia, è universo accompagna i miei desideri.
Ardore costante per riscaldare il tuo cuore, con precisione l' intelligenza e scrupolosi al dettaglio.
Ci troviamo più lontani, ma anche più vicini nell'immensità della coscienza del proprio carattere.
Costruttivi e meravigliosi nell'attesa del tempo che avvolge nelle nostre positività.
La caparbietà di aspettare l'intelligenza dell'amore con visibilità e concretezza.

   3 commenti     di: vania antenucci


Sabato

SABATO

“ Verrà un giorno dove il cielo sarà piu vicino….”

È sabato. La campanella suona e gli alunni corrono entusiasti verso l’uscita. Varcato il cancello principale, i loro sguardi ne cercano uno complice. Simone non riesce a vedere nessuno, c’è troppa confusione, e la leggera pioggerellina autunnale diminuisce ulteriormente la visibilità. Di solito non tarda, lui è un tipo preciso, puntuale. Ha fatto la guerra, sa cos’è la disciplina. Vicino alla sua Panda blu, si sbraccia e chiama a gran voce il nipotino.
“Ciao nonno” - esordisce Simone?"“oggi abbiamo fatto il tema”- gli comunica eccitato.
“Oh bene” ?" esclama entusiasta il nonno?" “e che cosa hai scritto di bello?”- gli domanda, mentre lo aiuta a sfilarsi lo zaino.
“Ho scritto tre pagine lunghe così”, dice posizionando le mani a una certa distanza nell’aria.
“Bravo”. Il nonno sorride e apre la portiera con la mano libera. Reclina il sedile e posiziona lo zaino dietro il suo schienale. Sistemato il sedile infila una gamba, si siede, poi l’altra. Con un movimento rapido del braccio chiude la portiera. Mentre sta per mettere la chiave, si volta verso destra. Dietro il finestrino appena appena appannato, c’è il nipotino in piedi dove l’aveva lasciato. Muove solo le pupille, a cercare quelle del nonno, che gesticolando gli fa cenno di salire. La pioggia ora è più forte. Simone la sente battere sui capelli sempre più bagnati. Apre la portiera e sale. La chiude quel tanto che basta.
“Hai deciso di prenderti un raffreddore?”.
”Beh, che succede?”gli domanda il nonno posandogli una mano affettuosa sulla guancia umida.”Nonnooo…”inizia il bimbo guardando distratto le macchine passare. ”Si, dimmi…” dice una voce premurosa. “Com’era la nonna?” riesce a dire Simone, cercando nuovamente gli occhi del nonno. Egli è un po’ sorpreso, poggia le mani sul freddo volante e risponde:”La nonna? La nonna era…”- sospira e prende fi

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   1 commenti     di: Matteo Zanetti



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