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Racconti sulla nostalgia

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Foglie secche

Ero giovane a quel tempo, molto più giovane di ora. Nella vita i ricordi si accavallano, si accoppiano, scoppiano, si riproducono, fanno famiglia, alcuni cambiano sesso, altri cambiano nazionalità mentre altri parlano in una lingua sconosciuta. Ciò che voglio dire è che i ricordi finiscono per diventare delle grossissime sfere di materia informe, roba malata dove puoi trovare la gioia e il dolore. Questa grossa palla di ricordi, davvero disgustosa, credetemi, se ne sta nella nostra testa. Alla mia età, ormai, non sento nemmeno più il bisogno di infilare le mani in quella sfera molliccia per estrarre qualcosa di significativo. Il tempo storpia molti ricordi, il tempo e i ricordi sono nemici e allo stesso tempo compagni inseparabili.
Ma mi sto confondendo, probabilmente la colpa è di quella stupida coppia che abita sopra di me. Sesso, sesso e solo sesso tutta la notte. Inizialmente ispiravano la mia scrittura ma ora sono solo una terribile distrazione. Torniamo a noi, sessant'anni di vita non si cancellano in pochi secondi ma non si recuperano con facilità. Quando però provo a cercare qualcosa nelle mie memorie si formano due piccoli settori: Un settore formato dalla palla di ricordi confusi che ho già descritto e un altro settore formato dall'autunno di quarantacinque anni fa. Come ho già detto all'inizio di questo racconto ero molto giovane a quel tempo. Me ne andavo spensierato per la città e non mi ponevo alcun problema, beh, un problema c'era ma ormai non mi sembra più una cosa così importante. A quel tempo, il mio problema, erano le ragazze! Così belle, tutte diverse e tutte attraenti, a volte, nel vederle da lontano, veniva l'istinto di correr loro incontro per stringerle il più possibile.
Dannate ragazze, sempre così colorate, profumate, sorridenti, tristi, piangenti, oscure, misteriose, scherzose, giocose, maledette. Fottute ragazze.
In quell'autunno, parliamoci chiaro, giravo per la città alla ricerca di qualche avventura amorosa che

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   2 commenti     di: Andrea Pezzotta


Pensandoti

28 maggio 2009

Ore 9, 15
Io…………………….
Ma come sono fatto!!!!!!!!!!!!!!!!!

Ti sento, è come se i migliori suoni degli uccelletti che sono nelle foreste rallegrino il mio spirito e i miei occhi vedono tutto rosa.
Ti vedo, divento come un ghiacciolo, mi sciolgo solo a guardarti nei tuoi dolci occhi di un azzurro splendente.
Non ti sento allora la tristezza mi invade e i miei pensieri frullano come le eliche di un ventilatore e mi raffreddano tutto il corpo.
Allora penso: dove sarà, cosa farà, perché alle mie chiamate non risponde? Cosa ho fatto, forse qualcosa che le è dispiaciuto? Sono troppo assillante con te? Se questo fosse sarebbe perché ti vorrei sempre vicino a me.
Non sono mai sazio della tua presenza, lo dimostra il fatto che quando ci lasciamo, appena due minuti dopo, mi sembra un'eternità che non ti vedo e non ti sento.
Credo che tu lo sappia che la mia gioia è vederti sorridere e ancora di più vederti ridere.
Se vedo tristezza in te mi viene da pensare che qualcuno o qualcosa di cattivo ti sia stato fatto e questo intristisce anche me, perché la tua gioia è la mia gioia la tua tristezza e la mia tristezza.
Quando ieri cercavo di scrivere la lettera di ringraziamento e non riuscivo ad andare avanti, tu dicesti che solo col cuore si riesce a trovare il filo del discorso, hai pienamente ragione, come vedi in pochissimo tempo sono riuscito a mandarti un SMS e scrivere queste poche parole, ma tutto è uscito con tanta facilità perché come hai detto è il cuore che le detta.
Sei la mia felicità e per questo non smetterò mai di ringraziarti.
Un abbraccio e un bacione grandissimo. Giorgio.

   1 commenti     di: giorgio giorgi


Crete d'autunno

È un autunno pigro, dal fascino dorato e molle, e’ sole tiepido che filtra dalle persiane abbassate, sono fiori che sbiadiscono sui terrazzi perdendo petali e colore. È autunno di creta, ha l’anima calda, l’ombra di un uomo schiacciata sul muro, senza spessore, nè dolore. Ha tramonti di resa, lo sguardo profondo dell’amore nel suo cammino senza fine, il desiderio appoggiato alle spalle e il mistero di foglie ingiallite alla deriva sul cuore.
Ed è sogno a finestre socchiuse, strada da percorrere, sorridente agli specchi e alla vita, ha occhi che parlano di niente alla luna, ed è invadente il suo vento, fa alzare la gonna e abbandonare all’istinto, dischiude le gambe all’amore, è stagione che gioca col fuoco, che ha bisogno di andare, che bagna poi asciuga la mente e i ricordi.
È carne cruda, linfa vitale,è forza che annienta, un angelo nero incontrato di sera, seduto ai bordi del tempo a modellare le stelle e a trattenere la voglia.
È coda tesa e febbre calda, accattivante e indiscreto con quel cielo violaceo che ti scivola addosso e possiede.
Ha voce di sirena quest’autunno, inciso nella pietra, con case di calce bianca e sentieri sterrati, vie che si moltiplicano in labirinti di nebbia, uno stordimento leggero come la vita, giorni scanditi velati di grigio, formule magice e lingue oscure per fare l’amore durante la notte, per sentire il latrato dei lupi fra i lampioni di strada.
E in quel giardino di rose sfiorite, sotto la pioggia che cola, in ogni respiro ci sento il tuo cuore che divide il buio in diamanti neri dalle cornici d’argento.

   8 commenti     di: Tiziana Monari


Il tempo del Loden Cap. VII da "Le finestre di Mara"

E finalmente anche Mara comprò il suo Loden. Era arrivata nella Città del Nord con un montone grigio che le aveva regalato sua madre, preoccupata per il freddo di quel luogo.
Lo aveva indossato con molto piacere perché riparava magnificamente, anche se i suoi amici la prendevano in giro chiamandola “piccolo borghese”.
Tale termine aveva allora una connotazione negativa perché significava conservatrice, reazionaria. Sapeva comunque che loro scherzavano e non se ne preoccupava affatto. Fu però il nomignolo scherzoso dei suoi allievi “madamin” che le fece cambiare idea. In quel periodo, infatti, spesso “l’abito faceva il monaco”. Dall ’aspetto si distingueva se una persona era schierata da una parte o dall’altra. Per esempio i ragazzi di destra che preferivano vestirsi, soprattutto nei primi anni 70, ancora con giacca cravatta e capelli corti, utilizzavano i Ray-Ban, occhiali a goccia, diventata per loro una marca simbolo.
Così, per sentirsi allineata, un giorno anche Mara decise di fare il grande passo: abbandonò il caldo montone borghese di sua madre per indossare il nuovo indumento. Ne scelse uno di media qualità perché il vero Loden, con la sua bella lana morbida di lana mohair a pelo impermeabile e bottoni rigorosamente di cuoio, lo possedevano in pochi in quanto molto caro. Quello più diffuso era una imitazione di questo nel taglio ma non nella qualità della stoffa, molto più ruvida con i bottoni in plastica che riproducevano semplicemente il disegno in pelle. Il nuovo capo ricordava per il colore l’eskimo sessantottino ma a differenza di quello si era diffuso largamente sia tra gli uomini che tra le donne. Forse sottolineava una maggiore parità tra i due sessi ottenuta con le lotte femministe . Alla fine anche Andrea, spinto da Mara, a fu costretto a comprarsene uno. Così il vecchio eskimo, spesso usato anche come coperta, ricordo di tante battaglie politiche e amorose fu messo in so

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   2 commenti     di: MD L.


Per te, mamma

Più passa il tempo e più mi manchi, lo sai, mamma?
Ti sogno quasi tutte le notti, a volte sono sogni stupidi, senza senso, dove ti ricordo com'eri - felice, bella, con i capelli lunghi e con quel sorriso sempre dipinto sulle labbra. Come facevi ad essere sempre così contenta, come se la vita non avesse fatto altro che darti gioie e soddisfazioni?
Non nego che queste ultime non ci siano state, anzi, spero di sì; ma adesso, col senno di poi, mi sembra che siano stati molti di più i dolori.
Perderti così è stata la cosa più atroce che potesse mai capitarmi.
Ti ho detto troppe poche volte che ti volevo bene, che te ne voglio ancora, che te ne vorrò sempre, che avevo e ho, tuttora, bisogno di te, di sentirti e vederti vicina, di abbracciarti. Dio, mammi, quanto ti vorrei stringere a me, adesso, proprio in questo momento. Non riesco a scrivere una sola parola senza piangere e singhiozzare, ma magari se riesco a mettere per iscritto queste... cose, questi sentimenti che non mi abbandonano in nessun momento, forse potrebbe farmi stare meglio.
No, la verità è che niente potrà farmi stare meglio. Forse mi piace solo l'idea che tu, se davvero mi sei ancora accanto in qualche forma incorporea che io non posso vedere né sentire, in qualche modo possa leggerle e venire a conoscenza di quello che non ho mai avuto il coraggio di dirti.
Mi pento immensamente per quelle volte in cui ho alzato la voce, o ti ho dato le spalle, o mi sono comportata come una bambina che non capisce che tutto quello che dicevi e facevi era perché mi volevi bene e non per farmi dispetto o chissà cos'altro. In questo momento mi mancano anche quelle volte in cui mi mettevi in punizione o le volte in cui mi sgridavi, qualsiasi cosa pur di sentirti ancora qui.
All'inizio ho messo la tua fede al dito perché mi sembrava un buon modo per averti vicino, sai, avere qualcosa di tuo sempre appresso; man mano che passa il tempo mi rendo conto invece che accarezzare questo semplice anellino d'oro

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   2 commenti     di: Giulia


Edge of forever

La terra trema, le clessidre si rovesciano. Il peso dei secondi le schianta al suolo senza che nessun corpo sacrifichi sè stesso nell'attutire l'impatto, mentre le nubi si addensano, forse di cattivo umore e presaghe di temporali, forse solamente strappate dai venti alla loro meta e in cerca di un po' di riposo. Così me ne sto lì, nel fallout, a respirare a pieni polmoni il profumo di vetri in frantumi e di strade spazzate via dall'insostenibile peso di una rosa. Ad assaporare ognuno dei minuscoli granelli che dalle ampolle si alzano irrequieti, in balia dell'uragano che li solleva e scuote. Ad osservare la loro danza dipingere il ritratto di parole mai veramente perse, ma impossibili da ritrovare. Di tempi e sogni mai veramente vissuti, ma indelebili nella mente e nel corpo. Lo Yin e lo Yang si celano, in fin dei conti nemmeno troppo sorpresi, dietro un velo di malinconia per il terrore di vampireschi capelli color verde Starbucks, per l'ennesima nebbia parallattica. Demoni delle nevi sussurrano frasi sconnesse riavvolgendo demotape persi nel silenzio colpevole di una notte non segnata su alcun calendario. Vecchie bandiere di Svezia e memoria a decorare il feretro di un cielo in fiamme. Un cielo rovente e purtroppo troppo lontano perchè si possa berne un po' di calore. Un cielo rovente e fortunamante troppo lontano perchè le piogge acide trafiggano la terra dei cimiteri prima di evaporare.



Il gabbiano

IL GABBIANO

Mamma, ti ricordi quando da piccola ti dicevo che avrei voluto essere un
gabbiano, si uno di quei gabbiani che noi vedevamo volare sopra il mare durante le nostre passeggiate sulla spiaggia.
Ero affascinata dal loro volteggiare e con il dito ti indicavo quelli che man mano si libravano dagli scogli verso il mare aperto.
Tu sorridevi e mi accarezzavi i capelli, io seguitavo, rassicurata dalla tua
carezza, a guardarli e ad immaginarmi al loro posto chiudendo gli occhi e pensando ai mille riflessi prodotti dal sole sull'acqua del mare che essi
ammiravano.
Pensavo è questo il senso della vita, anche io da grande dovrò librarmi dallo scoglio della mia esistenza verso il mare aperto della vita.
Quando sono diventata grande, lo sai, l'ho fatto e sono andata a vivere da sola la mia vita, lasciando la casa che mi aveva vista nascere spinta dal richiamo del mare della vita.
Poi, lo sai, mi ero illusa di avere trovato l'amore ed in quel momento la
mia casa mi è sembrata la nostra casa.
Questa è la gioia che avevo provata, ma poi quello che avevo pensato fosse l'amore, si è sciolto come neve al sole lasciandomi sola in quella casa che non era più la mia casa.
Il pensiero subito ha rievocato nella mia mente il gabbiano ed ho pensato che anche esso nel suo volo si allontana dal suo nido e che certe volte si spinge per l'anelito di libertà oltre le sue forze raggiungendo un punto di non ritorno dal quale cerca invano di ritornare al suo nido, ma
la lontananza ed il vento spesso contrario lo abbattono stremato sulla
superfice del mare, dove dibattendosi, per qualche istante, trova la sua
dolorosa morte.
Anche io, mamma, mi sono spinta nel mare della vita per l'anelito di
libertà verso un punto di non ritorno.
Invoco la tua mano che possa tendersi verso di me per guidare il mio volo verso casa, quella vera dove vi era una famiglia piena d'amore, ma tu non ci sei più e quella casa ormai è vuota.
Le mie ali sono state tarpate dal vento della

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