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Iter in tenebris

"Se l’elemento musicale perde terreno, e tuttavia la visione musicale del mondo è destinata a conservarsi, dov’è che si rifugia tale elemento?"
Friedrich Nietzsche, Frammenti postumi, 5[87]


“Fa caldo. Tra due giorni è novembre e fa caldo.” Lorenzo scosse il capo corrucciando le labbra, in segno di disappunto, poi sollevò lo sguardo e fissò l’amico con un mezzo sorriso, tanto per cercare l’approvazione di qualcuno, poi si grattò la fronte e con uno strattone sistemò la sacca che teneva sulle spalle. Gabriele Testa rimase immobile, seduto, fisso sulla panchina di pietra della pensilina, quella del binario due, teneva il giornale acquistato poco prima stretto tra le mani; riuscì a stento a ricambiare lo sguardo di Lorenzo, poi riprese a fissare i disegni geometrici delle piastrelle, incurvato con la schiena, con le braccia appoggiate pesantemente sulle ginocchia. “Sì che fa caldo, pensa che stanotte una zanzara mi ha tenuto sveglio dalle cinque fino a quando mi sono alzato.” “No, a me non danno fastidio le zanzare, cioè, a me nemmeno mi pungono.” Lorenzo si trattenne a stento dal mostrare palesemente il proprio disinteresse per l’osservazione dell’amico, poi volse lo sguardo nella direzione da cui sarebbe dovuto apparire in lontananza il treno. “Di certo non ci si può sbagliare” Riprese “Il treno viene da Sesto, per cui da là” Fece un ampio gesto con il braccio per indicare la direttiva del convoglio. Una folata improvvisa di vento gli scombinò i capelli biondicci, si ritrasse leggermente, e d’istinto si portò la mano alla tempia, come per non farseli sfuggire. Gabriele si alzò, fece il giro attorno alla panchina, si slacciò un bottone della camicia: “Ma quante fermate sono per Milano?” fece, destandosi per un momento dal proprio mutismo. “Una, una sola, ma guarda che siamo già a Milano, Greco è un quartiere di Milano, la prossima fermata è Garibaldi, che poi è il capolinea.”
“Ed è in centro?”
“Quasi, non proprio, manca ancora un pezzetto, ma tranquillo che c’è la metro. Ma non sei mai stato a Milano?” La domanda colse alla sprovvista Gabriele, che d’impeto stava per rispondere ma sì, certamente, poi si bloccò per un istante. No, non era mai stato a Milano. Bè, certo, si ricordava il Duomo, ma poteva benissimo averlo visto in fotografia, o in un qualche documentario televisivo, no di certo davvero. Anche tanti che non sono mai stati a Parigi sanno com’è la Torre Eiffel, per forza, come la divisa delle Guardie svizzere. “No, in effetti non ci sono mai stato, ho letto qualcosa, ma non ci sono mai capitato.” Esalò la frase con un filo di voce, senza troppo badare a quel che diceva, ancora assorto dal pensiero di prima. “Certo che è strano, voglio dire, Milano è qui vicino, prima o poi ci si capita” Insistette Lorenzo. A Gabriele venne in mente anche un vecchio palazzo, cinquecentesco forse, di sicuro antico, probabilmente non distante dal Duomo. Aveva fissa l’immagine di una parete rossastra, decorata da alcuni fregi dozzinali. La memoria talvolta è davvero un paese straniero. Non importa quale sia la meta del viaggio o il senso di una peregrinazione; la peregrinazione, intesa come vagabondaggio, di per sé non ha senso, è il solo viaggiare, il muoversi in sé e per sé. Gabriele non faceva che pensarci. Ci pensava fin da quando da bambino faceva finta di studiare ed in realtà era soltanto Altrove, in una magnifica patria in cui il tempo e lo spazio marciavano ad una cadenza diversa. Milano, Parigi, Vienna; in fondo che differenza poteva fare. Che differenza c’era tra un viaggio in una capitale europea o mondiale e un muro rosso cinabro.

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2 commenti:

  • Giuseppe Cossu il 12/04/2009 11:48
    Toccante. Ti trascina come un gorgo fino alla fine, risucchiandoti nella lettura. Lascia qualcosa dietro di sé, anche dopo l'ultima frase: una malinconia sospesa. Gran bel racconto. Complimenti!
  • maria p. il 20/06/2007 21:14
    scrittura scorrevole, gradevole. bravo!

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