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Riflessioni di uno scrittore che non è uno scrittore ma per sua sfortuna scrive e non sa che farsene (3)

Il futuro da scrittore incoerente, questa era la cosa certa di un'intera adolescenza. O il passato da scrittore adolescente. Incoerente. Significati che si logoravano nei mesi, negli anni. Ero partito dal dirompente credere di non credere a niente e quello era stato buono per i primi due libri, ma poi?
È possibile, mi chiedevo, uno scrittore che alla fine non ha nulla proprio da dire al mondo e che può discorrere con una tastiera per ore ed ore senza in realtà sapere dove voglia arrivare con le proprie righe? Che genere di poetica può essere mai questa?
Boh, mi rispondevo, che cazzo ne so? Non rientrava nelle mie facoltà farmi le domande e darmi le risposte. Troppi compiti. Fatemi le domande, pensavo, e vi darò le risposte, non posso fare tutto io. Ma le domande non le faceva nessuno.
 Lei che genere di autore si definisce?
 Io non lo so.
 I suoi libri quale messaggio vogliono diffondere?
 I miei libri no. Non lo so.
 Lo vuole il premio Nobel per la letteratura?
 I premi no, grazie. Sono molto contrario a tutto.
Mi facevo le interviste mentali e poi le cancellavo di colpo, sentendomi stupido.
 Ma, scusi, perché scrive?
Ah, basta, che cazzo! Però, in qualità di pensatore molto educato, mi veniva da rispondere lo stesso.
- Perché scrivo? Certe volte credo che sia solamente un vuoto narcisismo, il tentativo di creare una specie di mondo protetto tra te e te in cui puoi vendicarti di tutte le strane cose che subisci nella vita ed a cui non sai opporti. Sono un deficiente costellato di deficienze che crede di poter deficientemente sopperire alle proprie deficienze di uomo con le proprie deficienze di scrittore - e nel video dell'intervista mi accendevo una sigaretta.
Prendevo a camminare più veloce, cercando di seminare i miei avvilenti pensieri.
- Abbiamo saputo che in questa fase del suo percorso artistico si occuperà di completare il suo secondo testo, quello su un amore adolescenziale.
Niente. Le stupide domande erano tremende, ma non c'era modo di liberarsene. Neanche dare stupide risposte poteva avere effetto.
 Ma voi queste informazioni dove le prendete?
Ritornavo al secondo testo. Lo leggevo. Pensavo: è una buona storia. È scritta bene. Deve valere qualcosa. Ma davvero mi saltavano i nervi ogni volta che ne rileggessi parte, nel vano tentativo di proseguire. Mi chiedevo spesso come avevo potuto anche solo vagamente pensare, solo due secondi prima, che è una buona storia, è scritta bene, deve valere qualcosa.
C'era un problema che non ero mai riuscito ad affrontare. A dire la verità i problemi erano diversi, ma uno era quello su cui si potevano perdere le nottate: io, questa cosa dello scrittore, davvero non la volevo. Dovreste credermi. L'essere logorroici nello scrivere trasborda nell'essere logorroici quando si parla. È una cosa di cui non ti liberi. Riuscire ad essere sintetico con le parole non mi soddisfaceva mai. C'era sempre un modo migliore in cui le cose avrebbero potuto essere dette e su quello si incartava il mio cervello nei giovani anni. A me alla fine che me ne fregava? Tutti parlavano a cazzo, inventare storie era una cosa inutile e stare a convincere gli altri a leggerle o almeno a sentirle era davvero deprimente.

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3 commenti:

  • Anonimo il 02/10/2011 15:27
    Piaciuto, letto volentieri
  • Stefano Saccinto il 30/09/2011 22:52
    Grazie per il trip.
  • Anonimo il 30/09/2011 21:27
    "Il vero scrittore è in realtà un anarchico di natura", concordo appieno, oltre che un narcista passivo (quelle volte, eh?!). Non ho letto gli altri due passaggi, ma è brillante questo "trip".

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