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Una ragazza triste

Ero seduta sul letto. Il mio sguardo puntava fuori alla finestra. Guardavo la pioggia cadere, era una mia abitudine. Mi piaceva. Ogni goccia era come una lacrima, ma a sua differenza non faceva male al cuore.
Mi alzai e mi affacciai. Una folata di vento mi tirò indietro i capelli, e mi portò a guardare dall'altro lato. Ma non c'era niente di bello da vedere. Solo strade e palazzi. L'aria era fredda, e ciò era positivo. Odiavo il caldo.
Tornai al letto e guardai l'ora sul cellulare che avevo lasciato sul comodino. Le 7. 30. Dovevo vestirmi in fretta, altrimenti avrei fatto tardi a scuola. E di acchiapparsi le ramanzine dei prof proprio non mi andava. Almeno non quel giorno.
Aprii l'armadio. Presi una di quelle felpe maschili che mi piacevano tanto e un paio di jeans scuri. Misi le scarpe da ginnastica e presi la matita per occhi. Mi truccai poco, poi cercai di aggiustare i capelli. Erano castani, lunghi e mossi, incorniciavano perfettamente il mio viso pallido formando un evidente contrasto. Mi odiavo. Odiavo i miei lineamenti spigolosi e miei occhi anonimi e inespressivi. Odiavo il mio non riuscire in niente. Ero sempre sbagliata, sempre troppo bassa, sempre troppo grassa o troppo magra. Sempre sola... nessuno sembrava trovare qualcosa di interessante in me. Mi ritenevano noiosa e deprimente.
Ma potevo benissimo cavarmela da sola, non avevo bisogno di nessuno.
Presi il mio zainetto viola e uscii dalla stanza. Mentre percorrevo il corridoio sentivo i miei genitori urlare... il rumore di un piatto rompersi... altre urla... un pianto, di una voce troppo dolce per essere di mio padre...
Respirai profondamente e mi affrettai ad uscire di casa. E subito ero in strada, camminavo a passo veloce con le cuffie nelle orecchie. Nel mio lettore mp3 solo brani di musica classica. Secondo me quella era la musica migliore. Riusciva a comunicare senza dir parola. Era capace di farti provare emozioni incredibili...
C'erano studenti davanti a me, e dietro. Ne ero circondata. Eppure mi sentivo osservata. Avevo questa brutta sensazione che altro non faceva se non mettermi a disagio. Arrivai davanti scuola e la tristezza m'invase per l'ennesima volta. Mi sentivo vuota, la mia vita non aveva alcun senso. Non ero importante per nessuno. A volte arrivavo a pensare che se non fossi mai nata, la vita per le persone che mi circondavano sarebbe stata migliore di sicuro. Senza ombra di dubbio. I miei genitori andrebbero sicuramente d'accordo. Si amerebbero.
Dentro di me cresceva quella voglia di far passare il tempo velocemente, così da poter diventare anziana e...
Spesso speravo di non arrivare ai 20 anni, di essere investita da un'auto, o di cadere e rompermi l'osso del collo.
Per molte persone, la morte era terrore. Per me era liberazione. Liberarsi da tutti i pensieri, liberarsi dai pesi che opprimono...
Il suono della campanella mi fece trasalire. Tolsi le cuffie e mi avviavi verso l'entrata.

 

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4 commenti:

  • luigi granito il 13/10/2011 21:12
    Secondo J. steinbeck la paura più ossessiva di ogniuno di noi è quella di pensare di non essere amati da nessuno, è anche la mia paura più grande e tu ne hai descritta una simile, spero non tua. Si può vincere solo se ci si sente amati, se continui a scrivere puoi essere amata dai tuoi lettori. Il tuo racconto mi è piaciuto
  • Angel Bruna il 08/10/2011 10:41
    mi è piaciuto molto, anche se la malinconia è il tema predominante!
  • Auro Lezzi il 08/10/2011 10:01
    Malinconica anche spesso... Triste mai.
  • Mauro Moscone il 08/10/2011 07:42
    This the end, my only friend, the end.
    Finirla con situazioni trite e ritrite non deve spaventare, alle volte la fine è l'inizio o almeno la liberazione da oscene carcezioni stantie e paludose.
    Ci vuole un colpo di cucchiaio per rimestare il fango nel fondo della tazza!
    Brava, grande intensità caratteristica della scrittura Web, ellittica e pregnante bella lettura

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