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Riflessioni di uno scrittore con le scarpe rotte (8)

La mia visione mi folgorava ad intermittenza. La mente era sezionata dalle chirurgiche lame del tempo che cadevano, impietose delle mie proteste, nelle mattinate invernali in cui gli accenni di un vero risveglio si presentavano solo quando i primi steli dei salici mi sfioravano i capelli. Fino ad allora non ricordavo dov'ero stato, in quali sconosciuti luoghi dell'inconscio avevo riposato. Poi apparivo, lungo il viale dagli alberi magri che scendeva verso la fermata del pullman, come un silenzioso punto in movimento che percorreva uno scenario vuoto e gelido, tentando di proteggere il viso dalla corrosività dell'aria glaciale della notte non ancora terminata.
Le prime forme di vita erano visibili nei pressi della fontana vicino alla fermata. Io le guardavo da lontano e già mi venivano le paranoie: saltavo di forza giù dal letto nei momenti più teneri del sonno per ritrovarmi ad aspettare insieme ai tristissimi uomini-azienda il pullman sostitutivo del treno che aveva il colore grigio scuro tipico delle gite, con una gigantesca scritta ciclamino stampata sulle fiancate.
Il popolo della fermata era composto di umani con giacche, maglioni e pantaloni a coste dai colori che ispiravano tentazioni suicide che si abbinavano con elegante mestizia ai loro volti, gente da una vita in attesa della pensione, impiegati che ogni mattina prendevano questo pullman e saltavano sul treno coincidenza per Bari appena giunti a Barletta. Tutti i giorni della settimana. Sempre alla stessa ora. Tutto rievocava una sensazione di squallidi corridoi dai colori acidi, bambini decerebrati e cimiteri posti oltre un fiume. Mi riportava alla mia infanzia, a quando, da piccolo, di notte, portavo la mia mente in bilico sulle voragini dell'inconscio e la costringevo a guardare in basso mentre urlava dal terrore.
Seduto con la schiena premuta contro la spalliera del letto e le mani schiacciate sulla bocca per non urlare, ripercorrevo tutte le immagini più spaventose che avevo raccolto nei miei primi anni di vita e a forza di immaginare teste rotolanti sui muri e improvvise apparizioni di donne ossute sghignazzanti nel buio della notte, venute a torturarmi, finiva che cominciavo a vederle per davvero. Questa era la mia perversione.
Mia madre e mio padre non sapevano più come fare. La loro ossessione era diventata la mia voce illanguidita dal pianto che nelle impensabili ore del riposo filtrava l'oscurità fino alla loro camera.
- Mamma... ho paura...
Ogni volta sentivo un fruscio di lenzuola infastidito e con la santa pazienza mia madre si alzava, con gli occhi pieni di sonno e veniva da me.
- E di che cosa hai paura? - ogni notte sempre la stessa domanda. Delle teste rotolanti, diglielo.
- Non lo so.
Sapevo che c'era qualcosa che incombeva su di un indifeso bambino che dormiva, qualcosa di terribilmente spaventoso che approfittava del buio per affacciarsi alla mia mente per tentare di mangiarla. Pensavo di essere pazzo. Era la donna ossuta, non sapevo perché mi odiasse, ma continuava a torturarmi, erano le teste rotolanti e il corpo volante dell'uomo senza braccia e senza gambe col cappello a cilindro. Ogni volta iniziava tutto quando le pareti cominciavano a rilasciare sangue che si riversava verso il battiscopa. L'entrata del tunnel era così conformata. Poi seguivano il resto delle visite. Era troppo complicato per spiegarlo a mia madre.

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1 recensioni:

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  • Anonimo il 22/05/2014 02:57
    apprezzato... complimenti.

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