Il vento quella sera fu il vento più freddo di quell'autunno ed i suoi occhi blu altrettanto. Avevo intenzione di rimanere a casa ma sentivo che l'avrei incontrato quindi uscii, andai al solito bar.
Mi spiaccicai contro il lato chiuso della porta ed allungai il collo. Spiai. Vidi solo la sua mano bianca con le unghie tormentate e all'interno si consumava una sigaretta. Il convulso desiderio di lambir la sua mano mi affliggeva. Rimasi fuori dalla porta del bar, seduta su di una grande scalinata di pietra che l'affiancava. Ogni qualvolta che lui si precipitava fuori per prendere un po' d'aria, timidamente i miei occhi lo afferravano e tempestivamente lui se ne liberava con grande forza risolcando la porta d'entrata. Quel ragazzo è un gatto randagio, pensai. Bello, sfuggente e devi fargli per forza un'impressione d'altissima qualità per farlo avvicinare, il filo di lana non basta. Ma io mi chiedevo cosa fosse a farmi intorpidir così ogni volta che il mio sguardo naufragava nella sua carne. Mi piacciono i suoi occhi tristi, blu, contornati da occhiaie; mi piace il suo naso da statua greca e leggermente incurvato ma io sentivo qualcos'altro che andava oltre, altrimenti avrei stampato una sua foto così che potessi vederla ogni volta che lo desidero, ponendomi dei limiti. Decisi di entrar dentro con una mia amica. Lei prese una coca cola e mi offrì una sigaretta, lui era lì, lo osservavo. Mi piace il modo in cui partecipa a ciò che gli accade intorno accennando un sorriso e rimanendo rigorosamente in disparte. Si diresse al bancone senza chieder niente, appoggiò lentamente le braccia e guardò fisso in avanti, attraverso lo specchio che vi è davanti, dopo qualche secondo portò la sua mano fra i suoi capelli biondi riordinandoli. Su di ogni filo dei suoi capelli, un mio pensiero, spero un giorno riordinerà anche quelli.