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L'isola

Esiste un’Isola imbevuta di mare, o almeno così dicono i Nerboruti Virtbunghi che la abitano. Camminano scalzi sui loro piedi vagamente palmati evitando con cura i pur rari tratti asfaltati e particolarmente il Triangolo del Merluzzo Alato. In effetti, messo un solo piede fuori del T. M. A., dopo aver superato l’eventuale mal di mare, si comprende appieno l’usanza, la terra si ammolla (o “appluffa” come direbbero da queste parti), preceduta dal flettersi di piccolissime foglioline a corona di bacche, e accompagna l’incedere del passo.
Togliersi le scarpe è una sensazione davvero piacevole, quando non si presti più attenzione o s’impari ad apprezzare il formicolio dei Forluzzi, con le loro pinne minute e sette, forse otto zampette che usano alternativamente, proprio sui vostri piedi.
Le storie e i racconti bizzarri, riportati da tutti i pochi viaggiatori che avevano avuto il fegato di acquistare un biglietto “aereo” per l’Isola, mi erano sempre sembrate iperboliche fantasie, forse da attribuirsi a magiche droghe locali... e ad esser sinceri, forse proprio quest’ultima ipotesi mi diede il coraggio d’imbarcarmi con la “Pesciera-airlines”.
Cosa facesse planare a mezz’acqua il piccolo e trasparente cetaceo, non l’avrei proprio mai voluto sapere…purtroppo quando si è rannicchiati nello stomaco di un pesce, anche se di vetro, che corre all’impazzata solcando per metà il mare e per l’altra metà il cielo, si fanno le più infantili richieste e stupide domande, tipo:”Voglio la mia mamma!”; “Dio mio perchè mi hai abbandonato?” (*) e infine “Come funge ‘sto coso?”
Quindi, come nei più famosi e deliranti racconti dei viaggiatori suddetti, comparve, dalla testa del mezzo in questione, un barbuto Virtbungo, dalla classica barba dorata, che iniziò a spiegare il moto uniformemente sinusoidale sobbalzato: “…veda, un sobbalzo sull’asse delle ‘w’, produce sull’orizzonte, in presenza di acqua salata…insomma qualcosa che potrebbe essere qualcos’altro ma non lo è”.

In effetti, droghe a parte, il mio desiderio di vedere l’isola era in primis sostenuto dalle descrizioni degli autoctoni. Anche potendo fantasticare sulla forma dei loro piedi o sui loro corpi statuari o ancora sugli occhi magnetici e cangianti non riuscivo a immaginare un’intera popolazione di “strambi filosofi”, come li definisce Leischmania nel suo “Ermeneutica dei Virtbunghi”. In uno dei più affascinanti incontri riportati nel suo libro, Il Leischmania narra di una tal Clostridio, che come tutti gl’isolani aveva l’abitudine d’intrattenere insoliti dialoghi con chi che fosse e riportarne parole e soprattutto pensieri.
Un piccolo estratto:

Leischmania: “Dunque cos’è l’Amore?”
Clostridio: “Inspiro sentendo che non è l’aria ad espandermi ma, la velocissima rassegna dei mille dolci istanti stampati nella memoria o forse lungo tutto l’albero respiratorio…infatti espiro e la frenesia di esprimere la bellezza e la grandiosità che mi pare d’intendere svanisce. Spero almeno che diffonda con l’anidride carbonica invece di essere…Nulla.

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