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Riflessioni di uno scrittore con le scarpe rotte (12)

Fu in mezzo a quel periodo frastornato di resistenze dei sogni dorati dell'adolescenza, di partenze sopite verso luoghi lontani e precoci inizi di abbandoni da parte degli amici, mezze confessioni di egoismi vari e fluide consistenze di rosei baci, che elaborai le mie più grandi idee circa quello che avrei voluto scrivere nella vita e circa quello che avrei voluto essere davvero. Tutto andava per il meglio e io dimenticai qualunque depressione. L'università era una necessità di facciata. Inutile alla mia crescita, ma utile a zittire il mondo attorno riguardo all'impegno che mi competeva nei confronti della realtà. Per di più avevo un lavoro e, per quanto potessi, cercavo di non rinunciare mai ad una giornata da cameriere. Non avevo bisogno dei soldi, ma non volevo dare preoccupazioni.
Nelle lunghe notti in cui la fucina del mio stanzino sfornava magiche mejfy che si libravano nel cielo attonito attraverso la piccola finestra rossa, mi concessi il lusso di migliaia di sigarette da accendere e da spegnere. Era tutto un tirare e riversare. Nelle mie orecchie suonava il lamento struggente dei primi Coldplay e degli Skunk Anansie, quello ancestrale dei Cure e degli Smashing Pumpkins, la foga dei Korn, dei 69 Eyes, dei Katatonia e più di tutto l'enorme scenario di significati allestito dagli eredi inascoltati dei Pink Floyd: gli Anathema. Era una distesa piatta d'acqua cristallina levata fino all'altezza delle ginocchia che raggiungeva qualsiasi orizzonte visibile. Era pura fantasia che intersecava la realtà con lo stesso potere di una vera e propria vista. Era il terzo occhio. Ed io ero lì a vedere attraverso la sua retina.
Una congiunzione astrale che prorompeva fino allo sfondo commovente dell'universo mi portò a scartare definitivamente ogni accenno del reale e a riversare l'intera mia mente nella contemplazione di ciò che esisteva al di sopra del tempo, al di sopra della vita e che si stagliava immobile e perenne come qualcosa di immune alla morte. In quegli anni compresi quali stati di esaltazione può raggiungere l'animo di uno scrittore. Attraverso la parola, vero emissario di pace tra i popoli, progresso infinito partorito dal genio innato del genere umano, un uomo poteva riscrivere la storia dall'alfa all'omega senza considerare alcuna influenza della realtà, se non la più mistica, la più sublime, emblema di bellezza perfetta. Io conobbi gli dei attraverso un'inaspettata illuminazione. E gli dei mi fornirono le fruste. Eteree, violente, intrise di estrema comprensione. E con esse dominai i demoni e le umane passioni.
Avevo vent'anni, la vergine d'oro al mio fianco, vedevo il mio sogno d'infanzia di diventare scrittore muoversi nella realtà come se ne fosse estremamente esperto, la forza di ideali irremovibili e tutto quello che qualsiasi sognatore poteva mai desiderare. Invidiavo me stesso. Mi dicevo - Come fai? Ad avere tutto quello che vuoi. Come fai a pensare di meritartelo? Questo maledetto talento e questa bellissima ragazza e questa famiglia così onesta da sembrare irreale. Come fai a studiare, lavorare, scrivere e riuscire in tutto senza il minimo sforzo, senza una nota stonata? Pensi di essere immortale? Gli dei ti stanno ingannando. Vogliono solo giocare con te per poi deriderti. Ti priveranno di tutto quello che ti hanno dato perché questo fanno a chi osa superare le colonne proibite. Ti hanno permesso di andare oltre e poi ti prenderanno per il collo per tirarti indietro. E rideranno e lo faranno così forte da disintegrarti la mente. E tu impazzirai. Tu non sei come loro. Tu sei il bambino schiacciato contro lo schienale del letto che trema quando il sangue inizia a scorrere lungo i muri. Ricordatelo. Qualcosa di oscuro si muove nel buio attorno alla tua stanza. Ti ha sempre cercato. E ti sta ancora cercando. Deponi quelle fruste e arrenditi.

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