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... ___... (Tre punti, tre linee, tre punti)

Il mio nome è Walter Scott, sono un giornalista.
Io ho un potere.
Non so per quale ragione io mi sia deciso a buttar giù, su questo foglio di carta, questa sorta di confessione. Probabilmente lo sto facendo, perché ho paura, e ho bisogno di rivelare tutto ciò che mi è accaduto a qualcuno. In questo caso a me stesso. Forse per far sì che non dimentichi la decisione che ho preso. Per inciderla su carta.
E in ogni caso, sia: caro me stesso, piccolo mio, il tuo nome è Walter Scott, sei un giornalista e viaggi nel tempo, giaggià.
Te ne sei reso conto da poco, questo è vero, ma per un viaggiatore del tempo, cosa vuoi che sia, appunto, il tempo? Saranno stati quindici giorni fa, quando è successo tutto.
Devo essere sincero, non so come sia accaduto. Ero a casa, scrivevo il mio ultimo articolo per il quotidiano dell'indomani, barcamenandomi tra lo schermo del computer ed il posacenere, cercando di non ustionarmi con la brace della sigaretta fumante. Saranno state sì e no le ventitré, suppergiù.
Quand'ecco accade.
Ed io mi ritrovo catapultato lungo la linea retta del tempo.

La vedevo, la linea, disegnata davanti ai miei occhi, nitida come non mai. Mi fu subito chiaro che potevo scegliere di percorrerla in ambo i sensi, possibilità che non era mai stata concessa a nessun uomo prima d'ora. Potevo fiondarmi in avanti o gettarmi a ritroso sui miei passi. Indeciso, optai per la prima possibilità: il futuro mi aveva sempre attratto. D'improvviso mi ritrovai nella mia stanza, immersa nell'oscurità. Sì, era sempre la mia stanza, era quella. Ma quanto, quanto era cambiata. Su di un letto, accanto a me, giacevano, nudi, un uomo ed una donna. Guardarono dalla mia parte, come se qualcosa li avesse d'un tratto disturbati. Poi ritornarono ad affaccendarsi nel loro antico officio, nel loro tentare di placare l'uno la solitudine dell'altro.
Non mi vedevano. Era evidente. Ero invisibile.
Uscii di casa, non so dire come. Mi sentivo un fantasma. Percorsi la strada osservando ai miei lati il disfacimento del mondo in cui avevo amato e lottato.
Londra non era più la stessa. Le case erano crollate. Solo poche catapecchie sopravvivevano. Tra quelle, mi voltai a guardarla, la mia casa: un rudere fatiscente. Piansi amaramente.
Per la mia casa, piansi, per l'uomo e per la donna, piansi. Piansi per me. Per il mio mondo.
Tornai indietro.
Di colpo la linea della vita e del tempo tornò ad intrecciarsi dinnanzi ai miei occhi. Mi ritrovai nella mia piccola stanza angusta. Dove l'avevo lasciata. Come l'avevo lasciata. Ma lo sguardo, lo sguardo con cui la osservavo era mutato. Non mi sembrava più lo stesso. Sapevo come sarebbe diventato un giorno. Nei miei occhi lo vedevo già così. Potevo leggerli sulla federa del cuscino, sulla finestra semichiusa, sul tabacco poggiato sopra la mensola. Li vedevo. Il disfacimento, la putrefazione. La Morte.

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