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Amos e Mario. Italia anno di guerra 1943- IIa parte

A fine marzo 1943 Mario aderì al minuscolo gruppo clandestino di operai della fabbrica in cui lavorava. Divenne lui l'uomo che piazzava i pochi volantini all'interno dello stabilimento, gli venne insegnato come fare e quando muoversi. Apprese così che il materiale cambiava più volte mano, c'era un passamano di distribuzione interna tra i pochissimi attivisti. Si facevano delle " uscite" con questa stampa, poi si stava fermi per giorni e giorni in attesa degli eventi e che si calmassero le acque. Oltre a questo, Mario partecipava alle riunioni molto segrete del gruppo, alle quali erano presenti politici antifascisti che avevano già conosciuto il confino e in taluni casi erano ancora dei sorvegliati speciali. Conobbe così un muratore socialista, un calzolaio comunista, due avvocati , tutte persone che vivevano e agivano nell'ombra e nel pericolo per mantenere i contatti con altri gruppi nel territorio provinciale e oltre ; lo scopo era quello di diffondere e coinvolgere il più possibile in una protesta, contro la guerra e le condizioni di vita, anche le altre fabbriche della zona industriale e del porto.
Mario iniziò così una vita tesissima : smontava dal turno alle sei del mattino, dopo dodici ore alla lavorazione della pressa, riposava qualche ora a casa, appena qualche ora di sonno, duro e pesante ; poi via, nuovamente, egli spariva in qualche riunione con gli altri compagni. Si incontravano in posti oscuri e disparati: vecchi casoni da pesca abbandonati ai margini della laguna, il retrobottega di un tipografo o di qualche artigiano fidato, persino in una canonica... in questi incontri ci si scambiava opinioni su come procedeva della guerra, si ricevevano incarichi, si studiava come allargare la rete di penetrazione della protesta.
In casa, la madre di Mario non lo vedeva quasi mai e la poveretta lasciava per ore, sulla tavola, il piatto della cena destinato al ragazzo. Il padre, invece, si faceva sempre più silenzioso. Capitava, a volte, che Mario rientrasse a notte fonda, cercando di fare meno rumore possibile per non disturbare il sonno dei famigliari e che tuttavia incontrasse il padre sulle scale di casa, ad attenderlo. I due uomini si scambiavano solo un sommesso saluto. Una volta però il padre disse: " Mario stai attento, per l'amor di Dio".
Finalmente ad aprile Mario potè ritrovarsi con Luciano e Amos. Era una giornata di sole, i tre amici decisero di prendere una " topa" a remi di proprietà del padre di Luciano, e andare verso l'isola di san Michele, che era ed è tutt'oggi, il cimitero di Venezia. Un vero giardino d'alberi e fiori che spicca dall'acqua.
Faceva caldo. Luciano a prua e Amos a poppa remavano in camicia. Mario stava seduto sul fondo della barca, le gambe flesse contro petto. Un venticello appena accennato increspava la laguna color verde muschio che mandava barbagli di luce, l'imbarcazione filava tranquilla con uno sciabordio sommesso. Mario guardava Venezia allontanarsi, fissava lo sguardo sulle punte dei suoi campanili. Ecco quello di Madonna dell'Orto, quello di sant'Alvise, di san Pietro in Castello... e pensava quanto bello sarebbe stato essere sempre liberi così, poter stare con gli amici cari, vivere liberamente...

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l'autore mariateresa morry ha riportato queste note sull'opera

Questa parte del racconto mi auguro venga letta soprattutto dai giovani, ragazzi dai 18 in su, che spesso nulla sanno di quegli anni e a quali grandissime prove la gioventù venisse chiamata. SEGUE3


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6 commenti     2 recensioni    

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2 recensioni:

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  • Raffaele Arena il 12/01/2012 21:42
    Nella seconda parte la tenzione è la medesima. E si intuisce la ricerca dell'autore sia del lessico scorrevole che della trama. La semplicità è frutto di uno studio in parte approfondito forse con documenti, forse con racconti di prima mano. È la semplicità e chiarezza a livello formale, che si ritrova poi anche nella sostanza, a rendere il capitolo di ottimo livello.
  • mauri huis il 08/01/2012 11:21
    Forse sono il primo, e me ne vanto. Si legge che è un piacere e si sente che viene "da dentro". Traspare tutta la parte più abbietta di quel che a un certo punto era diventato quella specie di regime, grazie anche alla parte più imbelle della nazione. Per correttezza di devo dire che c'è un mario in più e un Amos in meno all'inizio della seconda pagina, ma un peccato venialissimo che nulla toglie al valore dell'opera. Non operina, stavolta.

6 commenti:

  • Fernando Piazza il 09/02/2012 23:29
    Confermo quanto ho detto nel commento alla 1à parte sul fatto che di storie così se ne dovrebbe tramandare il racconto e la memoria ogni giorno, per non dimenticare come era vivere in quei tempi, con la paura costantemente attaccata addosso, quando la libertà di fare persino le più piccole cose era un lusso che non ci si poteva permettere. Bella la scena in cui Mario abbraccia gli amici, forse perché conscio del fatto che può anche essere l'ultima, visto il rischio che corre ma anche perché quel segreto non può condividerlo con loro, per proteggerli dal pericolo che lui stesso corre... Bello anche questo tuo raccontare fluido, avvincente, attento ai dettagli e alle descrizioni accurate delle atmosfere, dei luoghi e dei sentimenti che provano i personaggi nel loro agire. Domani leggerò l'ultima parte.
  • Anonimo il 19/01/2012 19:22
    Emozionante leggere queste righe, conoscendo la vita dei partigiani e la paura delle famiglie ebree braccate prima e cacciate poi, o internate. Davvero un racconto istruttivo, oltre che scritto bene... pare di vederli quei tre ragazzi... sono curioso di leggere l'ultima parte. ciaociao... e brava.
  • gina il 10/01/2012 15:04
    Il racconto prosegue scorrevole, bella la voglia di cantare nonostante tutto... perchè la vita ci spinge a cercare bellezza e attimi felici anche nei momenti più bui...
  • alta marea il 08/01/2012 20:00
    Bello!!! già la prima parte mi aveva affascinato, condivido in pieno le note dell'autrice, tanti giovani di oggi dovrebbero sapere...
  • Anonimo il 08/01/2012 16:44
    hai ragione Morry... anch'io spero che i ragazzi possano apprendere da questo tuo bellissimo racconto ciò che è stato... bravissima ed abile penna... complimenti di cuore... un abbraccio
  • Anonimo il 08/01/2012 15:22
    Quanto hai ragion Maryterry, davvero i giovani erano chiamati a cose oggi incredibili, non si giocava mica! Mi piace il tuo narrare, ha un non so che di avventuroso, quasi di picaresco, il che smorza la tonalità intensa dello sfondo storico in cui si muovono i giovani protagonisti. Ah, poi per me Venezia è una seconda casa, per cui riesco a visualizzare i luoghi di cui parli, il cimitero, il campanile dell'Orto, Bello e brava!

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