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STRANE MACCHIE

Poco dopo l'alba.  Nottataccia mi butta giù dal letto con la grandine sui vetri e la luna nascosta dentro una densa cortina grigiastra. Vado in cucina e preparo il caffè. Come al solito, nell'attesa spio alla finestra semmai  riesco a raccogliere nello sguardo quello spicchio di mare lì in fondo a nordest. Niente, è scuro, il cielo  una cappa. L'orizzonte non ha nulla d'infinito,  stamattina è una lunga corda scura che lega  palazzoni di periferia schierati  in assetto di guerra. 

Lo sguardo si ritira dietro le tende e  deluso cerca d'opporre al cemento una quiete familiare. La caffettira sbuffa, giro la manopola del gas  e attendo gli ultimi gargarismi fumanti per poi riempire la tazzina con lo zucchero, ormai  spazientita. Sorseggio, mentre lo sguardo riprende inquieto  la propria ricerca sulla parete di fronte. D'un tratto si blocca come inebetito. C'è ancora il fumo del sonno a sostenerlo prima che rassegni ogni volontà al giorno. Per questo resta interdetto innanzi a quelle ombre scure sul muro che lo hanno catturato ormai da qualche minuto. Non sa bene se il confine del dormiveglia ha già ceduto alla realtà o se  gli strani disegni futuristi,  non siano invece una propagine dei sogni agitati, compagni della breve notte appena trascorsa. È la lingua a scattare, per aver indugiato nella tazzina bollente più del lecito, a dargli la certezza d'essere ormai in piena vita, dura vita. Mi avvicino e tocco con mano quei disegni ancora  umidi. Apro la porta d'ingresso e sulla spalla esterna della stessa parete l'acqua gronda giù nel pianerottolo  quasi a  fiotti. Non so che fare. Rientro, finisco il caffè e preparo in bagno gli occhiali e le poesie di Patrizia Cavalli

 

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