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Ai tavoli di un bar

Era seduto ad un tavolo, in un bar. Era piena estate, ma sotto il suo turbante tremava, assieme alla tazza di caffè che teneva fra le mani, stretta come se fosse il suo unico bene.
Aveva davanti a sé un tavolino, su cui si innalzavano pile di fogli F4, scritti in strani colori con strani caratteri, disordinatamente. Non sembravano impilati secondo una logica: ogni tanto il ragazzo ne sfilava uno dalle tre pile, che come torri di confine si frapponevano fra lui ed il mondo, lo leggeva, restava qualche attimo attonito e poi rimetteva il foglio fra gli altri.
Continuò a fare così per molto tempo nel caldo quasi materiale di quell’estate torrida, circa due ore.
Al resto del bar e dei clienti sembrava poco importante il suo lavoro, ma si vedeva nella sua attenzione nell’impassibilità e nell’indifferenza di quella goccia di sudore che lentamente scendeva dalla fronte che per lui invece tutta la faccenda aveva un senso fondamentale.
Passò ancora qualche minuto: erano le sette di sera, una campana suonava ed invitava tutti a lasciare le proprie occupazioni ed a tornare alle proprie case, per riposarsi. Il ragazzo prese un foglio grigio cenere; lo studiò un poco e poi, con sicurezza, lo accartocciò e lo buttò.
Sembrava felice che il suo sforzo fosse riuscito a concretizzarsi; mise i rimanenti fogli in una borsa di pelle, riguardò il foglio appallottolato, ne rilesse il contento e per qualche momento ci ripensò su, poi lo gettò irrevocabilmente. Si mostrava compiaciuto. Anch’io, benché non avessi fatto assolutamente nulla, ero felice nel vedere quel ragazzo che si avvicinava sempre più alla sua meta: come mi avrebbe poi detto in seguito, doveva arrivare a scartare tutti i fogli tranne uno.
Il giorno seguente vidi con mio grande piacere il ragazzo procedere con una velocità straordinaria, cestinava fogli con un ritmo abbastanza concitato, salvo poi fermarsi nella disperazione più totale poche ore dopo, verso mezzogiorno, quando il sole picchia violentemente la terra, che non piange per risparmiare acqua. Aveva diviso i fogli per colore, con grande disappunto del barista, a cui aveva occupato un altro tavolino; come ho detto, procedeva bene ed aveva prima scartato i fogli delle tonalità più scure, pio quelli con le tonalità più chiare. Anche se la velocità era aumentata, il ragazzo compiva sempre le sue scelte con molta coscienza, leggendo e rileggendo i fogli, appallottolandoli definitivamente, gettandoli via.
Ma quando i fogli si erano ridotti a nove, il giovane era ripiombato nell’incertezza; un giorno, non sapendo più che fare, aveva appoggiato la testa fra le mani a nascondersi la faccia, singhiozzava. Fissava quei fogli, smarrito, senza sapere assolutamente cosa fare, quale fra i fogli dovesse restare.
Lo vidi anche armato di block-notes, su cui aveva fatto una lunga lista di pro, accompagnata da un’altrettanta lunga lista di contro per ogni foglio.
Solo allora si accorse che lo fissavo. Mi chiese di avvicinarmi e mi spiegò il suo problema. Ora, seduto vicino a lui, riuscivo a leggere ciò che era scritto sui nove fogli: gloria, bontà, grandezza, durata, potenza, sapienza, volontà, virtù, verità. Mi disse:

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2 commenti:

  • Alberto Ghia il 07/01/2007 20:58
    era proprio il messaggio che volevo passasse! sono contento che sia stato capito!!

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