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Il venditore di destini (4)

Per un bel po' non dissi niente. Nel corso di quei pochi giorni avevo sviluppato una specie di strategia di sopravvivenza. Di fronte ad un mondo così diverso, che in un'altra situazione mi avrebbe fornito continui stimoli ed un inesauribile desiderio di conoscenza, mi ero invece formato una specie di corazza. Permettevo alle novità di far breccia nella mia mente solo un poco alla volta. Cercavo, per non impazzire, di elaborare adeguatamente ogni situazione nuova; rimasi quindi in silenzio, osservando l'evoluzione della scena.
L'uomo con il mantello era giunto sulla piazza ed era entrato senza indugi in una specie di parallelepipedo tutto di vetro, che stava in mezzo alle bancarelle, sul lato più vicino a noi. La folla si era immediatamente accalcata intorno ai quattro lati della costruzione. Uno schermo gigante posto in alto aveva cominciato a mandare immagini dell'interno, in modo che tutti potessero vedere quello che vi accadeva. Comparve un numero in sovraimpressione, un ragazzo si fece largo fra i curiosi ed entrò. Da quello che si poteva vedere dalla nostra postazione, nella stanza c'erano solo due seggiole, una di fronte all'altra, senza nulla nel mezzo. Su una era seduto quella specie di santone e sull'altra fu fatto accomodare il ragazzo. I due avvicinarono le teste, cominciando una fitta conversazione.
Diedi un'occhiata al mio amico. Se ne stava rilassato, senza prestare attenzione ad una scena che doveva essergli familiare. Ero piuttosto io l'oggetto della sua curiosità. Mi osservava cercando di memorizzare ogni dettaglio. Studiava le mie reazioni. La cosa non mi dava troppo fastidio, in fondo era stato onesto e me l'aveva detto.
Ci guardammo negli occhi per un lungo istante, poi ruppi il silenzio:
"Ma tu credi nel destino?"
In quel momento arrivò un suo amico, quello stesso che avevamo incontrato il primo giorno. Si accomodò vicino a noi senza aspettare di essere invitato e proruppe immediatamente in una sonora risata.
"Ecco, non appena c'è in giro un barbuto, diventiamo tutti filosofi!". Poi, senza aspettare una qualche risposta si volse verso Talnòc.
"Allora, non rispondi al nostro NomeDoppio? Ci credi tu, al destino?"
Risero tutti e due di gusto.
"Caro Giuliano, vieni qui, proprio qui, a chiedere se crediamo nel destino? Che diamine! Non so come la pensiate voi laggiù in Italia, ma da noi il destino è ... pane quotidiano. Non passa giorno che ciascuno di noi non faccia i conti con il suo destino. Si può dire che lo succhiamo dal biberon. Di cosa credi che si parli agli altri tavoli di questo bar? O in quel gruppo di ragazzi laggiù?"
Si volse verso il nuovo venuto, come a cercare conferme, che vennero sotto forma di abbondanti cenni del capo.
"Parliamo anche di donne, certo! E di soldi, ovviamente. Ma è il destino l'argomento su cui è addirittura imperniata la nostra vita"
"Ma... quindi voi di questo paese, come si chiama... ecco sì, Valean, voi dunque credete che esista un percorso preordinato per ciascuno di noi e che tutto quello che ci accadrà sia già scritto, è così?"

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