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Come nasce e muore una passione

La prima volta fu per caso, senza averci mai pensato prima. Una croce su un quesito d'un test della visita di leva, alla caserma Martini, e quel che ne conseguì fa parte di un'altra storia, ormai. Anzi, di un'altra vita: la mia prima. La seconda non fu un caso e non fece parte ne della prima ne della mia seconda vita, ma della terza. L'attuale. Solo di striscio riguardò, anzi, riprese un po' la prima. Diciamo nell'ispirazione. E qui devo fare un passo indietro.
Come nasce una passione? Da un'idea, in primis, una voglia o poco più, che però, invece di andare e venire, resta. E un po' alla volta diventa un'esigenza e poi un progetto. Di solito con me funziona così. Ed ha un inizio e una fine, se è vero che una volta scrissi "passioni transitorie e intermittenti / non funzionali ai loro stessi fini" distico che mi definisce più di mille altre parole. Questa passione durò sei anni, mese più mese meno, ed eran passati circa vent'anni da quella prima croce che invece mi catapultò, nel lontano 1977, alla Scuola Militare di Paracadutismo di Pisa e alla caserma Vannucci di Livorno dopo. Nel frattempo non c'era più stata nessuna attività specifica, o collegata, né interessamento. La naja fu un capitolo chiuso col congedo e riposto in un angolo oscuro della mente assieme ad altri ricordi della mia prima vita.
Questo almeno fino a una telefonata di un mio collega di lavoro, alpino paracadutista nell'anno successivo al mio, che mi proponeva, anzi ci proponeva, a me a mio cognato, paracadutista pure lui, anche se carabiniere però, e due anni dopo di me, una rentreè. Andata e ritorno alla festa annuale della Folgore a Pisa e Livorno. In un primo momento declinai, perché sono sempre stato immune alle rivisitazioni nostalgico - goliardiche. Per me quando una porta è chiusa è chiusa. Difficilmente la riapro per riguardarci dentro. E quella tale era: chiusa ormai per sempre. E invece vi andai, più che altro per non rovinar loro la festa e fare il viaggio almeno in tre, e poi anche perché ero il trait d'union, visto che, tra di loro, si conoscevano appena.
Fu un viaggio tranquillo: andata dalla Cisa e giù per la Versilia fino a Pisa e Livorno, ritorno dall'Abetone via Firenze e Bologna senza particolari problemi di traffico, visto anche il periodo di fine ottobre. Visita alla caserma, parate, lanci, capatina allo spaccio, qualche distintivo ricordo e poi pranzo alla mensa della caserma, quattro passi in centro e ritorno. Revival puro e nudo, senza troppo trasporto, per tre che in fondo nemmeno eran stati commilitoni veri. Unica cosa in comune, la SMIPAR per tutti e la caserma Vannucci per me e mio cognato, per il resto corpi diversi e annate diverse: paracadutisti io nel 77, alpini il mio collega nel 78 e carabinieri mio cognato nel 79. Gente ritrovata poca, riconosciuta ancora meno, atmosfera generale un po' dimessa. Niente di che.
Di quel viaggio a tre mi ricordo due cose. Il lancio dimostrativo con atterraggio ai piedi del monumento della caserma, e le facce dei giovani commilitoni sotto le armi in quel momento. C'era qualcosa di diverso, qualcosa di speciale che non riuscivo a definire adeguatamente. Ci pensai su e alla fine decisi che erano le espressioni dei volti e un certo tipo di atteggiamento comune. Che peraltro non mi erano mai stati del tutto simpatici, ne l'uno ne gli altri. Credo che sia perché ai paracadutisti non basta aver coraggio, il coraggio di fare qualcosa, in fondo contro natura, che nessun sano di mente farebbe, come saltare da un aereo in volo. Eh no, bisogna anche dimostrarlo quel coraggio, e soprattutto a terra, quando si è in mezzo alla gente comune, che invece non ce l'ha! E lo chiama incoscienza.

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l'autore mauri huis ha riportato queste note sull'opera

Riveduto, corretto e riproposto.


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3 commenti     1 recensioni    

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1 recensioni:

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  • Raffaele Arena il 23/01/2013 00:39
    Questo racconto è molto bello. Descrive l'emozione di una pratica militare, di uno sport, e svela anche segreti di una persona che ha vissuto una passione, e mantiene questo bagaglio, come in un ripostiglio. Hai aperto il bagaglio, lo hai narrato in modo sentito e vero. Ricordo durante un esercitazione militare, nel 1990 con le Forze di intervento rapido, l'incontro con i paracadutisti, uomini e ragazzi caduti dal cielo. Convinzione, in certi casi forse anche "fanatismo". Come semplice servente radiofionista di un Leopard non riuscivo a capirli. Noi ci riposavamo e loro a far flessioni. Questo tua testimonianza mi ha aperto gli occhi su un mondo di persone coraggiose, nell'affrontar le loro paure, i loro limiti. Piaciuto.

3 commenti:

  • Anonimo il 04/04/2012 11:46
    Non sempre lo sport viene esercitato per passione, ma quando avviene diventa parte di se stessi e lo si capisce perfettamente dall'eccellenza di questo racconto. Dimostra ancora una volta la straordinaria bravura dell'autore, la di cui vera passione è raccontare e comporre poesie.
  • Anonimo il 01/04/2012 19:11
    co grande interesse holetto questo racconto che racconto non è perche si puo capire dalla dovizia d particolari tecnici che diversamenye non si potrebbero dare se non da persone competenti. come nasce e muore una passione. quando si puo raccontare penso sia una cosa bellissima. complimentiper come e stata scritta. salvo
  • alta marea il 30/03/2012 14:03
    Bellissimo... il paracadutismo, lo smipar... ecc. mi hai fatto ricordare gli istruttori che venivano da pisa erano dello smipar, quindi ben comprendi quando ho detto che salti ci facevano fare e come si fa a diminiuire lo sbalzo usando gli arti... Mi è piaciuto il racconto.

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