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Era ancora notte

Mi svegliai di soprassalto, era ancora notte fuori dalla finestra. Nella stanza l'aria era pesante e tetra, buia e piena di insidie. Amavo il disordine, il mio disordine, d'altra parte ero e sono tuttora un ragazzo come tanti, uno di quei fuori sede che non ha voglia di sistemare due magliette e qualche libro. Era ancora notte fuori dalla finestra, ed era notte anche dentro la mia stanza. Il mio coinquilino ancora dormiva, ed io non avevo il coraggio di alzarmi dal letto e di guardare l'orologio. Non potevo guardare l'orario sull'orologio che avevo appeso al muro, come ho detto la stanza era buia, ma soprattutto detestavo il ticchettio delle lancette mentre studiavo, da cui la decisione di comprare un orologio per il solo fine estetico. Trovai allora la forza e la determinazione di arrivare fino alla scrivania per prendere il cellulare. Tanto vicina al letto, la scrivania, eppure tanto lontana da non essere raggiungibile stendendo la mano. Dovevo proprio alzarmi. Sul display l'orario dava l'impressione di essere insolito. Il mio sguardo non era abituato a metabolizzare quei numeri in quelle condizioni: erano le cinque meno un quarto. Ed era primavera, non avevo lezione, era un sabato di primavera, un caldo sabato di primavera, soleggiato e molto sereno. Eppure ero già sveglio. Sbrigate le prime faccende personali post-sveglia decisi di non perdermi d'animo e di iniziare la giornata con il sorriso e con belle intenzioni per il futuro. Un esame alla porte equivale ad una grande mole di studio; per cui mi rimboccai le maniche e mi misi a leggere qualche pagina del fantastico manuale di biologia che avevo in dotazione, sperando che il cervello fosse abbastanza risposato e pieno di buoni propositi per ricordare qualcosa di quello che stavo leggendo. È inutile dire che la mia iniziativa ebbe insuccesso. I pensieri continuavano a distogliere la mia attenzione dal fantastico mondo della cellula. Le paresti piene di poster, il silenzio, il disordine, tutto troppo perfetto per studiare. Cosa fare? Avevo intenzione di aspettare che il mio coinquilino si svegliasse per fare colazione. Eppure lo stomaco brontolava e il cervello aveva definitivamente sconfitto ogni minima forza di opposizione che appoggiasse il mio inconsueto senso di dovere nei confronti dello studio. Sorvolando preamboli retorici poveri di significato, avevo fame, dunque andai a fare colazione tutto solo, come un reietto, o come quei servetti che erano costretti a mangiare prima che si svegliassero i padroncini viziati a cui dovevano preparare la colazione. Come dire, mi sentivo un po' come cenerentola quella mattina. Sporco, solo, un po' fuori luogo, ma felice, si decisamente felice. Mi piaceva pensare e riflettere su tutto ciò che mi capitasse a portata di mano, e quella mattina non facevo altro che trovare nuovi spunti e nuovi stimoli su cui sviluppare storie o strani pensieri che nascevano, morivano e di nuovo venivano su come fossero chiocciole che compaiono e scompaiono al variare del tempo. Il latte era in frigo, l'immancabile nesquik nella credenza. I cereali, le fette biscottate, il miele, la marmellata, un cucchiaio, una tazzina di caffè, c'era tutto. Chissà quante cose avrei realmente mangiato o utilizzato di tutte quelle con cui avevo riempito il tavolo, ma d'altronde a chi non piace fare colazione immerso in un mare di colori, sapori e profumi che riempiono l'aria di gioia. C'era anche il sole a farmi compagnia, stava sorgendo. Erano passati circa quaranta minuti dal mio fortunato risveglio, e il cimitero in lontananza iniziava a dorarsi di una luce tiepida e soffusa. Gli alberi erano scuri sul lato destro e frastagliati da piccole stelle di luce sul lato sinistro. Le imponenti mura erano rossicce e i primi raggi del sole le bagnavano a poco a poco, creando un effetto magnifico. Gli uccelli volavano nel cielo verso il cimitero per andare verso il mare; stormi infiniti, che si stagliavano nell'azzurro, come sagome in rilievo su uno sfondo che si faceva man mano celeste, di una tonalità chiara e piena di luce, interrotta talvolta da nuvole biancastre solcate da rivoli rosso opaco. Il cuore si apriva ad ogni respiro. Quasi non sembrava l'Italia. Bisogna ammetterlo, i problemi sono tanti, ma un paesaggio simile farebbe morire di invidia il resto del pianeta. Io nel frattempo abbozzavo un prototipo di colazione sul tavolino della mia cucina. Non avevo neanche voglia di prepararmi da mangiare. Quella mattina ero stranamente poco reattivo, fisicamente parlando. I pensieri invece continuavano a sfrecciarmi nella mente senza sosta. La tv presentava una curiosa edizione del telegiornale, che poche volte mi è capitato di vedere. Come al solito richiederebbe più bollini rossi il Tg piuttosto che un horror di Steven King. Cadaveri, uccisioni, tasse in rialzo, benzina alle stelle, schiene lacerate al sole e sudate, spaccate dalla fatica e dagli anni, ridotte allo stremo da lavori massacranti che non rendono ciò che valgono, che non sono ritenuti degni di ricevere in cambio la sicurezza che per un mese si riuscirà ad andare avanti.

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