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Il miglior silenzio mai sentito

Aveva sempre sognato di sentire la sua voce per strada. A disposizione dei passanti, che l'avrebbero ascoltata immersi nella loro fretta, anche se probabilmente non avrebbero dato peso al fatto che fosse proprio la sua voce ad essere trasmessa: trasmessa in una vera radio, in una radio nazionale, e tanto gli ebeti che camminavano senza meta, quanto gli indaffarati schiavi della fretta del caffè prima del rientro in ufficio avrebbero potuto riconoscere che la voce del cantante in questione era diversa, diversa dalle altre che condivano l'universo di canzoni tutte uguali che era diventato il Pop.
E di questo i suoi amici andavano orgogliosi: e per che cosa, sennò, fare tanti sacrifici?
Per diventare gli idoli di quelli che alle medie ti prendevano in giro, quelli che rendevano buie le tue giornate, quelle che alimentavano i tuoi peggiori dubbi. Successo? Donne? No, erano tutte cose secondarie.
Quel giorno chiunque, alla stazione dei treni, avrebbe potuto sentire la sua voce per i canonici 3 minuti... e allo stesso tempo questo miracolo si sarebbe verificato anche in piazzeta Vescovato, e poi lungo tutto Corso Zanardelli, e così via...
Peccato lui fosse fermo, avvolto dalle coperte.
Ma perché gli amici che gli erano intorno non gli facevano domande tipo: "ma come ci si sente a sapere che han mandato un tuo pezzo in radio?", oppure "tra poco su MTV, eh campione?"
La risposta era affidata alla bocca mezza aperta che va leggermente all'indietro, come quando fa: "eh, beh, sai...", e quello era il miglior regalo che si era pensato gli si potesse fare.
Dalle prime scale provate sul letto di ospedale con la chitarra regalata in tenera età, egli aveva fatto degli enormi progressi, per quanto gli fosse consentito dall'avanzare della malattia: gli occhi lucidi del padre gli parevano essere di orgoglio, mentre in realtà il genitore aveva ben altro cui pensare. Il padre avrebbe desiderato che il figlio fosse divenuto qualcuno nella musica, quel qualcuno che, per ironia della sorte, lui stesso era stato costretto a rinunciare ad ambire proprio dalla nascita dello stesso Davide, il suo unico figlio.
Ai primi sintomi, fu proprio suo papà a sentire le note più profonde, quelle che ti scavano dentro, che ti permettono di diventare una creatura superiore, che ti fa vedere le invisibili linee che si intersecano e legano le vite, legano la tua strada a quella di chi porti nella carrozza in questo viaggio così disperato, sperando di vedergli prendere le briglie mentre tu te ne vai al suo posto, al caldo.
Lui, che nella sua giovinezza avrebbe voluto salire sui palchi più prestigiosi, avrebbe fatto di tutto pur di vedere il proprio pargolo raggiungere questo obiettivo, riuscendo magari a scorgere la folla attraverso gli occhi di suo figlio, sentire il clamore della gente attraverso le sue orecchie, toccare il cuore dei più deboli con il tocco delle proprie dita sulla sei corde e con l'ingresso della voce nel microfono. Ed il chiaro delle luci sul palco non sarebbero state intense come quella sensazione.
Sarebbe stato contento ed appagato lo stesso, perché Davide era una continuazione della sua esistenza: una possibilità in più, del tempo extra per i suoi sogni.

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