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Il bambino senza nome

Era lì dentro soltanto da quattro settimane, ma gli sembrava un'eternità. Nuotare in quel liquido, nel buio di quella grande mongolfiera che era la pancia di sua madre, non gli risultava di certo la sua attività preferita. E se pensava che era costretto a starci per altri otto mesi gli veniva da impazzire. Era un abbozzo di esistenza, il passo iniziale di una vita che di lì a poco sarebbe sbocciata in tutto il suo splendore. Avrebbe aperto gli occhi al mondo, riempendosi della luce che in quell'inferno chiamato utero lasciava decisamente a desiderare.
Si trovava all'inizio del suo percorso, la prima tappa della maratona che gli avrebbe dato la luce, ma già pensava al futuro. Quello immediato, ma anche quello che lo aspettava lì fuori. Gli piaceva, ad esempio, immaginare le emozioni di sua madre nel momento in cui avrebbe scoperto di portare in grembo un bambino. E di quando avrebbe scoperto che quello scricciolo al suo interno sarebbe stato un bel maschietto. Si è vero, stava solo alla quarta settimana, ma quell'embrione pieno di vita conosceva già il suo destino. Sarebbe stato un maschio.
Ma il suo pensiero più ricorrente era quello del nome che i suoi genitori avrebbero scelto per lui. Lo riteneva una cosa importante. Conoscere la scelta dei suoi genitori era la cosa che più desiderava. E sapeva già che sarebbe stato orgoglioso di portarlo, quel nome. Qualunque nome. I nomi sono il primo regalo che riceviamo quando siamo ancora una cosa sola con nostra madre. E sono anche l'unica cosa che ci portiamo dietro quando la vita finisce. Il regalo più prezioso, che custodiamo in eternità. Lui era desideroso di ricevere quel regalo, perchè sarebbe stata la prima firma sulla sua vita.
Purtroppo, però, il suo desiderio si trasformò nella tragica fine dei suoi sogni. Era alla settimana numero nove, e lui continuava il conto alla rovescia che l'avrebbe accompagnato al regalo tanto atteso. Una manciata di mesi e sarebbe diventato un bambino con un nome. Ma una nuvola di dolore si stava affacciando sul cielo della sua vita, portando per sempre le nubi nella sua esistenza. Sua mamma, quella donna che lui già amava, aveva deciso di rinunciare alla gioia che le avrebbero dato gli occhi di quel bambino non appena si sarebbero aperti al mondo.
Gravidanza indesiderata. Aveva sentito parlare così di lui. Gravidanza indesiderata. La sua vita non sarebbe stata tale. Avrebbe smesso di nuotare in quel liquido che tanto odiava, ma non per vedere la luce. Quell'utero buio che sperava di lasciare al più presto diventò di colpo il posto che amava di più. Avrebbe preferito di gran lunga il buio per nove mesi, pur di non perdere per sempre le speranza di vedere la luce.
Ma ormai era troppo tardi. Nel momento in cui qualcuno lo stava portando via dalla vita, riuscì solo a pensare al nome che non avrebbe avuto. Senza un nome, la sua vita non sarebbe esistita.
Sparì, di colpo. Le tenebre lo risucchiarono in un vortice di terrore, per relegarlo per sempre nella categoria dei bambini senza nome. Quei bambini che nessuno mai ricorderà.

 

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4 commenti:

  • Pierpaolo Orefice il 23/05/2012 10:43
    Ciao Piero, mi fa piacere che segui i miei racconti e ben vengano anche le critiche. Cito una frase che ha usato una blogger commentando il racconto sul mio blog: "C'è solo una vita che voleva essere e non è più". Scrivendo il mio piccolo racconto non mi sono soffermato sulla questione "tecnica", ovvero se si tratti di un feto o di un bambino, come dici tu, ma ho operato uno sforzo di immaginazione, cercando di ascoltare le parole di un "abbozzo di esistenza" e lasciando trasparire dallo scritto la mia idea sulla questione. È logico che un feto non sia in grado di fare tali considerazioni, com'è logico che non sappia farle neanche un bambino. Io ho provato soltanto a guardare un problema attuale come quello dell'aborto attraverso gli occhi di chi sta dentro la pancia, usando la fantasia che mi serviva per far parlare quattro(o nove) settimane di vita. Grazie a te, Mariateresa e Rita per i commenti.
  • Rita il 22/05/2012 23:37
    Triste realtà in continuo aumento. La vita si rispetta proprio dando la vita.
  • mariateresa morry il 22/05/2012 23:32
    Non sono d'accordo con il giudizio di Piero, il quale con opprimente realismo, schiaccia una invenzione creativa di Autore, secondo la logica del " non è reale". Un autore è un'autore e scrive ed inventa quel che vuole e fa parlare chi crede, anche un feto. Se poi ad infastidire è la filosofia antiabortista che sottende il racconto, questo è un altro paio di maniche ancora... aveva ragione Breton!!
  • PIERO il 22/05/2012 23:21
    Caro PierPaolo,
    poiché sono stato proprio io a darti il benvenuto, poiché ti ho detto che mi piacciono i tuoi racconti, poiché scrivi bene, non posso esimermi dal comunicarti tutta la mia delusione per il tuo ultimo racconto. È ancora una volta scritto bene, ma lo ritengo una operazione disonesta.
    Un feto di quattro settimane, quand'anche arrivasse, per motivi che non spetta a noi giudicare, alla nona settimana, è un feto, non è un bambino, e non è in grado di fare le considerazioni che tu gli metti in bocca.
    Piero

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