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Lo stabilimento

Lo stabilimento era a Suani Ben Aden, un po in periferia, ai margini del deserto. Era a suo modo imponente per quei luoghi: si facevano ben notare infatti, quella fila di 10 grandi silos color carota e il grande capannone dove erano situati i macchinari e il deposito delle merci. Davanti a questo complesso stavano, in un unico basso edificio, la direzione e gli ampi uffici, e pure tre piccoli alloggi. Un po in disparte, quasi nascoste, una decina di baracche di legno che a suo tempo erano state abitate dagli operai sudanesi, ciadini, centroafricani, egiziani, tunisini, e di altre nazionalità ancora, che qualche anno prima avevano dato il loro contributo alla costruzione dello stabilimento sotto la guida di progettisti e tecnici italiani.
Pur essendo praticamente nuovo, l'opificio aveva l'aria di essere mezzo abbandonato, era poco curata la pulizia e nessuno sradicava erbacce e cespugli che disordinatamente crescevano ovunque. Un vecchio beduino stanziava placidamente poco lontano dalla recinzione, su un'ampia tenda sotto alberi e qualche palma. Li attorno pascolavano delle pecore, delle capre e un paio di cani. Quella specie di pastore sembrava essere solo e a volte, la sera, lo si poteva vedere seduto davanti alla sua tenda con un fuoco acceso mentre guardava una televisione alimentata da una grossa batteria di camion.
La strada verso Tripoli passava li vicino e a meno di mezzo kilometro una lunga e bassa costruzione di mattoni ospitava una serie di botteghe in cui si poteva trovare merce di qualsiasi genere. Era la che facevamo fronte alle nostre giornaliere necessità alimentari. Il pane fresco tutti i giorni, la carne, la pasta, scatolame vario, abbondavano quasi sempre e poi c'erano le sigarette che erano vendute soltanto a stecche di 10 pacchetti: non vino e alcolici che erano assolutamente proibiti. Un po più avanti, non proprio sulla strada, una piccola moschea bianca con il suo minareto rendeva inequivocabile il paesaggio islamico.
Lo stabilimento produceva mangime per tutti gli animali d'allevamento e forse era l'unico della Libia di quegli anni. Io e il mio socio sovraintendavamo al suo funzionamento e alla sua manutenzione; si trattava di un buon lavoro e assai ben pagato. Era negli alloggi della Direzione che abitavamo e insieme a noi - in uno sgabuzzino due metri per tre - un nero sudanese di nome Mohamed, che fungeva da pesatore e che svolgeva anche poche altre minori faccende. Era religiosissimo e aveva una gamba di legno: aveva combattuto nella "Guerra dei sei giorni" nell'esercito egiziano e gli israeliani gli avevano fatto quel regalino. Il moncherino, all'altezza del ginocchio, spesso gli faceva male e allora lo si poteva vedere saltellare di qua e di la su una gamba sola.
Il regime aveva nazionalizzato l'opificio pochi anni dopo che era stato costruito. Quando qualche volta veniva a trovarci, il vecchio proprietario inveiva contro il colonnello, e bestemmiava e sfogava la sua rabbia che era tanta, ma stava attento che non ci fosse nessun altro oltre a noi. Non sapevamo cosa dirgli per consolarlo. Un minimo di imbarazzo da parte nostra nei suoi confronti, che a suo tempo ci aveva assunti, c'era, considerato che per conto del governo avevamo dovuto fare l'inventario di macchinari, attrezzature e quant'altro faceva funzionare lo stabilimento. Non si sapeva quanto lo avevano pagato ma lui amava talmente tanto quello che aveva creato dal niente, da aiutare ugualmente e assiduamente, con il suo interessamento e la continua consulenza, il nuovo direttore governativo. Praticamente continuava lui, da dietro le quinte, a guidare l'azienda. Aveva la segreta speranza che un giorno l'avrebbe riavuta. Si chiamava Nasser ed era un imprenditore molto ricco e molto scontento di quel regime.

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8 commenti     1 recensioni    

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1 recensioni:

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  • Don Pompeo Mongiello il 22/06/2012 16:17
    Racconto ammirevole, seppure letto in fretta mi son rimaste delle impressioni. Qui sta la tua bravura.

8 commenti:

  • Anonimo il 05/06/2013 08:40
    Letto e piaciuto. Ricerca introspettiva nella descrizione dei personaggi molto curata.
  • Anonimo il 19/07/2012 12:14
    Un racconto molto suggestivo e che giunge direttamente al cuore. Complimenti.
  • Massimo Bianco il 01/07/2012 09:54
    Mi era venuta voglia di scoprire cosa e come scrivevi e sono andato a leggermi i tre ultimi tuoi racconti. Validi nel complesso tutti, ma quello che mi ha maggiormente convinto è questo: una buona e significativa descrizione di un momento di vita in uno dei paesi più cupamente protagonisti delle recenti rivoluzioni. Interessante.
    Tra parentesi anch'io mi sono occupato della questione libica nel mio racconto "Civiltà violenta", nel terzo episodio, idealmente ambientato a Misurata, di quello scritto suddiviso in quattro microracconti ambientati in quattro diverse epoche per dire la mia sulla natura dell'uomo.
  • Anonimo il 19/06/2012 05:33
    bravo Ellebi... vola come il vento... ben sritto, belle descrizioni un bel racconto...
  • mauri huis il 18/06/2012 09:49
    E così te ne intendi di mangimifici ed hai lavorato in quello di un grosso allevatore di galline in Libia espropriato dalla "rivoluzione" di Gheddafi. Com'è piccolo il mondo! E mal combinato! Bel racconto questo tuo. Si sente il punto di vista di chi c'è stato veramente. Si capisce anche molto di quanto sia arretrato e brutale quel mondo di là dal mare. Ci sono un po' di refusi che potresti aggiustare ma direi che mi è piaciuto molto, anche perchè di mangimifici un po' ne capisco. Complimenti LB!
  • silvana capelli il 08/06/2012 22:01
    Ho letto in un baleno il tuo bellissimo racconto, la tua vita in quel paese deve essere stata non tanto vivibile. Eppure per guadagnare si fa anche questo. è un racconto che leggendolo l'immaginazione viene da se, molto piaciuto.
  • Don Pompeo Mongiello il 06/06/2012 13:57
    Per me molto lungo, ma dallo sguardo dato credo di aver capito l'essenza del tuo pur sempre bel racconto.
  • Anonimo il 28/05/2012 12:30
    Molto bello e scritto bene. Mi è piaciuta la descrizione dei vari personaggi e il constatare come tutto il mondo è paese, se pur con sfumature differenti.
    Si legge tutto d'un fiato, complimenti!

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