Non ricordo più. Le foto del mio nome scivolano tra le dita, non so più camminare. Aspetto. Aspetto e canto l'Alaska. Canto il candore delle nevi e la notte del sottosuolo, nel perenne contrasto che in tempi immemori si fece vita. Canto la memoria del viaggio, la brezza che carezzò capelli appena più che ipotetici. Lascio che un elettrocardiografo Geiger tracci il grafico dei secondi che mi scivolano addosso, mentre l'eco ovattato di un buzzer mi ricorda che fuori dalla nostra cella metallica qualcosa respira, si muove, cresce e svanisce senza lasciar traccia. Qualcosa a me impalpabile, distante anni luce dietro un plaid di lamiera e vernice. Come impalpabile è l'aria che si fa fuoco nella frazione di secondo in cui ti corro incontro. La frazione di secondo in cui la mia essenza si tinge dei sogni che divora, in cui tutto è per poi svanire tra la polvere e il rumore. Adesso non sono più, eppure siamo ovunque. Siamo il cielo che corona storie estinte. Siamo le lacrime vaporizzate sui volti cancellati. Siamo calore, siamo luce. Siamo il breve sospiro di un Sole che abbaglia e si fa chiamare mezzanotte.