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Il bastardo abbandonato

Il bastardo abbandonato

C’era una volta… già, in effetti, c’era… chi può negarlo? Ma…

(Non è detto che non si corra un rischio quando si comincia col dire: “C’era una volta…”, infatti si può dare la fondata impressione che una volta, c’era… e che adesso non c’è più.
Pertanto non inizieremo in questo modo, lettori cari (anche se i fatti narrati, ormai, magari li ha già, da gran tempo, dimenticati forse anche il protagonista di questa storia), poiché ancora c’è. Eh, sì, poverino, c’è.
Non diremo in che condizioni, per riguardo alla sensibilità delle lettrici più compassionevoli.
Si va a conoscerlo. Pronti? Bene, allora mano ai fazzoletti, ché forse, più avanti, ci si intenerisce un poco).
***
Insomma, c’era un omettino piccolo (e maluccio in arnese, ma maluccio assai, eh!), corredato di tutte le principali malattie, tra le quali alcune di importanza internazionale, che cercava un posto di lavoro.
E lo cercava nella sua divisa ufficiale: una giacchetta a quadrettini, di quelle che usavano?" una volta dismesse dal fratello più grande o dal cognato facoltoso?" qualche decennio orsono, un paio di calzoni in tinta, di due taglie più grandi come la giacca, berrettuccio di pelo accartocciato d’animale (e di colore) indefinibile ma certamente suicida, mocassini la cui consunzione era solo parzialmente velata da uno strato simbionte di polvere antica, un borsello, infine, in finta pelle di bue morto di crepacuore, ch’era l’immancabile complemento della sua livrea di ragioniere computista provetto.

(Si dirà, inoltre, ma solo allo scopo di restituirgli un poco del bagliore incerto della sfilacciata dignità, ch’egli aveva un nome. Ah, sì! Eccome! Il fatto poi che l’Autore non lo ricordi in questo momento, nulla toglie, nondimeno, all’integrità morale dell’omino in questione…)
***
Ma insomma, come fu, come non fu, un giorno si presentò, rigirandosi il berrettuccio tra i moncherini nervosi, presso un suo conoscente, il quale, personaggione importante?" ed anche un poco temuto, tanto per dirla bella schietta?" aveva una qualcerta “influenza in società”.
Questi disse all’omettino:
̶ Mmh... Mmh... difficile. Difficile è. Ah, caro mio, in queste cose… Certo, la cosa non è tanto facile... Ma mi dica: lei che sa fare?
̶ Io, veramente, di essere, sono ragioniere. So fare il ragioniere. Ma però mi intendo un pocolino di poesia anche, se tante volte…
̶ Per l’amore di Dio! Quale poesia e poesia! Vediamo un po’... Mi faccia fare un colpo di telefonata.
Sollevò la cornetta e fece girare il disco tante volte fin quando all’altro capo un altro personaggio si premurò con gran deferenza di scappellarsi telefonicamente, poi disse:
̶ Pronto? Sì sono io. Senta, così e cosà (etc., etc.)... Umh... uhm... ah sì? Uhm. Va bèh! Nient’altro? Va bèh, va bene... per quanto... ma comunque... eh, caro mio! Bah, la vita... ah!
Mise giù, si rivolse quindi all’ometto, che si torceva le manine, preda dell’apprensione e del nervosismo meglio riusciti:

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3 commenti:

  • Andrea Pinto il 24/04/2009 00:00
    complimenti
  • ian romanto il 15/03/2007 16:30
    modo originale di inizio, anche il resto e bello, alla aprossima.

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