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Un ricordo di te

Quando ti ho conosciuto, mai forse, sei sempre stato quel sogno irraggiungibile, il ragazzo bello e bravo che tanto piaceva a mio padre. Piacevi pure a me da morire ma eri così mutevole, così sfuggente, così imponente nella tua altezza da dio greco, Dio come eri bello!!! Sembravo quasi scomparire tanto ero piccola.
Eri l'angelo che ti trovavi davanti all'improvviso e che ti risollevava la situazione rendendola eccitante. Come quella sera quando con Maria e Carla ci aggiravamo per i pub di Trastevere, così come eravamo solite fare in quell'epoca ormai così lontana, sempre in cerca di emozioni forti. Eravamo esagerate è vero, notti in bianco solo per vedere spuntare il sole e poi via ancora in giro con un affanno inspiegabile. La vita amico mio, la vita ci mordeva il culo. Ancora mi ricordo la tua vecchia 1100 della FIAT, che sembrava sempre nuova, invece risaliva ai primi anni sessanta, uno dei primi modelli, quelli panciuti e super teneri. Quella sera aveva cominciato a piovere, i miei mi avevano vista uscire e mi avevano brontolato dietro ma non li ascoltavo già più. Carla aveva casa libera, i suoi erano fuori e avevamo una scusa in più per sentirci libere, libere di esplorare la notte nelle sue cavità scure, ma quella pioggia, dannata... stavamo già pensando di tornarcene a casa quando sentimmo un clacson e alzando gli occhi ti vedemmo, un sorriso che andava da un orecchio all'altro. Sei sembrato un faro luminoso atterrato tra i palazzi muffiti di Trastevere. Ci siamo scaraventate nella tua automobile con l'euforia dei nostri diciotto anni.
Erano ormai già le undici di sera e non avevamo voglia di finire così la nostra notte e tu hai avuto un'idea bellissima, se fossi qui lo ricorderemmo insieme o forse no chissà!
Il mare di notte è affascinante, il freddo non lo sentivamo riparati con le spalle a ridosso di quel casotto di un piccolo stabilimento, ancora semi abbandonato alle intemperie dell'inverno. Poi c'era quel buon vino di tuo padre, noi eravamo ruspanti, non avevamo liquorini alla frutta, noi avevamo il buon vecchio vino di casa. Sbronze sane e ridanciane e tu che ci parlavi della magia dei colori, ricordi? I tuoi cieli gialli, li vedevi così e li dipingevi, immortalando i tuoi incubi e le tue speranze. Era buffo pensare che agli occhi di tutta la borgata eri il bravo ragazzo, tu. Noi le debosciate, poco raccomandabili, quelle che uscivano a buio e rientravano sul far dell'alba, davamo da chiacchierare alle vecchie beghine, che ci guardavano di sghimbescio.
Correva la vecchia millecento lungo un'Aurelia buia e deserta, un languorino ci aveva afferrato la pancia e ci proponesti gli spaghetti, che mangiammo alle quattro di mattina. Una notte dedicata alle vibrazioni sottili, noi cercavamo il potere dei versi nelle nostre azioni quotidiane. Rimbaud e Verlaine che si baciavano lungo la riva, un'immagine sfocata, poi un colpo e più nulla, solo fantasie. Morderci il tempo e aspettare lo spuntare del sole su un prato con la faccia pesta ma ancora lì, ancora pronti per un'altra battaglia contro questa società, che non ci capisce, che non ci vuole. Ma non sono le stesse cose che dicono i ragazzi di oggi? Tu non li puoi sentire, hai consegnato la tua storia a quel muro contro cui si è sfracellato il tuo sogno. Dove andavi? Sempre a notte fonda, sempre senza sonno la nostra vita, sempre dentro queste scatole o bare di latta.

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