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I tre giorni del Rondone

Scrivere in terza persona 
deresponsabilizza un po'. 

Se il lettore non è d'accordo 

non spara subito sull'autore

ma sul protagonista. 



Bello. Mi è proprio piaciuto! Ciao, alla prossima!
Fregata Magnifica

Grazie, grazie. Ciao, ciao!
Rondone

Giunto al commiato, mise il computer in standby, si stiracchiò allungando le già lunghe braccia e, dopo aver sbadigliato come un babbuino davanti alla tivù, infilò la porta del bagno. Stette in piedi a fissare la tazza per almeno cinque minuti. Il getto non voleva proprio saperne di fermarsi. Teso e irruento come un torrente alpino allo sciogliersi delle nevi. Sembrava la favola - credo delle Mille e una notte - dove i cavalli che si stanno abbeverando alla fontana della giovinezza, più bevono e più da dietro esce acqua a getto continuo, perché qualcuno li ha tagliati in due di netto. Un flusso costante, inarrestabile, senza fine. Solo che lui non stava bevendo. Ed era intero. Distrutto da tutto quel tempo davanti al picì, le reni piegate in due da ore e ore sulla sedia, ma tutto d'un pezzo. Fortunatamente. 
Erano le quattro di mattina, troppo tardi per andare a dormire, troppo presto per alzarsi dal letto. Il suo lavoro era così: non c'era orario. La notte e il giorno erano la stessa cosa. Un tutt'uno in cui, quando capitava, si prendeva una pausa per ricaricare le batterie. Diavolo d'un lavoro! Cominciava a rimpiangere di non aver seguito i consigli di suo padre. Forse avrebbe dovuto accettare quell'impiego alle poste. Alla fine, la stanchezza ebbe il sopravvento. E mentre lui dormiva della grossa, sbuffando, russando, e facendo vibrare le labbra come il fischietto del suo bollitore, la Rete era sveglia, vigile. Una tentacolare metropoli globale che non dorme mai. Un cervello umano che, anche in stato Rem, conserva attive tante di quelle funzioni che nemmeno v'immaginate. O, più liricamente, un uccello che dorme in volo. Come il rondone. 
Il mattino seguente fece mezz'ora di tapis-roulant: come andare da Streatham Hill a Clapham Common e ritorno in autobus. Poi, una salutare doccia e finalmente un'abbondante colazione a base di eggs & bacon, annaffiata con un bel frullato di ogni ben di dio. Tutto salutare frutta e verdura, con una spruzzatina di salsa Worcestershire. Ohibò! Quindi riprese la sua postazione. E cominciò a scrivere. Si trattava di un racconto per bambini: Il drago che si credeva una farfalla. 



Francis Bloom era un agente della CIA di stanza a Londra. In incognito naturalmente. Anzi: illegittimo. Meglio: bastardo, come si usava dire nell'ambiente. Lo avreste mai immaginato? Non provate a dire di sì perché vi si allungherebbe il naso. Illegittimo? Bastardo? Che significa? vi chiederete. Semplice: era una definizione che la CIA utilizzava per gli agenti che non avevano copertura, che non risultavano a libro paga. Almeno ufficialmente. Così, ci fosse stata una talpa a Washington, di lui non si sarebbe trovata traccia negli archivi, e non avrebbe corso il rischio di essere bruciato da uno "spiffero". Come si diceva in gergo. 
Ufficialmente Francis Bloom faceva l'agente di commercio: penne stilografiche, inchiostri speciali, carte da lettere pregiate. Tutti prodotti esclusivi. Di "fascia alta" diceva abitualmente - con tono affettato e assumendo un'espressione da schiaffi - ad ogni nuovo cliente. Questo lavoro gli permetteva, insieme alla copertura, di gestire il suo tempo come voleva. Oltre a garantirgli un secondo stipendio. Cosa non del tutto trascurabile, visto che aveva come suol dirsi le mani bucate. Era un assiduo frequentatore di quei luoghi di perdizione che si chiamano ippodromi: poche gioie e tanti dolori. Ma torniamo all'attività secretata di Mr. Bloom. Agente della CIA. Nome in codice: Rondone. 
Aveva scelto quello, fra i mille fra cui avrebbe potuto sfogare la sua creatività: primo perché i nomi di animali - specie di uccelli - erano nella tradizione, se non storica, almeno letteraria-cinematografica delle spie; secondo perché, visto che Internet era il medium principale e più rapido per veicolare i messaggi segreti, il rondone, fra tutti gli uccelli, gli corrispondeva : era il suo animal correlative. L'uccello più rapido nel volo lineare: 160 chilometri all'ora. 
- Quante sciocchezze! - direte voi: - Questi hanno pure tempo di cazzeggiare! - Brutti ingrati che non siete altro! Dovreste avere più rispetto per gente la cui vita ogni giorno è appesa a un filo. E che fa quello che fa per puro spirito di servizio. Non certo per denaro. Almeno non tanto da ripagare il rischio.

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2 commenti:

  • Gabriele Zarotti il 07/03/2013 13:17
    Grazie, Chira. Se mai il mio ego dovesse un giorno cedere al richiamo della stampa, ti chiederò di recensire i miei racconti.
  • Anonimo il 07/03/2013 11:20
    Fantasioso con verità geografiche e di potere attuali all'interno... Condor, rondone, sempre uccelli speciali che alla fine per salvare le penne emigrano speranzosi ché di web si può morire. Sette pagine lette d'un soffio e con piacere immenso. Grazie Gabriele!

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