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La Putta Onorata di Carlo Goldoni

Sto rileggendo la gustosissima " La Putta Onorata "di Goldoni, che nel 1749 venne portata in scena, durante il Carnevale di Venezia, per ben ventidue rappresentazioni e che viene ritenuta dalla critica" la prima commedia veramente veneziana", perchè rappresenta l'ambiente socio-culturale tipico della città. Ossia l'ambiente borghese/nobile/mercantile della Serenissima oramai in decadenza commerciale, ma in grande auge culturale. Mi piacerebbe soffermarmi su questo, ma mi riservo un altro momento. Nella trama si tratta di una giovanissima popolana che viene "assediata" da vari pretendenti ( il nobilomo un po' losco, il vecchio mercante ringalluzzito, il giovane spiantato), ma lei resiste poichè intende concedersi ( e sposarsi) solo all'uomo che veramente ama. La putta è per antonomasia la ragazza da marito che vive in casa, vigilata, sottoposta e che non deve dare confidenza a nessuno. Di " putte" nelle commedie goldoniane ve ne sono diverse e di vario carattere, e ad esse Carlo Goldoni riserva sempre un acuto senso di osservazione degli adulti che girano loro attorno. Il commediografo le fa sempre sposare- a fine commedia- al loro vero e solo innamorato, riconoscendo loro una libertà di scelta fondamentale, ossia scegliere il marito, contro il costume del tempo che voleva i matrimoni spesso combinati per interessi, a colpi di dote dai " bezzi" sonanti.
Vi propongo, con la mia traduzione, la moderna riflessione di Bettina, innamorata del giovane Pasqualino, la quale si sente circuita da uomini di scarso spessore e che la ripugnano. Notate l'intelligenza e l'acume di questa putta:

Da atto primo, scena sedicesima, Bettina (sola):
" Gran desgrazia de nualtre pute! Se semo brute, nissun ne varda; se semo un puoco vistose, tuti ne perseguita;mi veramente no digo d'esser bela;ma g'ho un certo non so che, che tuti me core drìo. Se avesse volesto, sarìa da un pezzo che sarìa maridada, ma al tempo d'adesso ghe xè puoco da far ben. Per el più la zoventù i xè tuti scavezzacoli. Ziogo, ostaria e done, queste xè le so più bele virtù. Tanti se marida per quela poca de dota, i la magna in quatro zorni e la mugier, invece de pan, tonfi maledeti. E pur anca mi me voi maridar, e credo che el mio no l'abia da esser compagno dei altri. Basta, sia come esser se vogia, no me ne importa. Dise el proverbio: Chi se contenta gode. Xè megio magnar pan e ceola con un marìo che piaze, che magnar galine e caponi, co un omo de contragenio. Sì ben, soto la scala, ma col mio caro Pasqualin".

" Grande sciagura per noi ragazze! se siamo brutte, non ci guarda nessuno; se siamo un poco appariscenti, tutti ci perseguitano. Io, non dico d'esser bella, ma ho un certo non so che, e tutti mi corrono dietro. Se avessi voluto, sarei maritata da un bel pezzo, ma al momento c'è poco da sperare. Per di più i giovani sono tutti degli scavezzacollo. Gioco, osteria e donne, queste sono le loro più belle virtù. Tanti si sposano per un po' di dote, se la mangiano in quattro giorni e alla moglie, invece di pane, ristrettezze. Eppure anche io voglio maritarmi e credo che il mio promesso non debba essere come tutti gli altri. Dice il proverbio: Chi si accontenta gode. È meglio mangiare pane e cipolla con un marito che piace, piuttosto che mangiare galline e capponi con un uomo che non ci va a genio. Sì, davvero, sotto una scala, ma assieme al mio caro Pasqualino".

 

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