2006
L'uomo guardò nervosamente l'indicatore del carburante, la riserva cominciava a lampeggiare sempre più frequentemente, guardò le indicazioni sui cartelli autostradali per cercare un distributore, ve ne era uno a tre chilometri, si tranquillizzò e ridusse progressivamente la velocità: il vecchio Land Rover rifiatò un poco, il motore divenne meno rumoroso, abbassò un poco il finestrino dalla parte della guida e si accese una sigaretta. Come sempre quando si concedeva quel vizio, s'immerse nei suoi pensieri e per poco non sbagliò l'entrata: s'immise nella corsia di decelerazione a velocità elevata, frenò bruscamente; parcheggiata proprio all'entrata dell'area di servizio sostava una volante della Polstrada, non era proprio il caso di attirare l'attenzione, visto il suo prezioso carico. Il benzinaio guardò con curiosità il vetusto Land Rover e il suo strano guidatore: la barba bionda incolta, i lunghi capelli color sabbia trattenuti da una coda di cavallo, l'abbronzatura molto accentuata, gli occhi grigio acciaio con l'espressione dura e determinata, la camicia kaki tipo sahariana.
"Facciamo il pieno, dottore?"
"Sì, certo, e guardi l'acqua e l'olio"
"Subito, ci sarebbero anche le spazzole del tergicristallo da cambiare, le rigano il parabrezza".
"No, va bene così" rispose asciutto: non sopportava quelle piccole furbizie tipiche da italiano. Scese dall'auto, si sgranchì le lunghe gambe, il ginocchio convalescente gli dava molto fastidio, prese un analgesico dal blister che teneva nel taschino della camicia, e lo inghiottì senz'acqua. La volante gli passò davanti a velocità limitata, fece un leggero cenno di saluto all'agente toccandosi la fronte, e si girò verso la carreggiata, fingendo di guardare le auto in transito. In vari anni di quell'attività aveva sviluppato un certo sesto senso e una conoscenza del modus operandi delle forze dell'ordine, ed era sempre riuscito ad evitare comportamenti sospetti. Il tonfo sommesso del cofano della sua auto lo fece sobbalzare, temeva che i suoi passeggeri s'irritassero... Il viaggio per arrivare alla frontiera con la Francia era ancora lungo, e lui non poteva permettersi sbagli o ritardi, era importante passare a quella determinata ora. Si rimise alla guida e ripensò al suo passato...
Erano trascorsi quasi dieci anni da quando era successo l'incidente che aveva cambiato la sua vita, prima era solo un affermato genetista, specializzato in fauna esotica, con una cattedra al Politecnico di Torino, una bella moglie medico di Pronto Soccorso, un'elegante villa sulle colline di Stupinigi. Poi una sera, a cena con amici, i discorsi di una collega, il suo impegno con Medècin sans Frontières, la malìa dell'Africa... Rimasti soli, la moglie aveva una luce che brillava negli occhi:
"Sai che l'idea di Giovanna non è male? Ci facciamo un anno anche noi, giriamo il mondo, e magari arriva anche il pupo, con i tramonti africani, i ritmi tranquilli...".
"Già, e il lavoro? Tu sei ancora un'assistente, io devo sempre sottostare agli stanziamenti della Facoltà, e poi abbiamo ancora da finire di pagare la casa, mancano ancora alcune sistemazioni esterne, le piantumazioni...".
"A questo ci penserebbe papà, sai come ne sarebbe felice".
"Abbiamo già affrontato più volte quest'argomento, e abbiamo deciso insieme di lasciare fuori i genitori dai nostri affari, non ricordi?"
"Sì, ma, per una volta..."
"Dormiamo, invece, è già tardi e domattina devo essere in facoltà per le sette, arrivano quei nuovi campioni e non voglio che quell'inetto del custode li maneggi con le sue manacce maldestre".
"Ok, buonanotte"
"Buonanotte, amore: magari quest'estate ci facciamo un bel viaggio, in Africa...".
1997 Africa
In cuor suo, sapeva già che tutto era deciso, e nulla e nessuno avrebbe potuto smuoverla. Tre mesi dopo partirono per il Burkhina Faso, insieme a due medici francesi e uno svizzero: Caterina aveva preso un'aspettativa dall'Ospedale, e lui aveva lasciato il laboratorio all'Università a un giovane collega, promettendo al Rettore che in massimo sei - otto mesi sarebbe tornato al suo posto. Le cose andarono in modo molto diverso. L'inizio del lavoro fu caotico, le cose da fare erano centinaia, e l'organizzazione era molto approssimativa: era stata donata un'attrezzatura per la chirurgia ortopedica, ma in tutto l'ospedale non vi era nessuno in grado di montarla correttamente, l'unico tecnico era un giovane africano semianalfabeta, che era sì e no capace di cambiare una lampadina. Oltretutto, i furti erano all'ordine del giorno, gli abitanti dei villaggi rubavano di tutto, anche se in gran parte erano cose che non conoscevano nemmeno: la miseria era incredibile, la maggior parte della popolazione viveva grazie ai pochi e sporadici aiuti inviati dall'ONU. Iniziò a lavorare catalogando alcune specie animali che gli indigeni usavano come integrazione al loro povero nutrimento, e scoprì subito che alcune di loro erano potenzialmente pericolose per la salute. Soprattutto un piccolo rettile, lontano parente dell'iguana, che conteneva una concentrazione ematica altissima di zinco, utile per la regolazione della sua complicata temperatura corporea, ma alla fine letale per l'uomo. Quando ne parlò al capomissione, un medico ungherese pigro e demotivato, si sentì rispondere che lui non sapeva che farci, che gli indigeni non ascoltavano i loro consigli, tanto valeva lasciarli fare ciò che credevano. Quella cosa lo fece parecchio infuriare, prese il telefono satellitare e si mise in contatto con Parigi, alla sede centrale. Dopo pochi minuti fu richiamato da un funzionario di MSF, che ascoltò le sue lagnanze e promise di fare qualcosa al più presto:
"Hai visto che roba, Caterina?, qui se ne fregano, peggio che in Italia, quei poveri disgraziati si avvelenano il sangue, e nessuno vuol fare nulla...".
"È inutile arrabbiarsi, Francesco, qui siamo in Africa, siamo solo ospiti e non possiamo interagire con tradizioni millenarie...".
"E allora lasciamo che si avvelenino, che muoiano a trentanni di linfoma, noi che ci stiamo a fare qui?"
"Facciamo quello che possiamo, i miracoli non sono per noi".
Le cose continuarono così per altri due mesi, poi il dramma: una notte una tribù di sbandati, quasi tutti disertori dell'esercito liberiano, attaccarono l'ospedale, forse con lo scopo di rubare tutto. Le due inutili sentinelle armate scapparono alla vista dei ribelli, e una trentina di uomini si misero a scorrazzare per l'accampamento, sparando all'impazzata. Fu colpito subito dal calcio di un Kalashnikov, e cadde a terra. Quando rinvenne, ore dopo, tutto era a soqquadro, vi erano cadaveri ovunque, i più fortunati erano stati uccisi sul colpo, altri squartati dalle lame dei panga. Vagò per ore nell'oscurità alla ricerca della moglie, ma della donna nessuna traccia: spostò infinite volte tutti i corpi, nella speranza e nella paura di trovarla, ma fu tutto inutile... I mesi successivi furono un vero e proprio incubo, insieme ad un ispettore dell'ONU e ad una scorta di caschi blu, battè tutto il territorio circostante, ma inutilmente. Di Caterina nessuna traccia.
2006
Era già l'imbrunire quando arrivò a Ventimiglia: controllò il Rolex al polso, regalo della moglie, e si rese conto di essere in anticipo. Doveva passare la dogana tra le 20 e le 20, 30, non prima né dopo. Cercò con gli occhi una stazione di servizio o di sosta, ma fino al confine non ce n'era nessuna: così rallentò la marcia, fino al limite minimo per non essere notato, in fondo nessuno si sarebbe potuto aspettare che il vecchio fuoristrada andasse veloce. Solo lui sapeva che, sotto il cofano, il motore originale era stato sostituito da uno molto più potente, potrebbe essere stato utile in caso di una fuga precipitosa. Piano piano si avvicinava al confine, mancavano ancora dieci minuti, decise di fermarsi in una piazzola di soccorso. Stava controllando impaziente l'orologio, quando un'auto si fermò proprio dietro alla sua: la luce blu lampeggiante sul tetto non lasciava dubbi su chi potesse essere. Un agente scese e si avvicinò al finestrino, una torcia elettrica in mano:
"Buonasera, signore, qualche problema, un guasto?"
"No, grazie, mi sono fermato solo un attimo per fare una telefonata urgente".
"Non sa che è obbligatorio l'auricolare o un impianto vivavoce?"
"Lo so, lo so, ma quest'auto è vecchia e rumorosa, non si sentirebbe nulla, perciò preferisco fermarmi".
"Quest'area è destinata solo alle auto in panne o per le emergenze, non può sostare qui."
"Va bene, agente, me ne vado subito, mi scusi".
"E la sua telefonata urgente?"
"Beh, attenderò dopo, tra poco siamo al confine, mi fermerò lì".
"... Mi favorisce i documenti, per favore?"
"Ma, ho fatto qualcosa?"
"No, no, solo un controllo..."
Estrasse una vecchia patente usurata e una carta di circolazione anche peggio.
"Dunque, signor Pairetto, Francesco Pairetto, l'auto non è sua?"
"È intestata alla ditta per cui lavoro, la South Africans import & export, è di Johannesburg, ma ha anche una sede a Perugia...".
" E di cosa si occupa?"
"Principalmente di compravendita e dell'esportazione di minerali.."
"Quindi commerciate in oro, diamanti.."
"Magari- l'uomo esibì un sorrisetto malizioso- crede che se vendessi diamanti girerei con questo rottame? No, no, noi trattiamo minerali per l'industria, manganese, zinco, cose del genere...".
"E posso sapere di cosa si occupa lei, per favore?"
"Beh, io mi occupo un po' di trasporti, di logistica...".
"Allora come mai nel vostro logo compare, un animale, una gazzella credo..."
"È uno springbook, è il simbolo nazionale sudafricano...".
"Già, già, capisco... E in questo momento, sta trasportando qualcosa?"
"No, no, vado solo in Francia a recuperare un collega...".
Ci fu un movimento all'interno dell'auto, fortunatamente l'oscurità lo nascose all'agente: anche l'espressione spaventata dell'autista non venne notata.
"D'accordo, signore, vada pure, ma mi raccomando, non si fermi più in una piazzola di questo tipo, è pericoloso"
"Certo, agente, grazie e buonasera..."
Si rimise in marcia con calma, dopo essersi correttamente allacciato la cintura di sicurezza, la respirazione si stava finalmente calmando, anche per questa volta era andato tutto bene: erano già le venti passate, il suo amico doveva già essere in servizio alla dogana, tutto andava per il meglio.
1997 Africa
Il consolato italiano di Nairobi, in Nigeria, era l'unico nel raggio di migliaia di chilometri che avesse l'organizzazione e la struttura per poter seguire le ricerche della donna. Francesco ci si recò insieme ad un ispettore dell'ONU ed al responsabile per l'Africa Orientale di MSF: li accolse un funzionario, che li fece accomodare in un salottino abbastanza lussuoso, con un vecchio condizionatore rumoroso ma efficace. L'ambasciatore era un uomo alto, elegante, con un sorriso aperto e cordiale:
"Dr. Pairetto, si accomodi, prego..."
"Grazie"
Si sedettero in uno studio raffinato, arredato con pochi ma stupendi pezzi d'antiquariato, il console gli si rivolse con una voce calma e flautata:
"Come le ho già preannunciato telefonicamente, la situazione è molto intricata: queste bande di predoni e sbandati sono legate tra di loro da complicate alleanze tribali, totalmente incomprensibili a chi non è uno di loro. Ho sguinzagliato tutti i miei informatori locali, ma non hanno cavato un ragno dal buco, sembra che nessuno conosca quella banda, l'unica cosa che si sa è che alcuni di loro, probabilmente i capi, sono disertori, quasi sicuramente provenienti dall'esercito regolare liberiano. In quella terra infuria una guerra civile da anni, non esiste un governo degno di questo nome, le varie fazioni in lotta cambiano tutti i giorni, i tradimenti sono nella normalità, si cambia schieramento senza alcuna logica, a volte basta solo una lattina di birra per comprare un uomo... Lei capirà bene che, in una situazione come questa, tutto è possibile"
"Ma non ci sono le istituzioni internazionali, l'ONU, i caschi blu, non so..."
"Vede, non è così semplice, i caschi blu hanno ben altre gatte da pelare e... poi, mi scusi, ma ha mai sentito che l'ONU si occupi realmente di paesi poveri come questi? Qui non c'è petrolio, né oro, né altri minerali preziosi, qui c'è solo siccità e miseria, e nessuna delle due cose è appetibile..."
"Ma lei avrà una certa esperienza, di solito come si risolvono queste cose? È possibile che Caterina sia stata rapita per essere utilizzata come medico?"
"Questo tenderei ad escluderlo, quei personaggi non credono nella medicina, si curano con metodi tradizionali od addirittura rivolgendosi agli stregoni, alla magia. È molto più probabile che sua moglie possa essere usata per chiedere un riscatto, i predoni sono sempre affamati di denaro, e per loro un occidentale vuole dire dollari..."
"Quindi c'è qualche probabilità di ritrovarla viva?"
"Più di qualche possibilità, quasi una certezza, dottore, solitamente rapiscono più facilmente le donne perché sono considerate meno pericolose, più gestibili come prigionieri..."
" Mia moglie è giovane, ed una bella donna..." La sua voce si ruppe, l'emozione era forte
"No, no, per questo credo che non ci sia niente da preoccuparsi, gli ostaggi bianchi non vengono mai maltrattati, la merce deve essere integra, altrimenti hanno paura che il riscatto non venga pagato. Bisogna solo attendere, si faranno vivi loro, probabilmente tramite qualche missionario, abbiamo inviato a tutti gli ordini religiosi la foto ed una descrizione di sua moglie: finirà tutto bene, mi creda."
"Speriamo, spero proprio che lei abbia ragione..."
"Stia tranquillo, dottore, la avvertirò immediatamente appena sappiamo qualcosa, non si preoccupi
2006
L'agente doganale si avvicinò all'auto con fare professionale, si chinò verso l'uomo alla guida:
"Documenti, prego"
"Un attimo, ecco, guardi pure se c'è tutto..." Insieme alla patente, una busta gialla, di carta spessa: l'agente diede un'occhiata furtiva, contò rapidamente le banconote, e se la infilò in una tasca interna della giacca.
"Prego, può passare" Fece un cenno al collega, che alzò prontamente la sbarra: il vecchio fuoristrada passò lentamente. L'uomo alla guida prese il cellulare, compose un numero usando la memoria, e parlò con rapidità:
"Alphonse, sono Francesco, tutto bene, tra pochi minuti sono lì."
"Bien"
La costa francese apparve d'improvviso alla sua sinistra, le prime luci di Menton erano già in vista, infilò una stradina che si inerpicava ripida verso la collina, la macchia mediterranea si infittì rapidamente, l'illuminazione stradale era inesistente, qua e là si oltrepassavano cancelli che si confondevano con l'abbondante vegetazione. Dopo pochi chilometri una piccola strada sassosa, poco più di un sentiero, la infilò prudentemente, a volte i rami bassi e sporgenti strisciavano sulla carrozzeria dell'auto: poi, dopo un dosso, un cancello metallico cieco: si fermò con uno stridio di freni, ed alzando una gragnuola di sassi che rimbalzarono rumorosamente contro la lamiera. Una luce si accese immediatamente, uno spioncino si aprì nel cancello:
"Sono Francesco", l'uomo alla guida si sporse dal finestrino stando ben attento a fare vedere con chiarezza il suo viso: sapeva che dall'interno veniva osservato con attenzione. Il cancello iniziò a scorrere su una guida a terra molto silenziosa, l'interno appariva buio, i fari illuminarono un vialetto asfaltato che si infilava in una massiccia costruzione. Solo dopo che il cancello si fu richiuso, dall'oscurità apparve un uomo massiccio, vestito di scuro, un cappellino da baseball in testa, in mano un grosso fucile a pompa:
"Sortez da la voiture" il tono era imperativo, la voce gutturale:
"Tutto bene, Michel, sono io, Francesco".
"Bien, entra pure" il suo italiano era intriso di uno strano accento corso. L'uomo alla guida riaccese il motore, avanzò di pochi metri, fino ad infilare una rampa che scendeva verso un seminterrato, una porta basculante cominciò lentamente ad aprirsi. L'interno si rivelò un immenso locale a garage e magazzino, in un angolo erano parcheggiate due lucenti rosse Ferrari, di fronte un Suv Porsche. Il fuoristrada si diresse verso la parte opposta, piena di scaffalature e grandi casse in legno: parcheggiò ed uscì dall'abitacolo, massaggiandosi con una mano il ginocchio sinistro.
"Sei sempre di più un vecchio rottame, Francesco, bisognerà che cerchi soci più giovani e sani" la voce veniva da un trentenne di chiare origini magrebine, la pelle era liscia ed ambrata, i capelli neri molto folti erano tagliati corti, gli occhi scuri erano mobili, attenti.
"Già, vorrà dire che la prossima volta sparerò, così quel tuo maledetto gattaccio impara a scambiarmi per un arrosto..."
"Non sia mai, Simba mangia solo carne di prima scelta, non vorrebbe mai un vecchio italiano grinzoso.." l'uomo sorrise, mettendo in mostra una dentatura perfetta, certo curata da un ottimo medico. Era vestito in modo informale, jeans blu ed una camicia azzurra con un piccolo logo sul taschino, ma al polso sfoggiava un enorme orologio d'oro, con un vistoso quadrante blu elettrico.
"Allora, parliamo di lavoro o della dieta del tuo felino? Io avrei fretta, dopodomani devo essere già in Sudafrica"
"Va bene, va bene, da quando in qua sei diventato così nervoso?"
"Forse da quando trasporto merce che mi costerebbe cinque anni di galera, per lo meno.." Aprì il portellone del Land Rover, dentro, due enormi valigie del tipo a trolley:
"dammi una mano, questa roba pesa un sacco" Insieme estrassero i bagagli dall'auto, e li appoggiarono a terra con molta cautela..
"Quanti sono?"
"Quattro, e ci sono ben tre maschi, quindi dovremo rivedere il prezzo"
"Ti ho mai deluso?"
"C'è sempre una prima volta" Aprì la prima delle due valigie, tolse un sottile strato di abiti ed apparve un doppio fondo, lo sollevò: sotto una gabbia in legno bucherellata, da cui uscì un forte odore di selvatico:
"accidenti, quanto puzzano"
"scusa, Alphonse, se avessi saputo che eri così delicato li avrei prima fatto fare una doccia profumata..."
Sollevò la gabbia tramite due piccole maniglie in nailon, la appoggiò a terra, la parte inferiore della valigia appariva anch'essa traforata, con i fori celati da un sottile strato di tessuto dello stesso colore.
"Bella astuzia, usi ancora quella vecchia valigia?" il tono era evidentemente sarcastico..
"Ha passato molti più controlli doganali di quanto tu possa immaginare" l'uomo rispose infilandosi due guanti di filo metallico, tipo quelli usati dai macellai.
"Ora scansati, sono ancora sedati, ma non c'è da fidarsi"... aprì con cautela la porticina laterale a ghigliottina, si sentì solo un leggero sibilo. Dopo un lungo minuto, comparve infine una piccola testa bruno-giallastra, una lingua biforcuta cominciò a saettare: poi, con molta lentezza, l'animale uscì dalla cassa. Era un rettile, dalla conformazione di una grossa lucertola, lungo circa un metro, compresa la coda, e si muoveva in modo circospetto:
"Beh, tanta paura per quella lucertolina? Il mio cagnolino ne cattura di più grandi" Alphonse sorrideva sprezzante..
"Innanzitutto questa è la femmina, molto più piccola, e poi ha solo quattro mesi, in libertà vivrebbe ancora sugli alberi, nutrendosi di insetti e uova d'uccello." La gabbia ebbe un fremito, ed ecco apparire il maschio: era circa trenta centimetri più lungo, e decisamente più massiccio. Appena uscito cominciò subito a soffiare verso gli estranei, e gonfiò il suo corpo a dismisura, evidenziando anche una cresta carnosa, che lo faceva somigliare ad un gigantesco iguana.
"Ecco qua, Alphonse, ti presento sua maestà il Drago di Komodo, il più grande sauro vivente. Tra un anno, questa "lucertola" diventerà tre metri di lunghezza, peserà più di due quintali, e potrà uccidere con una zampata un cervo adulto."
" Meraviglioso"
1997 Africa
Erano oramai tre mesi che era in Africa dalla scomparsa della moglie, vagava da una località all'altra, seguendo segnalazioni sempre poco attendibili: aveva imparato che, in quella terra, niente è certo, tutto può cambiare da giorno a giorno, a secondo di con chi si parla... Dovette aprire un conto corrente in una banca di Nairobi, le spese per tentare di saper qualcosa da l'uno o l'altro erano veramente enormi, fortuna che MSF aveva stanziato una generosa somma a fondo perduto per finanziare le ricerche. Nonostante ciò, stava usando denaro suo: appena aveva dato la notizia allo suocero della scomparsa della figlia, era stato investito da un torrente di insulti: sembrava che la colpa fosse stata sua. Sopportò per qualche minuto, poi rispose per le rime, non gli andava di venire accusato di chissà cosa con quella violenza, figurarsi da un vecchio muratore arricchito, che peraltro non gli era mai stato simpatico. I giorni passavano lenti, noiosi, sempre nella speranza di una novità che non arrivava mai. Finché un pomeriggio tardi, in un albergo di Kinshasa, fu avvicinato da uno strano personaggio:
"Mi permette, dottor Pairetto?" Lo sconosciuto era un cinquantenne, di carnagione chiarissima, con i capelli rossi ed il viso rubizzo e lentigginoso: sembrava un frequentatore di pub inglesi.
"Lei mi conosce?"
"E chi non la conosce, dottore, la notizia del medico italiano che cerca la moglie elargendo generose mance, ha attirato tutti gli imbroglioni del continente e, mi creda, sono molti"
"E lei è perciò uno di loro?" chiese con tono scettico..
"Non mi permetterei mai, e poi io non ho bisogno di denaro, per fortuna"
"Beato lei"
"Il denaro è solo un misero mezzo per vivere, le cose importanti sono ben altre, l'intelligenza, la lealtà, l'amore..."
"Se è venuto qui per farmi una lezione sulla vita, può tornare da dove è venuto, non mi interessa"
"Mi scusi, dottore, non volevo annoiarla, ma credo di avere notizie che la potrebbero interessare"
"Se è così si sieda, posso offrirle qualcosa? "
"Un gin liscio, grazie"
"Ora, mi vuole dire chi è e cosa vuole?"
"Ha ragione, il mio nome è William, sono sudafricano, e lavoro per una compagnia che si occupa di import export molto importante, con ramificazioni in tutto il mondo. Qualche giorno fa ero in Liberia, abbiamo affari laggiù, ed ho incontrato una persona che asseriva di sapere dov'è sua moglie."
"Senta, spero per lei che non sia uno scherzo, non so come reagirei" il tono era a metà tra speranzoso ed irato...
"Non scherzerei mai su di un argomento simile, so che vuol dire perdere una persona cara, ma... mi sembra che a lei non interessi, perciò" fece per alzarsi
"No, no, mi scusi, non volevo offenderla, ma, capirà, già troppe volte sono stato ingannato, penso di aver dimenticato la buona educazione"
"Tutto a posto, non si scusi, capisco la sua situazione, deve essere terribile. Le faccio una proposta, oramai è l'ora giusta, posso chiederle di essere mio ospite a cena?"
"Ma, veramente, qui in albergo.."
"No, no, si fidi, dottore, la porto in un posto dove potrà assaggiare la vera cucina africana, sa, non è niente male se la si conosce bene..."
"E perché no?"
Uscirono dal locale, il suo ospite salì su di una vecchia Jaguar con targa diplomatica, l'interno di cuoio era stato reso lucido da migliaia di viaggiatori. Percorsero una quindicina di chilometri tra le strade della periferia della città, attraversando baracche e case fatiscenti, bivacchi attorno ai quali uomini e donne cantavano e danzavano, e si ritrovarono in un quartiere più elegante, al posto delle baracche ora vi erano piccoli condomini, ed anche alcune ville con muri di recinzione altissimi. Si fermarono infine davanti ad una piccola costruzione a due piani, senza alcuna insegna, le finestre erano oscurate da pesanti tendoni, sembrava un piccolo albergo chiuso. Entrarono da un cancelletto in ferro, il giardino davanti era senza luci, ma tenuto curato e pulito: suonarono ad un campanello incassato nello stipite, la porta si aprì subito, un africano alto e magro, vestito con uno smoking bianco da cameriere, si inchinò cerimoniosamente"
"Prego, eccellenza, si accomodi"
Furono condotti in una saletta appartata, nel locale vi erano solo pochi clienti, per lo più africani.
"Questo è uno dei posti più esclusivi e segreti di tutta l'Africa, pochi lo conoscono ed ancora meno possono entrarvi" la soddisfazione del suo ospite era evidente.
" Vuole ordinare subito o attendiamo, eccellenza?"
"Attendiamo un attimo, intanto ci porti due gin lisci: va bene anche per lei, dottore"
"Si, grazie" il cameriere si allontanò dopo un breve inchino. Francesco non riuscì a trattenere la curiosità:
"Scusi se mi permetto, signor William, ma non ho potuto fare a meno di notare l'auto con targa diplomatica, il cameriere che la chiama eccellenza: lei è sicuro di essere veramente quello che dice?" William sorrise:
"Si vede che lei conosce poco l'Africa, qui un accredito da diplomatico costa poco e serve ancora tantissimo..."
"Vuole dire forse che è falso?" Francesco alzò la voce stupito
"Falso, falso, che parolone: diciamo che mi apre qualche porta senza troppe difficoltà, e poi qui, a 8000 chilometri dalla civiltà, niente è falso, come niente è vero... Ma, parliamo piuttosto della nostra cena, vuole mangiare europeo o provare l'emozione della vera cucina africana? La avverto, qui assaggerà la cucina africana autentica, non quella "ammorbidita" per i palati occidentali: le garantisco che, se non ha pregiudizi, ne vale veramente la pena..."
"Ok, vada per la cucina africana, mi fido di lei..."
"E vada per la cucina africana, ma, prima, due cose: primo, se lei accetta, non può rifiutare nulla, e, secondo, perché non ci diamo del tu?"
"D'accordo su tutte due le cose, William: io mi chiamo Francesco"
"Benissimo, vedrai che non ti pentirai
2006
"Per tutti i quattro esemplari voglio, diciamo,... 40. 000 dollari..." la voce era leggermente titubante, Alphonse ne approfittò subito:
"Ma sei impazzito, per quelle quattro lucertole, puoi rimetterle in auto e tornare da dove sei venuto"
"Per avere quelle quattro "lucertole", ho fatto più di ventimila miglia, sono stato quindici giorni in Indonesia, ho passato una decina di dogane, ho dovuto corrompere una moltitudine di persone, senza parlare del fatto che ho rischiato cinque anni di galera, gli uomini del Cites sono ovunque, e credo che mi stiano alle costole..."
"Ventimila, non un dollaro in più"
"Trentamila e ti lascio anche un regalo"
"Venticinque" L'espressione di Alphonse era dura, Francesco sapeva quando era ora di rinunciare.
"Va bene per venticinquemila, ma li voglio in contanti, ed in euro"
"D'accordo, domattina li avrai"
"Io vorrei ripartire presto, domattina. William mi aspetta a Johannesburg, dobbiamo organizzare un altro carico, è una spedizione importantissima..."
"Senti, Francesco, già ti ho dato molto di più di quello preventivato, poi li vuoi in euro, adesso li vorresti anche subito, non ti sembra di esagerare..."
"Va bene per domattina, solo so a che ora sei solito alzarti..."
"D'accordo, d'accordo, per le 10 li avrai. Ora io devo uscire, ho un appuntamento. Ehi, ma il regalo?"
"Domattina, alla consegna del denaro..." scherzò Francesco.
Francesco si alzò presto, la grande casa era ancora silenziosa, in lontananza solo il rumore della strada sul lungomare, estremamente trafficata a tutte le ore. Scese nella piccola cucina di servizio, una macchinetta per il caffè all'americana era accesa, se ne riempì una tazza: la bevve in un sorso, reprimendo poi una smorfia di disgusto, il liquido era tiepido e nauseabondo. Si ripromise di fermarsi in un bar appena rientrato in Italia, non si sarebbe mai abituato ad altro caffè. Fece una doccia, si vestì in modo abbastanza elegante, giacca blu e jeans firmati, più tardi doveva vedere qualcuno di molto, molto importante...
1997 Africa
Il primo piatto che vide arrivare, era un insieme di piccoli, fumanti pezzi di carne di colore rosa, accompagnati da una salsa dall'inconfondibile sapore del curry. William attaccò subito il piatto con golosità, ogni boccone era seguito da un piccolo grugnito di soddisfazione...
"Le piacciono, dottore, io ne vado pazzo"
"Beh, effettivamente sono gustosi, anche se non riesco a capire bene la consistenza della carne, è strana..."
"Eh, no, i patti sono patti: lei non può rifiutare niente, lo avevamo stabilito prima"
"Veramente avevamo anche stabilito di darci del tu, vero William?"
"Hai ragione, Francesco, ed adesso dimmi: vuoi sapere cosa stai mangiando o vuoi saperlo dopo, oppure mai?"
"Sono un biologo, William, non ho pregiudizi per nessuna specie di vita"
"Va bene, come vuoi: in Namibia li chiamano "runtiam", non chiedermi cosa significhi, ma in realtà sono bruchi che vivono sugli alberi di Mopani, hanno salvato la vita a centinaia di esploratori che si erano persi nelle pianure del Serengeti, sono molto nutrienti ed energetici, ricchi di proteine ed aminoacidi." La gola gli si strinse, represse a fatica un conato di vomito:
"Beh, questa è bella, ne avevo sentito parlare, ma da qui a trovarseli nel piatto..."
"E poi non hai visto il meglio". William rise fragorosamente, i due abbondanti gin trangugiati prima del pasto, ed il fortissimo vino di palma sembravano avergli fatto dimenticare il suo applomb molto "british".
2006
Era fermo da più di due ore al casello autostradale di Ventimiglia, per l'occasione aveva fatto anche lavare il Land Rover, cosa che non capitava di frequente... Nonostante questo, la persona che attendeva con impazienza non arrivava, e lui non aveva nessun tipo di recapito, né telefonico, né di altro genere. Consumò un mezzo pacchetto di sigarette, non era sua abitudine eccedere in quel vizio, ma era veramente molto nervoso. Una Alfa Romeo verde si accostò alla sua auto, la figura che scese gli fece venire un tuffo al cuore.
"Loredana!!"
"Ciao Francesco, come stai?"
"Be-bene, grazie, e tu..." la sorpresa era stata davvero enorme, mai e poi mai si sarebbe aspettato di vedere, dopo più di dieci anni, la sorella della moglie Caterina.
"Ti trovo in forma, Francesco: hai i capelli lunghissimi, strano, da giovane li hai sempre odiati ed adesso..."
"Fa molto cacciatore africano, sono entrato nel personaggio.." La risata della giovane lo commosse, era identica a quella della sorella, e un sacco di ricordi gli tornarono in mente. Parlarono tra di loro per pochi minuti di cose banali, evitando entrambi gli argomenti che stavano a cuore. Alla fine Francesco non resistette più:
"Loredana, parlami di lei..."
"Non è semplice, Francesco, non è assolutamente semplice: ci sono troppe cose da spiegare, da capire, da riuscire ad intendere al modo giusto. Non è corretto che te ne parli io, quello che ti posso dire è che sta bene, almeno apparentemente. Per le altre cose, credo che dovreste vedervela tra di voi, se volete."
"E perché credi che sarei venuto qua, allora?". Reagì in modo violento, pentendosene subito dopo. " Scusa, Loredana, non volevo alzare la voce...". La donna si schernì, una lacrima le sgorgò dall'occhio sinistro, provò a nasconderla, poi esplose.
"Non ne posso più di questa storia, sono dieci anni che va avanti, io non c'entro nulla, ne ho già abbastanza dei miei, di guai...". Francesco ebbe un momento di commozione, abbracciò forte la donna...
"Va tutto bene Lore, tutto bene..."
1997 Africa
Alla fine del pranzo, entrambi erano discretamente alticci: del resto per ingerire le locuste cotte sotto la cenere, una specie di stufato fatto con radici di carruba e pezzi di King Baboon, e per finire una trippa di bufalo fatta all'africana, cioè non pulita, con ancora le tracce del nutrimento del grosso erbivoro, bevvero due caraffe di vino di palma.
"Allora, Francesco, avevo ragione?"
"Devo dire di sì, è tutto molto insolito, ma anche gustosissimo, soprattutto ho apprezzato molto quello stufato con quei pezzi di carne strana, come l'hai chiamato?"
"Lo chiamano King Baboon, re babbuino, ma non è una scimmia..."
"Ti devo chiedere cosa è, o è meglio di no?"
"Se proprio vuoi... tu sei un biologo, se ti dico che è il più grosso esemplare della specie Citharischius, ti viene in mente qualcosa?" Per lo stomaco di Francesco, già disturbato dal'eccesso di spezie e dall'alcool, fu troppo: corse fuori, ribaltando la sedia ed un mezzo tavolo. Quando ritornò, era pallido sotto l'abbronzatura e si stava asciugando la bocca con un fazzoletto. Dopo il primo momento d'imbarazzo, scoppiarono entrambi a ridere a crepapelle...
"Scusa, William, non ho onorato la cena, ma quando ho saputo di aver mangiato un ragno..."
"Sei stato fin troppo coraggioso, non hai idea di cosa sia successo, qui dentro..."
"Lo immagino" poi si fece immediatamente cupo:
"Ora però parliamo di cose serie: sai davvero qualcosa su mia moglie?" William lo guardò con attenzione:
"sei proprio sicuro di volerlo sapere?"
"Oramai sono pronto a tutto, anche alle notizie più tragiche"
"Francesco, le cose non sono mai come sembrano, soprattutto in Africa. Questi posti fanno perdere la testa a tutti, questo sole cuoce il cervello, questi tramonti, una volta visti, non si dimenticano più. Lasciatelo dire da uno che è venuto dall'Inghilterra quasi quarantanni fa e non ci è più tornato"
"Ascolta, William se voglio sentire parlare del "mal d'Africa" mi leggo Hemingway, io voglio sapere di Caterina..."
"Francesco, va bene, bando alle ciance: non hai mai pensato alla possibilità che tua moglie possa essersi allontanata volontariamente?"
2006
Loredana continuava a singhiozzare, Francesco provò a consolarla, inutilmente, due turisti che passavano si misero ad osservare con insistenza, solo l'espressione truce dell'uomo li convinse a continuare per la propria strada.
"Scusa, Loredana, mi dispiace molto, ma tenta di capirmi, sono dieci anni che provo a pensare qualcosa, a cosa possa essere successo..." La donna gli fece una carezza affettuosa, gli diede un bacio sulla guancia:
"Senti, Francesco, non dovrei, ma non ti voglio veder così: tieni, questo è un numero di telefono olandese, chiedi di Caterina, ti sapranno dire. Per favore, non chiedermi altro."
"..."
"Vado, Francesco. Vedi di riprenderti, sei giovane, sei un bell'uomo, sei intelligente, la vita finisce solo quando lo decide Dio, non dimenticarlo. E se un giorno avrai bisogno di me, sai dove trovarmi..."
Si incamminò rapidamente verso l'auto, senza voltarsi. Avviò il motore e partì in fretta. Francesco rimase immobile per un attimo, poi guardò il biglietto che gli aveva lasciato la donna, era un numero corto, probabilmente un centralino. Lo infilò in tasca, poi salì in auto: stava per uscire dall'area di sosta, quando cambiò idea, parcheggiò e si avviò verso il ristorante, aveva fame ed era nervoso. Stava entrando quando squillò il cellulare, numero riservato:
"Pronto"
"Francesco, sono Alphonse, sono venuti due agenti doganali, cercavano te: in che caz.. di guaio ti sei cacciato? Mi hanno fatto un sacco di domande, volevano perquisire la casa, ti avverto: se per caso mi coinvolgono, me la paghi, e sai che non scherzo"
"Non so che volessero, e non accetto minacce da nessuno!!!" Chiuse il telefono, ma cominciò a guardarsi le spalle, gli agenti del CITES erano dappertutto. Mangiò in fretta un disgustoso filetto stracotto e durissimo, bevve una bottiglia di Barbera mediocre, e pagò quasi come se avesse mangiato da Paul Bocuse...
Uscì di malumore, si avviò verso l'auto:
"Dr. Pairetto?" l'uomo era basso, tarchiato, l'accento meridionale
"Chi lo vuole sapere?"
"Ispettore Calò, sono dell'Interpol, sezione conservazione fauna esotica". Uno degli sgherri del CITES, ci mancava solo lui
"Cosa posso fare per lei?"
"Deve seguirmi, ho un mandato di comparizione, non faccia resistenza o la farò ammanettare"
1997 Africa
"Cosa vuol dire, volontariamente?"
"Esattamente quello che ho detto, Francesco... a volte non è facile capire le cose, ed ancora meno accettarle. Ma bisogna rassegnarsi, la realtà è questa, fattene una ragione."
"Un corno, cosa è questa storia? E poi, perché Caterina se ne sarebbe dovuta andare, e dove, per la miseria?"
"Ascolta, Francesco, credimi: Caterina non è stata rapita, ha fatto tutto di sua spontanea volontà, te lo garantisco. Non farmi entrare in particolari. Ti prego"
"No, neanche per sogno... ora voglio sapere tutto, per filo e per segno. Per me è troppo importante."
"D'accordo, se proprio vuoi...- estrasse dall'interno della giacca una busta bianca- Guarda queste foto, e dimmi se riconosci qualcuno..."
Francesco prese la busta con timore reverenziale, la aprì con mani tremanti, sbiancò appena vide il contenuto. In una appariva Caterina, in un ristorante in compagnia di uno sconosciuto: un uomo alto, biondissimo, con i capelli cortissimi, vestito in modo elegante, ricercato. Caterina sembrava in ottima forma, abbronzata e con uno smagliante sorriso. Nelle altre, compariva sempre questo sconosciuto, in compagnia di altre persone, alcune africane ed alcune no. Francesco rimase basito, le foto gli pendevano dalle mani come se non riuscisse a reggerle, bevve un bicchiere di vino in una sola sorsata...
"Tutto bene, amico?" William lo guardava con espressione preoccupata, ...
"Ma, da dove vengono queste foto, chi le ha scattate, perché,... magari sono fotomontaggi, trucchi..."
"No, amico, niente del genere: sono state prese circa dieci giorni fa in un albergo di Khartoum, e tua moglie era in compagnia di quell'uomo e di alcuni suoi colleghi. E pareva anche divertirsi molto..."
"Ma insomma, cosa è tutto questo mistero, chi sono questi uomini, e tu, che ne sai... a questo punto voglio sapere tutto, dall'inizio alla fine, credo di averne diritto..." Il suo tono quasi supplichevole, strano in un uomo grande e grosso, commosse quasi William:
"Hai ragione, Francesco, ne hai diritto. L'uomo che hai visto a cena con tua moglie si chiama Ruud Vermereen, è un olandese che vive da anni in Africa, commercia in diamanti ed altre pietre preziose, ma bisogna stare molto attenti a parlare di lui. La sua organizzazione agisce sempre ai limiti della legge, si circonda di ex-mercenari, in gran parte belgi, ed i suoi commerci non sempre riguardano solo diamanti. Non so come tua moglie l'abbia conosciuto, ma una cosa è certa: Ruud non è l'uomo a cui affiderei mia figlia, se mai ne avessi avuto una. Sono circa due mesi che, quando si vede lui, c'è anche lei, e lui... la presenta come, sì insomma, come sua moglie. Non so altro, veramente, credimi." Francesco rimase allibito, la sua Caterina che era fuggita volontariamente con un altro, proprio non riusciva a crederci. Provò a pensare a qualcosa, a qualche fatto strano, a qualche segnale di cedimento nel loro rapporto, a un qualsiasi evento strano, ma non gli venne in mente nulla. Lo stupore lasciò presto il posto alla rabbia, al desiderio di vendetta, ad una strana forma di "rassegnazione operativa": era pronto a combattere contro tutto e tutti... William lo guardava di sottecchi, pronto a cogliere qualsiasi sua reazione, ad anticipare qualunque sua domanda.
"Non ho capito solo una cosa, William- la voce era stranamente determinata- ma come Caterina ha potuto conoscere un elemento come quello?"
"Non lo so, Francesco, onestamente non ne ho idea, l'unica cosa è che sembra lo conosca da sempre, forse anche prima di te..."
"Non dire idiozie, conosco Caterina da quando aveva quindici anni, abbiamo sempre frequentato le stesse persone, gli stessi ambienti, non può aver conosciuto un farabutto così..."
"E qui ti sbagli, amico: Ruud è un delinquente solo per chi lo conosce bene, per la maggior parte degli altri è solo un ricco uomo d'affari, di buona famiglia, laureato, con amicizie importanti ed altolocate. Conosco un sacco di persone che lo considerano addirittura un benefattore, aiuta organizzazioni umanitarie, fa ricche donazioni, partecipa a raccolte di fondi per beneficenza."
"Sì, insomma, Madre Teresa di Calcutta versione maschile..." La sua ironia era evidente, il tono sprezzante,
"Francesco, si è fatto tardi, io devo rientrare, domani ho un giorno faticoso"
"Devi forse pugnalare qualcun altro?" si pentì subito di quanto detto
"Scusa William, hai ragione tu, torniamo in albergo, la vita continua..."
"Già, si deve continuare, ed è per questo che voglio farti una proposta, una proposta seria, da amico.."
"Di cosa stai parlando?"
"Vedi, Francesco, mio nonno, uomo molto saggio, mi diceva sempre che il miglior metodo per far star male un ricco era colpirlo sul denaro, ed a te non dispiacerebbe far soffrire il nostro Ruud, vero?"
2006
Fu portato in commissariato ad Imperia, in una stanza lo attendeva uno strano personaggio: molto basso, quasi un nano, con una testa enorme completamente calva, un corpo massiccio, un abito color crema che lo ingoffava ancora di più, l'espressione di un gatto che avesse visto entrare un topo.
"Si accomodi, dr. Pairetto, sono Hugo Bonard, direttore del servizio centrale del CITES, ma lei dovrebbe conoscermi, o no?" La voce era potente, baritonale, quasi paradossale in un ometto simile.
"Non ho avuto questa fortuna. Mi vuole dire perché mi trovo qui, e cosa volete da me? Se mi trattiene, voglio parlare con un avvocato, ed anche subito"
"Quanta fretta, dottore, non vuole nemmeno sapere di cosa è accusato?"
"So che me lo dirà lei, spero."
"Immediatamente: lei è accusato di traffico di animali esotici protetti dalla Convenzione di Washington, ha appena consegnato quattro varani di Komodo al noto trafficante internazionale Alphonse Abdilah, nella residenza di Menton, in Francia. Contento, ora?"
"Ma è ridicolo, avete delle prove per quello che state dicendo?"
"La sorvegliamo da parecchio, dr. Pairetto, e la cosa che personalmente mi addolora di più è vedere che uno scienziato come lei, un biologo, che dovrebbe studiare la vita, sia complice di tali delinquenti che le vite le annientano..."
"Allora, se avete delle prove, tiratele fuori, altrimenti io mi alzo e me ne vado immediatamente."
"Non prove, ma fondati sospetti, e qualche testimone che potrebbe parlare."
"Bene- si alzò di scatto- quando troverete le prove, sapete dove trovarmi, per ora buongiorno..." Si incamminò verso la porta a passi lunghi, decisi:
"Mi dispiace la prenda così, speravo potessimo diventare amici."
"E lei, i suoi amici cosa fa, li arresta? Non oso pensare cosa fa con i nemici."
"Si sieda, per favore, dottore, parliamo un attimo" il suo tono era da padre affettuoso, Francesco tornò sui suoi passi:
"Va bene, le concedo cinque minuti, ma se mi accusa ancora esco..."
"D'accordo, parliamo d'altro. Lei conosce Alphonse Abdilah, vero?"
"Sì"
"Bene, e sa che cosa fa per vivere?"
"Ha una società di import export, lavora con tutto il mondo..."
"Già, una società dedita soprattutto ai commerci illeciti, diamanti, avorio, animali protetti, armi..."
"Non mi interessa cosa faccia, io faccio alcune volte delle consulenze scientifiche per lui, tutto qui..."
"Lei lo sa che i varani di Komodo rischiano di estinguersi entro un paio d'anni?"
"L'ho sentito dire..."
"E, le sembra giusto?"
"Ascolti, negli ultimi cinquant'anni si sono estinte almeno 7000 specie di animali, la deforestazione, l'aumento della popolazione mondiale, ed altre cause."
"Tra cui la caccia di frodo, le esportazione illecite..."
"Mi ascolti, sono un biologo, 30 anni fa i Panda giganti sono stati salvati dall'estinzione grazie ad un appassionato svizzero che è riuscito a farne riprodurre due in cattività: adesso la Cina ci ha messo il naso, ha fiutato l'affare, si sono fatti passare per i salvatori della razza, ma se fosse stato per loro i Panda sarebbero già un ricordo lontano..."
"Quindi lei arriva a giustificare i bracconieri?"
"Si fermi, amico, i bracconieri sono quelli che uccidono, che mettono tagliole, non certo tranquilli collezionisti che trattano i loro animali come fossero re, non gli fanno mancare niente, li considerano membri della famiglia".
"Quindi, secondo lei, costoro sarebbero persone importanti per la salvaguardia della fauna?" Lo scetticismo traspariva chiaramente dalle parole dell'ispettore:
"Non ho detto questo, ma a volte per arrivare ai risultati si debbono usare metodi strani, di non facile comprensione immediata, ed anche loro possono essere utili..."
"Soprattutto a smascherare i veri delinquenti?"
"Certo, soprattutto a quello..."
"In ciò, anche lei potrebbe esserci d'aiuto, sa, dottore? Lei ha la competenza scientifica, le conoscenze, le amicizie giuste..."
"Calma, amico, io non sono e né diventerò mai né un poliziotto né un delatore, sia chiaro..."
"Delatore è chi tradisce gli amici, lei è proprio sicuro di averne, in quell'ambiente?"
"..."
"Potrebbe definire amico Ruud Vermereen, dottore? Mi risulta che non si sia comportato in modo irreprensibile con lei, o sbaglio?"
1997 Africa
Il risveglio della mattina fu più difficile del solito, la cena particolare e soprattutto le ultime novità non avevano certo contribuito ad un sonno tranquillo. La testa risentiva pesantemente delle libagioni della serata precedente, la bocca era impastata, gli occhi gonfi: si guardò allo specchio: stava mettendo su peso, i muscoli stavano perdendo tonicità, il suo sguardo magnetico, che tante donne aveva affascinato, era ora spento e stanco. Doveva in qualche modo uscire da quella situazione, o quella situazione avrebbe ucciso lui. Ripensò ancora alle parole di William: davvero riusciva a credere che Caterina lo avesse tradito? Era troppo assurdo, troppo incredibile: erano sempre stati affiatati, mai un litigio vero, mai un dubbio, mai un'incomprensione. Qualche piccola baruffa, questo sì, ma niente di particolare, piccoli litigi, finiti sempre con gustosissime riconciliazioni. Ma nulla, nulla che avesse potuto far prevedere una tale conclusione. Dopo una lunghissima doccia, si sentì più rilassato e decise di passare da William; voleva a tutti i costi altre informazioni, non riusciva proprio a credere a quello che aveva sentito. La strada che conduceva al Marriott, dove alloggiava l'inglese, era tutta una buca, stretta e polverosa; l'uomo guidava con estrema cautela, tra lo stato delle strade ed i guidatori africani, c'era poco da stare tranquilli. Arrivato al parcheggio dell'hotel, lo trovò chiuso, la sbarra era abbassata, un'auto della polizia congolese stazionava dietro. Un poliziotto africano dalla divisa lercia gli rivolse la parola in swahili: "Mi dispiace, agente, non conosco la vostra lingua, io sono venuto in visita da un amico" parlò in inglese, l'agente fece un cenno d'intesa, alzò la sbarra, lo fece parcheggiare accanto alla propria auto e gli fece segno di incamminarsi a piedi. Probabilmente non aveva capito nulla, l'analfabetismo era diffusissimo a tutti i livelli, ma quello era un bianco, e l'albergo era frequentato da bianchi, che passasse pure. Non erano cose che lo riguardavano. Francesco si avvicinò alla reception con una strana inquietudine in corpo. Il portiere lo accolse con un sorriso tirato, era evidente la tensione:
"Buongiorno, vorrei vedere il sig. William, sono Francesco, un amico." Il portiere si irrigidì ancora di più, biascicò qualcosa di incomprensibile, poi entrò nell'ufficio dietro al bancone e chiuse la porta. Dopo due lunghi minuti d'attesa, un africano alto, longilineo, i delicati lineamenti da Masai, vestito con eleganza, si avvicinò a lui: " Buongiorno, signore, potrei sapere perché cerca il sig. Postelwhite?". L'inglese era ottimo, il tono gentile ma fermo. "Sono il dr. Pairetto, sono un amico del sig. William, posso sapere che cosa è successo?" "Sono il sovrintendente N'Bami, capo della polizia, è successo un incidente al sig. Postelwhite,
mi dispiace, lei era un amico intimo?". "Assolutamente no, lo ho conosciuto solo ieri, siamo andati a cena insieme, tutto qui, ma... può dirmi che gli è successo?".
"Se vuole seguirmi..." Si avviò verso la enorme hall, quattro o cinque poliziotti in uniforme stavano parlando con alcuni ospiti, sembrava li stessero interrogando, o almeno così pareva. Entrarono in una piccola stanza ingombra di schermi, probabilmente la sede della sorveglianza. Un africano era seduto davanti ad una consolle, si alzò rispettosamente all'ingresso del capo della polizia: si sedettero ad una scrivania, ad un cenno dell'uomo si alzò ed uscì, chiudendosi dietro la porta. "Dunque, sig. Pairetto,- aprì un fascicolo con parecchi fogli- lei faceva parte di Medècin sans frontieres, prima della scomparsa della moglie". L'uomo rimase interdetto, la parola gli mancò ...: "E lei come fa a saperlo?". "L'Africa è vasta solo nel territorio, ma in fondo è ancora una tribù, le notizie volano. Stava forse cercando notizie?" "Esattamente, William aveva detto di sapere qualcosa, ma era solo il solito bluff". Il poliziotto scattò in piedi, l'espressione adirata: " Eh, no, dottore, così non va, per chi mi ha preso, per un selvaggio scalzo? Postelwhite le ha dato delle foto, delle foto con sua moglie insieme a Ruud Vermeeren, ed è forse per questo che è stato ucciso, quindi non cominci a mentire, o la sbatto in galera, e le assicuro che le nostre carceri sono molto dure!!". Si tornò a sedere, il viso tornò quello elegante e tranquillo di prima della sfuriata... " Beh, effettivamente sì, mi ha dato delle foto, ma ero venuto qui proprio per parlarne con lui, non sono convinto... ma, come è morto?" "Con la testa quasi mozzata da un colpo di panga, ma prima lo hanno torturato, aveva segni di ecchimosi su tutto il corpo, bruciature, gli hanno persino strappato un occhio... deve essere stata opera degli sgherri di Vermeeren, quell'uomo non tollera che si parli di lui, ed è totalmente privo di scrupoli". Un brivido gli corse lungo la schiena, ma con chi era andata ad immischiarsi Caterina??? Fu preso da un momento di sconforto, tutta la vicenda era troppo complicata, troppo africana... non ci stava capendo niente, l'unica cosa da fare era mettersi il cuore in pace, in fondo, in quello sterminato Continente, tutto avveniva a caso, senza controllo, e quindi, che se ne andassero tutti al diavolo...
2008
Erano passati oramai due anni da quando aveva iniziato a collaborare con gli agenti dell'INTERPOL: dopo la scomparsa di William, era entrato nella "South Africa import & export". Per quasi dieci anni aveva girato il mondo, contrabbandando ogni tipo di specie di animali protetti, poi, il grande salto: aveva deciso di schierarsi dalla parte della legge, anche se non ne era convinto. Non aveva più avuto altre notizie di Caterina, non si era più fatta vedere in giro con Vermeeren: anche quest'ultimo si era un po' defilato, si parlava di una sua malattia che gli impediva di muoversi troppo. Ma la sua organizzazione era ancora florida, nonostante lui fosse riuscito a mandargli a monte alcuni carichi lucrosi. Stava proprio preparando una relazione su di un carico di rarissime scimmie urlatrici del Borneo, quando il telefono suonò: rispose senza pensare, la voce lo fece quasi cadere dalla sedia.
"Ciao, Francesco, come va?" La voce che non sentiva da quasi dodici anni, era sempre la stessa, magari più roca, più grave, ma sempre con quella nota argentina che avrebbe riconosciuto ovunque.
"Caterina, ma sei proprio tu???"
"Certo, Francesco, sono io. Che cosa diresti di incontrarci? Io sono a Kinshasa, vicino a te. Potrei essere al tuo albergo tra mezz'ora, ti va??".
"Certo, certo, ma... come fai a sapere dove sono, e, come hai avuto il mio numero?"
"Ne parliamo al mio arrivo, ti va?"
Si fece una rapida doccia, si regolò con cura la barba, infilò un elegante abito blu: si guardò allo specchio, era un po' invecchiato, certo, ed aveva messo su qualche chilo, ma, tutto sommato, non si lamentava.
Nella hall, quando scese, non vi era nessuno, a parte due africani in divisa da cameriere che stavano sistemando alcuni tavoli. Si sedette in un angolo, un cameriere gli si avvicinò subito, gli ordinò un gin. Non attese molto, quasi subito l'enorme porta a vetri si aprì, Caterina era in compagnia di un uomo di una quarantina d'anni, alto e muscoloso, con una sahariana cachi e l'aspetto duro. Lei indossava un paio di jeans stinti, una camicia azzurra di taglio maschile: era in forma stupenda, abbronzata, non aveva preso nemmeno un etto di peso, i lunghi capelli scuri erano trattenuti da un'elaborata treccia, aveva al collo una stupenda collana etnica, probabilmente di origine zulu, gli occhi azzurri luccicavano come sempre. Lui rimase basito, l'emozione gli tolse il fiato, fu l'uomo a prendere l'iniziativa:
"Dott. Pairetto, piacere di conoscerla: mi chiamo Sean Hendrick, sono il responsabile sicurezza della "Orange Investment".
"Beh, sono onorato di conoscere il macellaio preferito di Vermeeren, credevo che lei fosse solo una figura mitologica, come il Golem."
"Dottore, se vuole cominciare con gli insulti, la avviso che non sono disposto ad ascoltare senza fare niente..." l'uomo urlò quasi, il suo viso divenne rosso, strinse i pugni...
"Volete piantarla di fare i bulli da osteria, per favore?-Caterina intervenne immediatamente- Francesco, non siamo venuti qui per litigare, ma per vedere di trovare un accordo... quindi, sedetevi, e tu, ascoltami."
"Va bene, Cate, mi siedo. Sono tutt'orecchi."
"Dunque, Francesco, noi siamo qui per vedere di aprire un periodo di collaborazione. L'organizzazione di Ruud ha fatto molti errori, in passato, come tutti noi. Ma ora il signor Vermeeren ha rinunciato a tutti gli incarichi, è in convalescenza dopo una grave malattia. Ora tutti i nostri affari sono perfettamente leciti, alla luce del sole, ma le ingerenze dell'INTERPOL ci stanno danneggiando, non possiamo sempre essere in lotta con tribunali ed avvocati, stiamo dilapidando un patrimonio, ed anche la comunità, penso. Mi sembra una stupidata, cosa ne dici?"
"Posso sapere, se possibile, in che veste parli? Di proprietaria, di collaboratrice, o di altro??"
"Sono il vicedirettore della "Orange Investment", ed ho la delega, da parte del Consiglio di Amministrazione, di parlare a nome della società. Ti basta, Francesco?"
"Certo, certo, capisco, hai fatto una carriera eccezionale, vedo. Devi avere avuto delle grandi doti, chissà in che campo."
"Non ti permetto di parlarmi così, il tuo veleno tientelo per te, altrimenti mi alzo e me ne vado..."
"Hai ragione, scusa, ma ci sono cose personali che devo chiarire, ne va della mia salute mentale."
"Va bene, Francesco, anch'io devo parlarti, ma avremo tempo dopo, a quattr'occhi."
"D'accordo. Allora, sinceramente non ho capito cosa volete da me, io sono solo un funzionario, eseguo ordini, e faccio il mio dovere, tutto lì."
"Non prendiamoci in giro, è dal tuo ufficio sono partite tutte le indagini che ci riguardano, quindi."
"Ruud Vermeeren è il più grosso trafficante dell'Europa Occidentale, non penso di conoscerlo solo io."
"Senti, parliamoci chiaro- il suo tono di voce si abbassò, si fece complice- noi stiamo tentando di uscire da certi... traffici, insomma, ci stiamo ripulendo, ma, se continuiamo ad avere addosso gli occhi del CITES e dell'INTERPOL, ci riesce tutto più difficile. Si potrebbe arrivare ad un accordo, un "gentlemen agreement."
Francesco si alzò di scatto, rosso in viso...
"Per chi mi hai preso, Caterina? Pensi che mangi da quella greppia??? Frequentare troppo certe persone ti ha fatto male, mia cara, non abbiamo più niente da dirci!!" Sean gli appoggiò una mano sulla spalla, come per trattenerlo.
"Togli quella zampaccia, gorilla, altrimenti prima ti spacco la faccia e poi ti arresto!!!" Aveva urlato, Caterina fece un cenno a Sean, che mollò la presa subito.
Tornato in camera, sfogò la sua rabbia su di un cuscino, poi aprì il frigo bar, e iniziò un lungo dialogo con la bottiglia di gin... Si addormentò sul divano, completamente sbronzo, quando si svegliò era già buio. Guardò l'orologio, segnava le 20, 35: aveva fame, ripensò a quel ristorante dove era stato anni orsono con William, si ricordava la strada, perché non tornarci?? Si riassettò un attimo, uscì dalla stanza, scese: la sera africana era stupenda, in lontananza l'ultimo riflesso del sole sugli enormi baobab creava figure strane, immagini oniriche e fantastiche... Le ultime urla delle scimmie e di babbuini creavano echi grotteschi, un lamentoso e profondo ruggito di un leone maschio zittì per un istante gli altri suoni. Ormai erano parecchi anni che trascorreva lunghi periodi in Africa, ed aveva cominciato a capirne il grande fascino: il fascino di una terra violenta, disperata, eccessiva in tutte le sue manifestazioni. Niente era scontato in quelle terre, si passava in un attimo dalla modernità più esasperata di alcune città e, nel giro di pochi chilometri, si potevano trovare ancora comunità che quasi non conoscevano gli uomini bianchi. Vicino a grattacieli di trenta piani, si potevano vedere pastori masai pascolare branchi di capre, giovani manager con notebook e cellulare incrociavano uomini scalzi e vestiti solo di un perizoma: l'Africa era un grande caleidoscopio, ci si poteva trovare tutto ed il contrario di tutto. Arrivò al ristorante che aveva visto la sua "performance" gastrica, parcheggiò in mezzo ad altre auto, entrò deciso.
Quando uscì, era decisamente allegro, euforico: la cena era stata veramente gustosa, il vino di palma gradevole, questa volta aveva evitato il "King Baboon", ma, in compenso, si era gustato un meraviglioso piatto di zighilì, uno spezzatino di carne sconosciuta, arricchito con una miscellanea di spezie esotiche e strane. Si avvicinò all'auto, con incedere un po' traballante, nella luce di un lampione credette di vedere un movimento all'interno... Si fermò, tutti i sensi all'erta, si guardò accuratamente in giro, estrasse dalla fondina la sua pistola, una precauzione necessaria, vista la sua attività. Si avvicinò con prudenza, colse ancora un guizzo nell'auto, questa volta più evidente. Il vino di palma non c'entrava, veramente c'era qualcosa che si muoveva nell'abitacolo: aprì la portiera con il telecomando, la spalancò e si scansò con un balzo. L'interno, illuminato ora dalla luce, appariva vuoto, ma lui era più che sicuro di ciò che aveva visto. Attese qualche minuto, finalmente un'ombra si intravide sul sedile anteriore, si avvicinò cautamente, gli parve di scorgere un piccolo serpente, scuro e lucidissimo: non vi erano dubbi: era sicuramente un mamba nero, un colubride velenosissimo, forse il più pericoloso della sua specie. Scese lentamente dall'auto, la lingua biforcuta frustava l'atmosfera in cerca di sensazioni di calore, con la calcolata lentezza dei rettili avanzò tra la ghiaia del parcheggio, poi ebbe uno scatto repentino e si infilò tra l'erba, scomparendo. Rimase ancora qualche minuto immobile ad attendere, poi si avvicinò all'auto, aprì anche le altre portiere, rimase ancora in attesa... I mamba erano molto riservati e stanziali, era impossibile che si fosse infilato da solo nell'auto, qualcuno doveva avergli fatto un bel regalo. Era fin troppo facile pensare a Hendrick, lo sgherro di Vermeeren era noto per essere un assassino senza scrupoli, ma proprio non riusciva a credere che ci fosse di mezzo anche Caterina. Il viaggio di ritorno verso l'albergo lo fece con gli occhi attaccati allo specchietto retrovisore, ogni ombra aveva l'impressione che dovesse nascondere chissà cosa, arrivò stanco e sudato. Diede l'incarico al parcheggiatore di lavargli l'auto, era sicuro che non ci fosse nulla, ma, così, anche gli eventuali effluvi ghiandolari del serpente sarebbero scomparsi, evitando che qualche altro ci provasse. Al bureau trovò un'altra sorpresa: aveva telefonato Caterina, e gli aveva lasciato un numero di cellulare. Era quasi mezzanotte, ma non si fece scrupolo di chiamare subito, era troppo agitato per dormire. Caterina rispose al secondo squillo, la voce era assonnata:
"Allo, who speaks?"
"Puoi parlare in italiano, il tuo inglese è sempre pessimo..."
"Francesco, sei tu??"
"Pensavi che fossi già morto? Il tuo serpentello ha fallito, dì al tuo amico Sean che sono ansioso di incontrarlo per continuare la discussione di oggi!! E stavolta non se la caverà con poco, parola mia!!"
"Ascolta, in nome di quello che c'è stato tra di noi, lascia perdere, Hendrick è un uomo molto pericoloso, neanche Ruud lo controlla fino in fondo. Io non so niente di serpenti, ma, credimi, io non c'entro per niente con tutto questo."
"Allora dimmi cosa vuoi, perché mi hai lasciato questo numero. Domani mattina vado alla polizia e inoltro la denuncia contro ignoti. Ma, se non ci chiariamo subito, mando immediatamente un e-mail all'INTERPOL."
"Possiamo vederci subito?"
"Quando vuoi, ti aspetto..."
"Guarda, non voglio uscire a quest'ora, puoi raggiungermi tu??"
"Dimmi dove"
"Vicino all'ambasciata italiana, in Wellington Street, al numero 3. È una grande villa, dipinta in rosa, con un muro di cinta molto alto."
"Il tempo di arrivare"
Il cancello si aprì silenziosamente, Francesco si era cambiato, aveva messo una camicia molto ampia, in modo che non si notasse la fondina renale. La prudenza non era mai troppa. Andava nella tana del lupo. Il parco della casa era veramente enorme, illuminato a giorno: vide un paio di africani, pesantemente armati. Scese, e gli venne incontro Sean
"Guarda chi si vede, mi dispiace, non ti ho riportato il tuo serpentello, scusami, se vuoi te ne pagherò uno nuovo."
"Non so niente di serpenti, la signora ti aspetta."
"Grazie, per la questione del serpente ne riparleremo negli uffici dell'INTERPOL, aspettati una chiamata."
Caterina uscì dalla porta, interrompendo il discorso:
"Vieni, Francesco, entra."
L'interno era molto lussuoso, forse un po' kitsch per i suoi gusti, ma indubbiamente d'effetto. Alcune statue lignee, di sicura provenienza bantu, troneggiavano nell'amplissima sala. L'illuminazione era composta da tubi nascosti nel soffitto, l'atmosfera era ovattata, il pavimento, in lucidissimo marmo bianco, era coperto di pelli di animali, alle pareti arazzi tribali. Tutto l'insieme era abbastanza gradevole, anche se l'ostentazione della ricchezza disturbava. Caterina indossava un semplicissimo abito di tela grezza, il viso era tiratissimo, si vedeva che aveva pianto.
"Accomodati, Francesco, vuoi qualcosa da bere?"
"Un gin, grazie"
"Senti, chiariamo subito una cosa: io non so niente di serpenti, ma non posso assicurarti che non c'entri Sean, è un uomo crudele, vendicativo: spesso agisce di sua iniziativa. Ruud non ne sapeva niente, di questo ne sono sicura..."
"Vedo che difendi a spada tratta quel delinquente di Vermeeren, deve essere veramente un grande amore."
"Piantala di dire stupidate, Ruud è un amico che mi ha aiutato in un momento difficile, e poi, tra di noi non potrebbe mai esserci stato niente."
"Ma davvero, che strano, mi è stato riferito che ti presentava come tua moglie."
"Certo, come per tutte le altre, per la gente. Nessuno deve intuire la realtà."
"Quale, quella che si tratta del peggior delinquente a sud del Cairo??"
"Smettila, Francesco, ma non l'hai ancora capito? Ruud è omosessuale, e sta morendo di AIDS.!!" Le parole le uscirono quasi urlate, gli occhi si arrossarono, si capiva che stava per piangere.
"Ed allora, tu che c'entri in questa storia, posso finalmente saperlo??"
"Va bene, è giusto così. Quando i ribelli assaltarono il nostro ospedale, fui portata in una specie di accampamento, la prima persona che vidi fu Sean, mi disse che aveva bisogno per un suo amico, che non si poteva fidare di nessuno."
"Vorresti farmi credere che, con tutti i suoi soldi e le sue conoscenze, aveva bisogno di uno sconosciuto, inesperto medico italiano per curarsi??"
"Puoi anche non crederci, ma ti assicuro che è andata così. Ho incontrato Ruud il giorno stesso, abbiamo parlato per ore, mi ha parlato della sua malattia, della sua diversità, ho visto un uomo solo, abbandonato, spaventato. Mi ci sono affezionata subito."
"Ed hai dimenticato di avere una tua vita, un marito, degli affetti. Ti ho cercato per mesi in tutta l'Africa, ho rischiato la vita, ho dilapidato un patrimonio, e per cosa? Per assecondare il tuo lato Florence Nightingale... Ma a chi vuoi farla bere??"
"Te l'ho già detto, Francesco, non mi interessa che tu ci creda o no, è andata così e basta. E poi, tu non c'eri mai per me, prima venivano le tue ricerche, la tua Università. Ma perché credi che avessi voluto venire in Africa? Speravo di rivedere l'uomo che avevo sposato, il liceale timido ed educato che mi portava fiori tutti i giorni, quello che mi apriva la portiera dell'auto, che mi faceva sentire una regina, che mi soffocava di coccole e complimenti."
"Ammettiamo anche che possa essere vero, ma da questo a diventare complice con determinati personaggi, ce ne passa, che ne dici?".
"Ed allora, Francesco, riusciamo a raggiungere un accordo? Io non voglio corrompere nessuno, vorrei solo che l'INTERPOL ci guardasse con più obiettività, tutto lì. Ed è per questo che mi rivolgo a te: conosco la tua onestà intellettuale. Non parliamo più di accordi, parliamo semplicemente di giustizia. Solo giustizia. Nient'altro."
"Te lo dico per l'ultima volta, Caterina: io non sono l'INTERPOL, sono solo un funzionario, ed ho sempre lavorato basandomi su prove, su fatti. Non sono responsabile sulle inchieste dei miei colleghi." Caterina si alzò in piedi, nervosamente, la voce le uscì di gola, greve:
"Proprio non riesci a capire. Se tu non ti fermerai, ci penserà qualcun altro a farlo. Lo capisci che sto tentando di proteggerti? Sei proprio uno zuccone."
"Non accetto minacce da nessuno, io continuerò a fare il mio dovere, senza alcun tipo di costrizione. Non accetto minacce. E basta. Ci vediamo, Caterina." Si alzò dalla poltrona, e fece per uscire. Sean gli si parò davanti:
"Non mi sembra educato andarsene così, dottore. Avrei bisogno di parlarle anche io."
"Ascolta, bestione. Non ho niente da dirti qui, i nostri dialoghi, se mai ci saranno, ci saranno solo negli uffici dell'INTERPOL." Sean fece per ribattere, ma un gesto di Caterina lo fermò:
"Francesco, per favore, fermati." Uscì dalla porta, salì sull'auto e partì sgommando. Il cancello era chiuso: si attaccò al clacson. Dopo pochi attimi cominciò lentamente ad aprirsi, Francesco uscì appena lo spazio glielo permise.
Passò una settimana, Francesco era nel suo ufficio a Nairobi.
"Dr. Pairetto, buongiorno: sono il sovrintendente N'Bami, capo della polizia di Kinshasa, si ricorda di me? Ci siamo conosciuti un paio d'anni fa, quando è stato assassinato il suo amico, William Postelwhite. Ci sono delle novità, abbiamo arrestato due persone, una ha ammesso di lavorare per Vermeeren. Penso che potrebbe interessarle..."
"Dove posso trovarla?"
"Nel mio ufficio, ma domani stesso sarò a Nairobi, se vuole posso venire io da Lei."
"Benissimo, io sarò in ufficio tutto il giorno."
A domani"
Si sistemò meglio sulla poltrona, e se finalmente fosse riuscito ad incastrare Vermeeren? Non si faceva troppe illusioni, malato o no, quell'uomo era più pericoloso di un cobra, se è vero che da anni aveva tutta la polizia del mondo alle calcagna e mai avevano cavato un ragno dal buco. N'Bami era un ottimo poliziotto, ma che fosse riuscito dove tutta l'INTERPOL, per anni, aveva fallito, proprio non riusciva a crederci...
La giornata passò tranquilla, il lavoro d'ufficio era noioso, ma, ogni tanto, bisognava sbrigarlo. Lo fece con ansia, l'incontro di domani poteva essere decisivo per la sua vita: si ritrovò a pensare a Caterina, proprio c'erano cose che non capiva, tante, troppe. E lui, odiava non capire: sarebbe stato meglio se Caterina gli avesse detto che si era innamorata di un altro, lo avrebbe ferito, ma almeno sarebbe stato qualcosa di concreto, di reale. Ma così...
N'Bami era come al solito elegantissimo, la sua alta e sottile figura di masai aveva una classe innata, ed il suo abbigliamento raffinato ed il modo di fare colto ed educato facevano il resto. Il loro incontro fu abbastanza freddo, l'africano non aveva molta stima per quel bianco ex-trafficante che si era improvvisamente... convertito.
L'arrestato era uno di quei personaggi di cui l'Africa, anche quella degli anni 2000, era piena. Di nazionalità belga, ex-mercenario con la Legione, poi al servizio di vari "signori della guerra" etiopi, era passato a fare il "contractor" per alcune multinazionali. Prima di incontrare Vermeeren, con cui aveva lavorato fino ad allora. Aveva una mezza dozzina di denunce, quasi tutte per rissa, ubriachezza molesta e resistenza alla forza pubblica. Ed ora, un testimone lo aveva visto seguire William fino alla sua camera: la testimonianza era credibile ed accertata, e la sua situazione era molto grave. Nella repubblica democratica del Congo governata dal tiranno Kabila, era in vigore la pena di morte, e il boia era più che mai attivo, con quasi un'esecuzione capitale al giorno. Per paura di ciò, si era deciso a spifferare tutto, fino ad accusare direttamente Vermeeren come mandante dell'omicidio. In realtà, Francesco era molto dubbioso che si potesse arrivare direttamente al capo, aveva ancora troppe conoscenze, troppi appoggi, e in Africa, con un po' di denaro, tutto risultava acquistabile. Anche un'onorabilità. Era ancora assorto nello studi del fascicolo lasciatogli da N'Bami, quando un particolare lo fece sobbalzare dalla sedia: in una delle foto del corpo massacrato del povero William, era evidentissima una cicatrice di un'appendicectomia. Una cicatrice di qualche centimetro, in cui le tracce dei punti chirurgici erano disposte secondo una sequenza strana, inconfondibile... Improvvisamente, gli fu tutto chiaro.
Continuò per tre minuti buoni a pigiare sul clacson, a martellare di pugni il cancello metallico, fino a che, finalmente, una piccola porta pedonale nel muro di cinta si aprì: la figura massiccia di Hendrick fece capolino.
"Allora, che vuole, dottore, è impazzito?" Spinse via l'uomo con una spinta, poi estrasse dalla tasca una Smith &Wesson a tamburo e gliela piantò sotto il naso:
"Adesso aprimi la porta di casa, immediatamente, stronzo, o ti faccio saltare questa faccia da delinquente..."
Lei si affacciò dalla porta, era in jeans e maglietta:
"Francesco, cos'è questa storia, e come ti permetti di minacciare qualcuno a casa mia?"
"Ma allora ci sei, cara mia. Ho bisogno di parlarti, e subito. O qui o nel mio ufficio.."
"Entra"
"Ti ha dato di volta il cervello? Sean ti ucciderà per questo, non avrò modo di fermarlo..."
"Non preoccuparti, cara, lo fermerò io, anzi, credo che i miei uomini siano già entrati- si udirono voci concitate, uno sparo-mi auguro che il tuo bestione non sia stato così stupido da opporre resistenza, sai, gli africani hanno il grilletto facile.."
"Cosa vuoi ancora da me, Francesco??"
"Niente di particolare, ho qui un mandato d'arresto internazionale, per te e per il tuo amico Ruud Vermeeren, per omicidio di primo grado, traffico internazionale, ed altre sciocchezzuole del genere. Questa volta non ve la caverete con qualche bustarella."
"Tu non hai nessun diritto..."
"Ce l'ho, ce l'ho, non preoccuparti, come tu avevi il dovere di curare un paziente, sei un medico, hai fatto il Giuramento di Ippocrate, se non erro."
"Ma..."
"Niente ma, William, il vostro complice, ha avuto un attacco di appendicite acuta, vero? Ed hai dovuto operarlo tu... Ma, quel tuo vezzo di mettere i punti come in una sequenza 1-3-1-3 non ti è passato, vero?? Era un vostro complice, vero? Mi avevi proprio ingannato in pieno, mi ero fidato ciecamente di William. La sua storia era perfettamente credibile. Ecco perché, in tanti anni di lavoro con lui, non siamo mai davvero riusciti a mettere i bastoni tra le ruote a Vermeeren. Perché, in realtà, era lui che tirava i fili, anzi, tu. Hai usato anche Ruud, come hai fatto con me. Hai sfruttato biecamente il tuo fascino, la tua intelligenza per i tuoi scopi, il potere. Buon sangue non mente. Tuo padre, povero ignorante, è riuscito lo stesso a costruire un impero economico, ma, in fondo, è sempre stato solo un muratore arricchito, con le unghie spezzate e sporche di calce, ed i calli alle mani. Tu, invece, hai fatto il salto di qualità: il denaro è solo un mezzo, è il potere il vero scopo, quello che ti fa sembrare al disopra di tutto e di tutti, quello che ti dà un brivido incontrollabile, che ti rende onnipotente. Brava, Caterina, veramente brava. Ma, come sai, il potere è difficile da gestire: basta anche un solo, piccolo errore, e tutto crolla. Ed il tuo errore è stata quella specie di firma sui punti chirurgici di William: hai capitolato sulla tua vanità di essere originale a tutti i costi. Sapendo dove indagare, non è stato difficile ricostruire tutto."
"Tu sei pazzo, Francesco..."
"Forse, lo stabilirà il giudice del tribunale dell'Aia. Sarete giudicati lì"
Torino oggi
Francesco uscì dal ristorante in piazza S. Carlo mentre iniziava a piovere, dopo tanti anni di Africa, era piacevole ritrovare il clima e l'atmosfera di casa propria. Aveva cenato con un'ottima trota in carpione, la bottiglia di Arneis del Roero era eccezionale, come la grappa monovitigno. Era sazio e soddisfatto. Erano ormai quattro mesi che si era dimesso dal suo incarico all'INTERPOL, ora voleva guardarsi un po' in giro: Caterina, e soci sarebbero stati processati la primavera prossima, Vermeeren era effettivamente morto di AIDS, ma a lui non interessava nulla. Era un capitolo della sua vita che voleva dimenticare, in fretta se possibile. Aveva avuto un offerta da un editore per pubblicare un libro sui traffici di animali illeciti, ci stava pensando. Lui era stato da tutte due le parti della barricata, ma non sapeva se fosse giusto parlarne troppo. Sapeva di essersi fatto anche troppi nemici. Sean, per esempio, era misteriosamente fuggito due giorni dopo l'arresto. Il suo ex cliente, il magrebino Alphonse Abdilah, era ancora a piede libero. Non voleva trovarsi ancora un mamba nell'auto, la fortuna non era eterna. Si chinò per dare una moneta al mendicante, accucciato alla fine dei portici: fece appena in tempo a vedere che sembrava troppo pulito, quando due tonfi sommessi lo fecero sobbalzare, gli sembrò di essere stato colpito da un calcio di un mulo, si toccò il petto, le mani erano rosse di sangue, il ghigno del mendicante si tramutò in un sorriso, in mano una piccola arma fumante...
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