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Panchina della stazione

Seduto, completamente immobile, con un ghigno di beata soddisfazione stampato sul volto osservavo quegli esseri immondi camminarmi davanti. Esseri Umani, alcuni li chiamano così, una moltidudine li chiama così, diciamo che si chiamano così fra di loro, quelli a cui piace l'appellativo di Essere Umano. Li fissavo dritti in faccia, per vedere se ricambiassero lo sguardo, almeno quello. Invece niente, camminavano tutti indaffarati con la faccia completamente rigida, inespressiva, morta. Forse quando da piccoli gli è stato insegnato di non fissare le persone, l'hanno preso un po troppo sul serio. D'altronde ai giorni nostri essere seri e morti è l'unica cosa che conta, non sia mai che per caso due persone fissandosi negli occhi scoppiassero a ridere, per carità. Non sia mai che si potesse essere felici, c'è sempre un buon pretesto per essere incazzati. Facevano avanti e indietro, alcuni si fermavano per un istante, il tempo per accendere una sigaretta. Il tempo per procurarsi un tumore, dita giallastre, alito di fogna e meno banconote lo avevano, per guardarti di sfuggita negli occhi no. Esseri Umani. Forse non guardavano per via del mio aspetto. Dicono che se ti vesti in modo appariscente tutti ti notano, sei come un volto che buca lo schermo, il classico protagonista vestito di bianco mentre tutta la folla va in giro vestita di nero. Non puoi passare inosservato dicono. Quello che dico io è che se te ne stai seduto su una panchina con i vestiti tutti sporchi, stropicciati, con la barba di due settimane, e capelli tutti spettinati, lo schermo non lo buchi, al massimo fai un buco nell'acqua. Se la strada è poco trafficata, pur di non incrociare il tuo sguardo inventano stratagemmi, prendono il telefonino e fanno finta di guardarlo, fanno finta di pulirsi gli occhi, improvvisano finte telefonate, girano la testa dall'altro lato della strada come se, per incanto, la loro attenzione fosse rapita da un tombino fatiscente, guardano per terra. Esseri Umani. Il più alto grado di evoluzione sulla Terra. Forse non guardano per paura di vedere come potrebbero finire, basterebbe uno scherzo del destino. Alcuni lo chiamano destino, a me verrebbe da dire scherzo del sistema economico, scherzo dell'alta finanza. Accendono la musica, posizionano le sedie, e si balla. Quando la musica si ferma e rimani senza un posto a sedere, sei vittima del destino, dicono. Io non sono una vittima del destino, come direbbero loro, sono vittima di una psicosi di massa che è cominciata due settimane fa, è che si sta espandendo a macchia d'olio sull'intera nazione. Le autorità governative non sono al corrente della gravità della situazione, almeno per il momento. Non appena gli studi psicologici e psichiatrici verranno intasati da gente fuori di sé, sicuramente proveranno ad arginare il problema, e, forse, giungeranno alla mia stessa conclusione. Seduto qui sulla panchina, sporco, stropicciato, puzzolente a fissare l'orologio rotto della stazione ferroviaria che segna le 15:18.

 

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1 recensioni:

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  • stella luce il 17/09/2013 07:38
    Molto bello... descrizione di un mondo privo di sensibilità ed intento solo a "ballate" ma la musica si dovrà fermare ed allora??? Forse si inizierà a guardarci negli occhi... vado di fretta prometto di leggere anche gli altri... io però le petsone le guardo ed amo sorridergli... buona giornata

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