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Chi lo dice che non possiamo vagare scalzi?

Chi lo dice che non possiamo vagare scalzi?
Che non possiamo tornare alle origini?
Che non possiamo abbandonare tutta questa tecnologia e semplicemente assaporare i nostri giorni?
Passeggiare ascoltando i suoni della vita, i silenzi della natura.
Inebriarci dei colori che ci circondano sorridendo alla luce tiepida del mattino.
Scrivere anzi che messaggiare.
Forse è per l'assidua sensazione di vuoto, che non riusciamo ad abbandonarla. Come se un telefono o un computer ci salvassero dalla fatidica resa dei conti. La solitudine. Non siamo più abituati a vivere noi stessi, la nostra interiorità, ma forse non lo siamo mai stati. Solo pochi eletti sono stati in grado di fermarsi, nella frenesia di un mondo che voleva solo esser guardato. Ammirato.
Un fiume non è altro che un fiume se ci passiamo accanto per andare a prendere l'autobus. Un albero, una montagna, una farfalla non sono altro che "cose" se non ci soffermiamo ad osservarle. Ma se ci guardassimo veramente intorno, anche solo per un attimo, non andremmo a prendere quell'autobus, ci domanderemmo invece cos'è tutta questa smania che le persone sembrano inseguire nelle loro giornate. Ci fermeremmo, e sedendoci su di una panchina, un gradino, un muretto, ci dimenticheremmo di tutto quel dolore, quella lenta agonia, quell'irrequietezza che la società sembra talvolta trasmetterci. Saremmo travolti dalle luci, dai colori, dal calore di quest'atmosfera che ci farebbe sentire protetti, confortati, quieti e riempirebbe quel vuoto che in tanti modi avevamo cercato di appagare. Restituendoci vitalità, forza, fiducia, ci ricorderebbe che siamo parte di tutto ciò, e in tutto questo non esiste un arrendersi, un patire. Sembra solo esistere un desiderio, quello di farne parte, lasciarsi andare e viversi.

 

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