A Goa, regione ex colonia portoghese, mi pare sia sul tropico del cancro, dell'India, ho soggiornato, ormai più di quaranta anni fa e per pochi mesi, senza nemmeno le tasche per contenere una sola rupia. Ma un ragazzo italiano, lì per schivare il servizio militare e poi tornato in Italia per seri problemi famigliari, mi lasciò la casa che aveva affittato per alcuni mesi. Era una villa di fattura portoghese, grande e col giardino contornato da un muretto bianco e basso, che non nascondeva l'oceano che gli stava davanti. Io la aprii a tutti gli scoppiati di Anjuna che poterono dormirci la notte. Occasionalmente recuperavo, insieme ad alcuni di loro, gente in coma sulla spiaggia, e la sdraiavo nella casa sperando che non morisse. In quegli anni, ad Anjuna (nome della spiaggia lì fuori) la corrente elettrica era un mito che in molti ancora non avevano visto e il tempo si muoveva come se avesse deciso che non l'avrebbero conosciuto mai. Tra gli scoppiati che ospitavo ce n'era uno, di nome Roberto, morfinomane. A quel tempo in India l'eroina non c'era ed era la morfina la droga ricercata da un certo numero di europei che stavano lì perché era venduta in farmacia a un dollaro al grammo. Roberto aveva dei princìpi, cosa singolare per un morfinomane. Se gli chiedevano la "rebonza", come la chiamava lui, e gliela chiedevano perché altrimenti stavano inscimmiati nella più crudele delle sofferenze, lui gliela regalava. Dopo due settimane Roberto urlava, di giorno e di notte, negli spasmi che si era guadagnato con la sua generosità. Ad Anjuna non era possibile comprarsi in farmacia la morfina, occorreva farlo a Benares o a New Delhi, troppo lontane da lì per chi di soldi non ne aveva.
L'ho incontrato due anni dopo, nel quartiere di Brera, a Milano, tanto stravolto da non riconoscermi, ma il ricordo che ho di Roberto non è quello che mi ha lasciato quell'ultima volta.