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Il bastardo di Younge Street

IL BASTARDO DI YONGE STREET



Una pioggerella fredda e sgarbata ha scacciato anche i più incalliti nottambuli e l'asfalto luccica come ossidiana mentre l'uomo risale lentamente Yonge Street.
A quell'ora della notte Toronto mostra la sua immagine peggiore. Le vetrine buie e le insegne spente danno alla via un'aria trasandata e squallida che ricorda quella di un night-club la mattina dopo.
Agli incroci mucchi di bidoni attendono di essere svuotati e così pure i cestini appesi ai pali della luce, mentre dal fondo della strada giunge a tratti il sibilante rumore dei mezzi di pulizia. Intermittenti lampeggii frustano di giallo la pioggia e i muri delle case.

Passano rapide due coppiette, uscite forse dallo stesso teatro che l'uomo ha appena lasciato. Ha un brivido e si stringe ancor di più nell'impermeabile. È novembre e l'aria è fredda però il vero gelo che avverte non è all'esterno ma dentro di lui. Proprio il giorno prima aveva litigato con Maria che se n'era andata sbattendo la porta, urtata dalla sua noiosa pignoleria. Perciò aveva deciso per il concerto: non gli andava di restare da solo e aveva creduto che la musica di Gershwin e la folla sarebbero stati una buona medicina.
Si sbagliava.
Come la porta a molla si chiude alle sue spalle, il buio e la puzza dell'asfalto fradicio ingoiano la magia delle opulenti note di Porgy and Bess e di Un Americano a Parigi, lasciandolo più vuoto che mai.

All'angolo con Commerce Road sta accucciato un etilico che allunga una mano sporca. L'uomo fa finta di niente e tira dritto, poi ci ripensa, torna sui suoi passi, gli porge un pezzo da dieci dollari. Sgrana gli occhi e biascica qualcosa, il barbone, attraverso una chiostra di denti marci.
- Ho fatto bene - pensa - forse con quel denaro gli ho reso migliore la notte: di certo non ho peggiorato la mia -
Pensa all'Italia, mentre imbocca un vicolo, pensa a Maria Lourdes, al suo viso, al calore dei grandi occhi liquidi e alla massa di capelli neri in cui è bello affondare le dita.

Oltrepassato un incrocio, avverte a un tratto un guaire sommesso, una voce strozzata, il suono molliccio e osceno di tonfi che si succedono rapidi.
Deve essere poco più avanti, riflette, forse oltre l'angolo. Senza che lui se ne renda conto, vecchie lezioni di tattica e di tecnica di avvicinamento affiorano alla mente, richiamate da inconsci meccanismi, stimolate forse dalle ombre che lo circondano.
Il ricordo di rapide azioni nel buio, lo scorrere lento dei secondi mentre la squadra si muove come un solo uomo in un silenzio rotto solo dal ritmato tonfo del cuore, invisibile nelle BDU, i volti nascosti dalla pittura camo, le mani protette dai Vega Holster in pelle e spandex, silenziosa grazie alle suole vibram degli anfibi.

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