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IL caso delle Tre Farfalle

Non vi era molto di cui discorrere nella Piazza di Cerro Veronese in quel malinconico pomeriggio estivo del 7 Luglio 2014. Da queste parti la popolazione è un crogiolo indefinito di residenti, gente che proviene da montagne ancora più lontane in cerca di un po' di città, e cittadini che espiano i loro peccati urbani e metropolitani saccheggiando la Lessinia delle sue emozioni e dei suoi profumi.
Chi sicuramente fatica a fare della propria vita un'opera d'arte, come imporrebbe l assioma D'annunziano, è chi in queste terre è cresciuto senza avere mai la concreta possibilità di migrare, di seguire la propria strada, di uscire da quel caldo, sicuro, ma vertiginosamente stretto sentiero che la sua famiglia aveva generazione dopo generazione scavato negli altipiani dell'incertezza per garantirgli un avvenire sereno. Sarebbe troppo facile dipingere su una tela grinzosa con tempere spente e colori freddi le figure del panettiere del paese, piuttosto che del gelataio o dello staff di ragazze assuefatte dalla nicotina che si avvicendavo vorticosamente al Bucaneve, quartier generale del villaggio che insieme alla Pizzeria Araldo permetteva alla cittadina di Cerro di essere spesso inserita negli itinerari dei gastronauti; tutte queste figure si possono fotografare con una vecchia Polaroid, se ne possono far sviluppare le sagome, e si può accatastarle tra tutte quelle inutili e soprattutto inutilizzate cianfrusaglie con cui soffochiamo le nostre soffitte, sperando di soffocare così anche la nostra sete di ricordi e l'inquietante consapevolezza che il passato non tornerà mai più. Per descrivere il personaggio che animerà il nostro racconto e ci distoglierà momentaneamente dagli affanni quotidiani occorrono ben altri strumenti, occorre quella tempera che avevate accantonato perché si era sporcata con dell'altro colore, occorre quella penna che scrive divinamente ma che a tratti pare abbia finito l'inchiostro, occorre quella macchina fotografica di ultimissima generazione che però non sapete ancora come utilizzare, che solo se le donerete dedizione e zelo ricambierà con la moneta dell'efficienza e dello stupore.
Andrea Salici, 35 anni, poliziotto dall'età di 22 ma qualcuno sostiene che non sia mai stato nient' altro nella sua vita, fisico statuario e occhi chiari, una storia di vita alle spalle a cui sarebbe ingiusto accennare sapendo che per narrarne anche solo un aneddoto occorrerebbe un'intera giornata del Decameron Boccacciano. Fidanzato, senz' altro, da 7/8 anni, ma non con la stessa ragazza, sostenitore praticante della tesi che il matrimonio sia un cliché, una forma di omologazione e la formale concretizzazione dell'insicurezza reciproca caratterizzante le coppie odierne, detesta la vita di ufficio e, come tutti i professionisti dei piccoli paesi, accentra su di sé anche i ruoli di confessore degli animi tormentati ed imprescindibile aiutante per le anziane signore che anno dopo anno sfidano in un'eroica gara di longevità il cerro secolare che domina la piazza principale e dà il nome al paese. Amava la scrittura e vi viveva a contatto ogni giorno, dai verbali di polizia ai piccoli racconti per hobby, dalle poesie spiritose e sconce per fidanzate ed amici, alle mail ai superiori ma, come il commesso del negozio d'abbigliamento che non riusciva a confessare il suo amore per i manichini, così Andrea non riusciva a vivere mai appieno questa passione, e tutto ciò gli dava una sensazione di irrequietezza che ne minava serenità ed operatività.

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