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Centotrentotto

Ora c'era questo autista che andava per lungo e largo in quello schifo di traffico della sua città.
Alzò la mano al buio e toccò la sveglia.
Trovò subito il tasto e il suono tremendo che gli entrava nella testa smise all'istante.
Poi si riaddormentò ancora e pochi secondi prima che l'orologio segnasse le 05:15 si alzò e disattivò la sveglia.
Uscì in balcone. Da dietro il secondo palazzo, messo di traverso tra il suo e gli altri del cortile, si riusciva a vedere il vialone illuminato.
Nell'aria già calda e puzzolente del mattino estivo ballavano ancora le luci dei lampioni.
Rientrò mentre il camion svuotava i cassonetti con il loro fragore incurante dell'alba.
Indossò la divisa col solito umore.
Voglio dire, non che il suo umore avesse qualche qualità. Di solito non aveva umore prima di iniziare a lavorare. Nulla. Zero sentimenti. Solo balle che si raccontava per non avere troppe complicazioni con se stesso e con gli altri.
Si annodò la cravatta. Si lasciò la porta alle spalle e quel rifugio dove tornare era l'unico calore della giornata.
Scese a piedi. Quei due del piano di sotto già avevano attaccato a litigare eccetera eccetera.
Il lunedì era una brutta bestia.
Alla fine della domenica non vedeva l'ora che arrivasse, all'inizio del lunedì non vedeva l'ora che finisse.
Il deposito era a pochi minuti.
Salì sulla vettura. Aveva gli ammortizzatori andati anche se aveva solo due anni, ma inutile chiedere assistenza. Era un miracolo che potesse ancora fare su e giù.
Arrivò al capolinea alle cinque e cinquantasei, attese le sei fumando una sigaretta sul marciapiede, poi chiuse le porte e partì coi primi passeggeri. Ormai non li osservava più. Li conosceva a memoria, quasi sempre gli stessi: quello con la valigia, le due ragazze slave, il pensionato che legge, quel testimone di Geova con la Bibbia, due operai che ancora non avevano licenziato. Si, più o meno erano tutti.
Partì e cominciò a fare su e giù, prima senza traffico, poi man mano sempre più a rilento. Alle otto era pieno come un uovo, alle nove era imbottigliato prima del ponte. Alle dieci riprendeva a scorrere, alle 13, 57 era al deposito.
Questo autista aveva turni assurdi.
Capitava che lavorasse quattro giorni all'alba sempre alla stessa linea e il quinto attaccava la notturna e neanche riusciva a dormire.
Fare l'autista di autobus non era quello che aveva sempre sognato, ma il massimo che aveva potuto ottenere.
I primi tempi si portava i libri in vettura e studiava quella merda nei momenti di pausa.
Ora l'autista aveva mollato e non gliene fregava neanche niente.
Voleva solo tornare a casa e ficcare quella testa maledetta sotto il cuscino per cinque ore di seguito.

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