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Una morte di carta

Mi ritrovo sola in questa stanza bianca, immacolata come una sala operatoria. Ma anche se sono sola riesco a vedere il tuo volto. Hai una smorfia severa.
Sembri talmente "vivo" e "presente" che inizio a parlarti. Voglio spiegarti la mia "verità". Anche perché, benché tu debba, per nostre ovvie ragioni, conoscerla già, so già che non è così.

Lo so, mi ero ripromessa che non avrei più pianto, ma come puoi vedere in questo momento io sto piangendo. Non posso farne a meno. Mi sento vetro. Vetro calpestato.

"Diamante! Ricordati che sei speciale. Un diamante!"

Mi dici, mi dico.
Ma chi vogliamo prendere in giro? Guardami! Ho il trucco sfatto. Non ho più una faccia.
Sono come la "Marchesa De Merteuil" de "Le relazioni pericolose" di Laclos. "Il mio dentro è uguale al mio fuori". Mi faccio un po' schifo.

Mi sento anche un po' una Carmen Consoli qualsiasi in pieno "Stato di necessità"... " Reggo con fatica le orrende e infondate accuse di ieri. Non volermi male..."(ma questa è un'altra canzone!).
Mi hanno riaperto la cicatrice, quella che mi fa più male. E non so se reggerò.

Mi vedi vacillare nuda e percossa da mille e più brividi davanti a te.


"Oh dolore! Mio unico padrone e signore mi prostro d'innanzi a te! Sono tornata..."

Volevo essere più forte, completamente immune al tuo potere. E invece mi riscopro sempre ancora troppo umana.

Mi chiedi, e mi chiedo: "Perché la metti giù così tragica?!"
Perché sono un personaggio di carta. La mia memoria è una memoria di carta. E ogni volta che la vita vera si insinua nel mio "pellicola protettive" di parole, che mi sono costruita da sola, mi brucio.

Tu hai ragione. Non è lei ad aver sbagliato. Sono io ad essere sbagliata. Sono diventata così trasparente che ora chiunque può infrangermi.
Siamo come "cane e gatto" io e quest'altra persona. Io metto la coda in mezzo alle gambe convinta di comunicarle una cosa, quando invece le comunico l'esatto contrario di quello che le volevo far arrivare. E così, viceversa, lei con me.

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