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Altezze per spiriti liberi

Strade vuote, lasciate libere ai passanti.
Un paesino di provincia con porte socchiuse, ottime per osservare ed ascoltare oltre la soglia dei pensieri. Silenzi tipici dell'ora della siesta pomeridiana.
Il sole, ancora alto, che tiranneggia il contadino piegato sulla schiena, dedito al suo impegno quotidiano. Il passero in agguato che spia l'ultima zolla sollevata dalla vanga.
Gocce di sudore che solcano il viso duro e bruciato dal calore della stagione. Viso che aspetta la sera, la sera fresca e dolce, per sognare.
Sognare di quella volta quando, appoggiato al muretto, all'angolo della piazzetta, solo come un cane senza padrone, arrivò all'improvviso quella folata di vento e con essa, lei.
Lei, con l'incedere incerto e leggero, con le vesti morbide che aleggiavano armoniosamente nell'ultimo zefiro fresco della sera e quella ciocca ribelle che le copriva mezzo viso.
Era  la speranza e l'attesa del desiderio.
La speranza lo alimentava come il pane dopo un giorno di fatica, l'attesa lo illudeva come la dolce promessa di un giovane marinaio, la reale possibilità di riuscire un giorno a sfiorarle la mano.
Intanto sognava e appuntava parole.
Tante parole buone sparse in  fogli impilati con cura.
Parole supportate da immagini violente.
Fame, lavoro e guerra, uso del potere sull'altro e contro l'altro.
Uomini che parlano ad altri uomini.
Uomini che uccidono, che curano, che soffrono, che piangono, che ridono, che muoiono.
Vecchi lasciati a dormire.
Donne occupate ad accudire bambini che nascono, che crescono anche,
bambini che ridono e giocano e vanno incontro alla vita.

In una terra abbandonata dal sole,   luci artificiali scandiscono il passare del tempo in una notte senza luna.
Luna che non potrà più portare sogni, quei sogni ormai delusi dal tempo.
Non può più perchè l'uomo ha ora raggiunto il suo sogno.
La visione di un baratro lo attrae, come il fiore l'ape.
Dietro l'angolo l'imprevedibilità delle stagioni, l'ansia, la preoccupazione e i mille pericoli sempre in agguato.

Trascorriamo le ore come vecchi automi. Con ancora gli ingranaggi efficientemente oliati, snoccioliamo la routine quotidiana.
Contiamo il tempo che ci resta e ciò ci rattrista.
Consumarsi in questo modo è penoso e puerile.
Cerchiamo la luce che non vediamo, l'immagine che non percepiamo, il suono che non udiamo, quella voce che urla e che non ascoltiamo, il sentiero perso da tempo e che non ritroveremo mai più.
Smarriti tra la folla senza più occhi né cuore cerchiamo ma non troviamo, solo vaghiamo, come spettri attratti dalla luce della notte.
E intanto, con sguardo neutro, da altezze pianeggianti
contempliamo la natura, magnifica e incomparabile nella sua bellezza, dimentichi di ciò che potremmo essere...

 

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1 commenti     1 recensioni    

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1 recensioni:

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  • frivolous b. il 23/10/2014 13:40
    ... particolare. Un stile asciutto ma incesivo, fatto di piccoli e preziosi periodi, che lo rendono di un lirismo delizioso... complimenti assai!

1 commenti:

  • Fernando Piazza il 23/10/2014 19:02
    Grazie Francesco per il tuo apprezzamento... Interessante e singolare la tua analisi...

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