username: password: dati dimenticati?   |   crea nuovo account

Dalila- seconda parte

Passarono i mesi. La casa di campagna, che distava circa tre km dalla città, veniva abbandonata d'inverno e i due coniugi si trasferivano nell 'appartamento che possedevano nel capoluogo di provincia, dove entrambi erano nati. Una bella casa calda e confortevole. Era comodo, per Giovanna, vivere a due passi da un grosso supermarket e dal cimitero, dove ogni settimana poteva portare i fiori freschi nella tomba dei suoi cari. Fu proprio in una di quelle mattine che lei fece un incontro particolare. Nel piazzale antistante il cimitero, una torma di cani randagi sostava in attesa che qualche anima pietosa portasse loro del cibo. Molte donne, infatti, lasciavano, su delle luride scatole, pane secco e alimenti avanzati in cucina, cibo che, appena depositato, spariva in un secondo. Fu proprio la mattina del lunedì che Giovanna vide Dalila, magra e sporca, tra i cani randagi. Le corse incontro chiamandola ripetutamente, ma Dalila la guardò' con freddezza, la riconobbe e, voltandole le spalle, si allontanò dal branco. Antonio, venuto a conoscenza del fatto, non proferì parola, ma gli si aprì, di nuovo, una ferita mai guarita.
"Antonio, era lei, era Dalila. Avresti dovuto vedere il suo sguardo freddo e minaccioso, era magrissima e sporca, dobbiamo riprenderla! portiamole del cibo e vediamo come reagisce. "Alcuni giorni dopo, uscirono da casa con un sacchetto in mano, erano filetti di carne di cui la cagnetta era ghiotta. Camminarono rasente il muro di cinta del cimitero, per non disturbare i cani, temendo che la povera bestia fuggisse. Antonio precedeva Giovanna di qualche metro, nervoso e pallido in preda alla paura, convinto che tutto sarebbe stato inutile e rivolto alla moglie disse: "Vedrai che sarà tutto inutile!". Lei non rispose, decisa, come sempre, ad andare fino in fondo. I cani erano lì , in un angolo del piazzale cimiteriale. "Saranno pericolosi tutti insieme" pensò Giovanna. Qualcuno le aveva detto che i cani, se non li si stuzzica, non sono aggressivi, è il branco e la fame che li rende pericolosi. Dalila è tra loro. I due la chiamano dolcemente mostrando la ciotola con il cibo, il suo preferito. Lei li osserva ma non si avvicina. Antonio cerca di avvicinarsi ma alcuni cani iniziano a ringhiare, lui si blocca e tenta un'ultima strategia; abbandona il cibo per terra e, insieme alla moglie, fa finta di allontanarsi. I cani si buttano sulla ciotola come mosche al miele, divorando tutto in un secondo. Dalila non si avvicina e, appena sente la voce di Antonio che la chiama dolcemente, si allontana veloce, scomparendo tra i viottoli di quel rione. " Il grande rifiuto!" I due, ormai sconfitti e non sapendo cosa fare, decidono di rientrare, con tristezza, nella loro casa. Per la cagnetta Dalila, Antonio e Giovanna, non esistono più...

 

2
2 commenti     2 recensioni    

un altro testo di questo autore   un'altro testo casuale

2 recensioni:

  • Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
    Effettua il login o registrati
  • Don Pompeo Mongiello il 12/08/2015 16:02
    Qui sembra che si giochi al gatto e al topo, fra chi di racconti non san ben niente. Complimenti per questo tuo!
  • Stanislao Mounlisky il 29/07/2015 10:03
    Carissimo/a,
    sono in partenza per le ferie, brevi ma agognate.
    Poiché per ragioni imperscrutabili continuano a non pubblicarmi (la 6° parte di Kim e Borg l'ho postata quattro volte e ormai stiamo rasentando le due settimane), ho pensato di inserire il seguito del racconto nello spazio "recensioni" dei miei fedeli lettori, sperando di fare cosa gradita. Mi scuso per questa modalità impropria ma, si sa, necessità aguzza l'ingegno: d'altra parte tale spazio è "terra di nessuno", nel senso che viene utilizzato più per il punteggio che dà che per ospitare recensioni vere e proprie.
    Se vorrete commentare questa mia iniziativa e/o il racconto, vi prego di farlo nello spazio "commenti" della 5° parte.
    Un grazie a tutti. Buona estate! Stan


    KIM E BORG
    6° parte
    Tornato a casa con la barba lunga e l'umore nero Raf si fece abbracciare dalla madre perché era impossibile evitarlo, grugnì un saluto generalizzato, alzò un sopracciglio alla vista di Kim e, senza proferire verbo, si infilò nella doccia. Ci sono uomini che cambiano completamente a seconda che si trovino in giro per il mondo o in ambiente domestico e Kim, che quel giorno non era andata al mare per motivi femminili, stentò a riconoscerlo come il ragazzo che l'aveva colpita positivamente a Vienna.
    Si era ritemprata, in quei giorni, e aveva avuto modo di conoscere e apprezzare l'allegra spensieratezza di Borg con cui, per via delle piccole avventure e disavventure marine e cittadine, era nata una sorta di complicità. Raf era stato la bella idea romantica del gigante intrepido e indipendente, un'idea non corrispondente alla realtà; Kim, che tra le sue doti aveva la lucidità, se ne rese conto quando lo vide delegare la madre a svuotargli il bagaglio pieno di panni sporchi da mettere in lavatrice: decise che non era il caso di farsi in quattro per preparare la Paulova.
    Incominciò invece a farsi largo nella sua mente un progetto: voleva prolungare il suo soggiorno a Roma ma non poteva abusare dell'ospitalità di quella famiglia. Doveva cercare un lavoro e, al più presto possibile, trovare un'abitazione, magari una camera in subaffitto.
    Si confidò con Borg e trovò in lui l'amico di cui aveva bisogno: insieme si misero a leggere e a cerchiare le offerte di lavoro sui quotidiani e su un giornale bisettimanale di annunci gratuiti: baby sitter, cameriera o shampista poco importava, l'importante era uscire dall'inerzia. Fu proprio Borg, che finalmente si era rasserenato di fronte al cuore libero di lei, a trovare qualcosa di decisamente interessante. Una scuola, per giunta del quartiere, cercava un'insegnante di inglese per delle ripetizioni estive.
    Presentarsi ed essere assunta fu questione di poche ore: i suoi titoli non valevano, naturalmente, in Italia, ma la scuola era privata e il fatto di essere di madrelingua inglese era un fantastico passe-partout.
    Incominciò a lavorare, con soddisfazione sua e degli studenti, e naturalmente del gestore che, in breve tempo, le propose un'assunzione come docente di classe per l'intero anno scolastico a partire da settembre. Kim prese del tempo per decidere: rimanere in Italia così a lungo era un'eventualità a cui non aveva pensato, anche se vi si trovava molto bene.
    Appena intrapresa la sua nuova e per lei entusiasmante attività, aveva reso note coram populo le sue intenzioni di andare a vivere per conto proprio, ma la famiglia italiana che il destino le aveva messo sulla strada si era quasi offesa ed era stata, all'unanimità, irremovibile: "Ti trovi male, qui? Un piatto di pasta in più non ha mai rovinato nessuno, non ci dai nessun disturbo, anzi! Aspetta almeno di mettere da parte qualche soldo!". Avevano concordato che il trasferimento sarebbe avvenuto a settembre e dopo la firma del contratto che, di giorno in giorno, lei si convinceva sempre più essere un'ottima opportunità. L'unica che vedeva Kim come il fumo negli occhi era Patrizia, la mia fidanzata, che con lei era entrata in competizione tipicamente femminile, cioè immotivata, ma non viveva in famiglia e quindi non aveva voce in capitolo.
    I giorni di quell'estate rotolarono rapidi, con il calore afoso delle lunghe giornate ulteriormente arroventate dal forno in cui mamma Franca, inesorabile, preparava quantitativi industriali di parmigiana di melanzane "per avvantaggiarsi", come diceva, senza che nessuno capisse cosa intendeva dire; rotolarono veloci con la dolcezza dei krapfen alla marmellata che Borg, finito il turno ai Cancelli, passava a prendere a Ostia a piazza Anco Marzio tutte le volte che poteva perchè Kim ne andava pazza; rotolarono spumeggianti come le birre che babbo Mariano comprava a cassette al discount tornando dall'ufficio e che si sorseggiavano mentre si giocava a "scala quaranta" e "Macchiavelli" in terrazza fino a notte tarda, aspettando il momento in cui la stanchezza superava il timore di buttarsi boccheggianti sui letti bollenti; rotolarono splendenti come il brillante della fedina che mi costò tre mesi di stipendio e che regalai a Patrizia il giorno del nostro terzo anniversario, quando, incautamente e ineluttabilmente, le chiesi di sposarmi.
    E infine giunse settembre, e con esso ricominciò la consegna regolare della posta: la cassetta si riempì all'inverosimile di bollette e comunicazioni bancarie. In mezzo si distingueva una lettera, sorprendente e inattesa, indirizzata a Borg.

    7° parte
    Mamma Franca, abituata a figli con vite misteriose di cui veniva a conoscere qualche particolare solo talvolta e per caso, dovette ricorrere a tutto il suo self control per reprimere il desiderio di usare il vecchio metodo delle portinaie, il vapore di una pentola d'acqua in ebollizione scioglie le colla e non lascia tracce, e scoprire in anticipo il contenuto della lettera.
    Quando rientrò, nel tardo pomeriggio, Borg era bagnato fradicio per il violento e improvviso acquazzone che si era riversato sulla città. Non prestò grande attenzione alla busta che gli veniva sventolata davanti alla faccia e si infilò nella doccia. Ne uscì pulito, profumato e pettinato dopo un tempo che sembrò infinito: era fatto così, appena gliene si presentava l'occasione, gli piaceva creare suspense. Infine si sedette sul divano, aprì il plico e lesse.
    "Signori, avete di fronte a voi un genio: mi assumono alla Banca d'Italia!", proclamò con una grande risata.
    Era successo che, un paio di anni prima, aveva partecipato a un concorso, essenzialmente per fare compagnia a un amico. Aveva passato lo scritto, l'amico no, e aveva anche sostenuto l'orale, ma poi non ci aveva più pensato.
    Ora doveva solo espletare alcune formalità, tra cui la visita medica, e poi, via con un lavoro stabile e sicuro!
    Mai e poi mai mio fratello avrebbe voluto un impiego da bancario e quello infatti non lo era, almeno per quello che normalmente alla gente verrebbe da pensare. Quella non era una banca qualunque, era "la Banca", e la mansione, per cui era richiesto solo il diploma delle Medie, era da operaio nello Stabilimento per la produzione delle banconote, l'importante complesso industriale che si trova sulla via Tuscolana, mansione per la quale nel solo primo anno, avrebbe maneggiato tanti di quei miliardi che non basterebbero tre vite per contarli. E non importa se, in realtà, tutti questi soldi, impacchettati in mazzette da cento, dieci delle quali facevano una balletta che, a dieci per volta facevano un ballettone, li avrebbe visti fugacemente: il solo fatto di spostare queste preziose scatole col muletto nella sagrestia e, al momento opportuno, di caricarle sui camion per la distribuzione in tutta Italia gli avrebbe fatto avere una busta paga iniziale che sarebbe stato un sogno per un professore con venti anni di carriera, senza considerare benefit quali la polizza sanitaria al cento per cento a carico della banca, la possibilità di avere prestiti a tassi vantaggiosissimi e anche mutui agevolati per l'acquisto di una casa nel caso in cui decidesse di diventare proprietario invece di rimanere in affitto in uno dei tanti, deliziosi e rifiniti appartamenti di proprietà della banca e riservati ai dipendenti.
    Eravamo tutti al settimo cielo ma babbo Mariano era addirittura commosso: il suo figlio squinternato non gli avrebbe più dato motivo di preoccupazione. Avremmo voluto festeggiare con qualche pala di pizza e gelato a volontà, ma Borg fu irremovibile: "Festeggeremo quando firmerò il contratto. Stasera esco, ceno fuori con degli amici. Kim, vuoi venire anche tu?"
    Non era vero, non c'era nessun appuntamento con nessun amico. Semplicemente, aveva deciso che era venuto il momento di rischiare il tutto per tutto. Quella era la sera per dichiarare i suoi sentimenti e le sue serissime intenzioni alla ragazza che Dio (chi altri, se no?) aveva mandato, dagli antipodi, a suonare alla porta di casa perché diventasse la sua compagna per l'intera vita.
    La serata andò come doveva andare. Unico neo fu la frase di Kim: "Meno male che ti sei deciso, incominciavo a pensare che tu avessi dei problemi..."
    (segue)

2 commenti:

  • Anonimo il 28/07/2015 11:39
    Beh, Stan ha ragione, ma a me piacciono i finali lieti, strappalacrime, e vedrei bene anche un finale di riconciliazione.
    Nella realtà credo che non accada... la mia Diana, un breton che avevo portato via, si fa per dire, a dei cacciatori che la volevano eliminare per la sua paura degli spari( c'è un racconto di Colosio... Diana incontra Amore, mi pare), quando tornavo all'Elba e incontrava carlo, l'ex padrone, voltava la testa dall'altra parte. Lui la chiamava, ma lei rifiutava, come fanno certi umani, voltando la testa altezzosamente... brava antonina, le storie dei cani mi piacciono ( credo siano una decina que3lle che ho inserito nel mio libro)... kalimera a te, antonina, e un saluto a Stan, che chiamerei Stak perché uno degli Stakanovisti del sito...
  • Stanislao Mounlisky il 28/07/2015 05:53
    Noooo! Non avevo capito che il racconto non era finito! Piccola Dalila, non ti fidare! Antonio vuole solo ripulirsi la coscienza...
    Ti prego, Dalila, non perdonare! Gli animali sono migliori degli uomini, questo lo sappiamo, non c'è bisogno che ce lo dimostri.
    Dimostra invece di avere la dignità che, tutti sappiamo, gli animali hanno... Se proprio non puoi fare a meno della vicinanza umana, trovati altri padroni...
    Ciao, Anto, mi raccomando...

Licenza Creative Commons
Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0