username: password: dati dimenticati?   |   crea nuovo account

Scherzi dell'abitudine, limiti della memoria, e quotidiana assenza

Ci sono due giovani pesci che nuotano e a un certo punto incontrano un pesce anziano che va nella direzione opposta, fa un cenno di saluto e dice: "Salve, ragazzi. Com'è l'acqua?". I due giovani pesci nuotano un altro po', poi uno guarda l'altro e fa : "Che cavolo è l'acqua?".
Ho preso questa storiella dal discorso tenuto da D. F. Wallace ai giovani laureati in discipline umanistiche del Kenyon College nel 2005.
Il succo è semplicemente che le realtà più ovvie, onnipresenti e importanti sono spesso le più difficili da capire, da condividere, da discutere ( parole di Wallace). Ma soprattutto, aggiungerei, da apprezzare o disprezzare a seconda dei casi, delle persone, e dei momenti.
A questo proposito ho provato a sostituire ad acqua la parola pace. Come assenza di guerra, intendo.
Se per chi, come me nato subito dopo il secondo conflitto mondiale può ancora avere, oltre un significato, un carico di emozioni. Un valore che aumenta più la parola viene contrapposta al suo contrario "guerra", se non altro per aver visto gli effetti di quest'ultima o averne percepito l'eco nei crudi, talvolta drammatici, racconti familiari, per i ragazzi d'oggi - almeno quelli del nostro Paese, se si escludono i pochi impegnati in azioni di guerra all'estero - la pace deve sembrare un fatto talmente acquisito da essere scontato. Tanto vi sono immersi fin dalla nascita, come i due giovani pesci lo sono nell'acqua.
Cosa in parte vera anche per molti di noi ex contestatori, figli dei fiori, pacifisti - che nei "favolosi '60" facevamo sit-in e lunghe marce contro la guerra - quando c'è stata la crisi di Cuba, per esempio. Ricordo che allora, vuoi per l'incoscienza dell'età, vuoi che un futuro generoso ci faceva vedere il bicchiere sempre colmo (per non dire traboccante), vuoi forse perché ci stavamo ormai abituando all'"acqua", nel nostro profondo sentivamo che la guerra non sarebbe scoppiata. In cuor nostro sentivamo che, all'ultimo momento, qualcuno avrebbe levato il dito dal bottone.
Non c'è stato un attimo, fino alla fine degli anni settanta, in cui io abbia avuto paura, che abbia pensato per un solo istante, che questo Paese avrebbe potuto essere coinvolto in una guerra ( a prescindere da ciò che diceva la costituzione). E nemmeno che sarebbe mai scoppiato una terzo conflitto mondiale.

Ritornando ai giovani e meno giovani di oggi, per loro, che hanno goduto e stanno godendo senza rendersene bene conto dei vantaggi di oltre mezzo secolo di pace, questa deve sembrare una condizione naturale, permanente, e imprescindibile (come la libertà, del resto). A tal punto da non riuscire a immaginare, a sentire soprattutto, ripeto sen-ti-re, come sarebbe la vita se la pace venisse improvvisamente a mancare. E perciò apprezzarne appieno tutta l'importanza e il valore. Per loro la parola diventa, al massimo, argomento di discussioni accademiche. Spesso pronunciata con la stessa innocente e spensierata leggerezza con cui si indossa, trasversalmente, l'immagine del Ché. O diventa contrapposizione di maniera a commento di guerre lontane. Che perdono significato e gran parte della loro drammaticità nel momento stesso in cui diventano appuntamenti mediatici quotidiani, e vengono virtualizzate dal mezzo televisivo. Questo spiega perché oggi i tamburi di guerra hanno probabilmente effetti diversi su di loro, rispetto a quelli che producono su di noi, che invece sentiamo risvegliarsi dentro antichi fantasmi. Penso che se sottoponessimo ad un poligrafo soggetti di generazioni distanti fra loro, di fronte alla parola pace o alla parola guerra, l'ago avrebbe comportamenti diversi. Con impennate via via decrescenti col diminuire dell'età. Senza con questo nulla togliere alla sensibilità individuale, cosa di cui i giovani non sono certo meno dotati di noi. Forse, se posso muover loro un appunto, è che gli manca un po' di quel potente carburante che fa muovere le cose, misto di rabbia, fame, imprudenza, e generosità. In parte colpa nostra. Per averli circondati di molti oggetti e poche, fondamentali attenzioni.

123

2
3 commenti     0 recensioni    

un altro testo di questo autore   un'altro testo casuale

0 recensioni:

  • Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
    Effettua il login o registrati

3 commenti:

  • Anonimo il 28/12/2015 13:41
    Tanti sono i sentimenti che mi ha suscitato questo tuo scritto! Fai un'analisi personale, consapevole, nitida, sulla situazione politica e umana che ormai ci coinvolge senza confini. Anche io non sono nata durante l'ultima guerra ma l'ho "vissuta" attraverso i racconti dei miei genitori e dei miei nonni. Porto con me storie personali dolorosissime ed anche corali( ancora non riesco a vedere per intero il film "la ciociara"... ) e con esse a mia volta ho cercato di sensibilizzare la mia unica figlia che per fortuna vedo attenta, riflessiva, che insomma almeno non va sempre di fretta su tutto e tutti come la maggior parte di questa nostra gioventù. Mala tempora... ed io mi sento sperduta, molto preoccupata, disorientata in mezzo a troppa superficialità e all'intuizione di giochi immensi di poteri e sopraffazioni.
    Sai già quanto mi piaccia leggerti e qui mi ritrovo in sintonia totale con te. Grazie per le intense riflessioni!
    Chiara
  • Stanislao Mounlisky il 27/11/2015 10:03
    Il commento anonimo è di Stanislao.
  • Anonimo il 27/11/2015 10:00
    Un testo interessante, spiccatamente argomentativo, che non si segue facilissimamente a causa della lunghezza dei periodi (soprattutto nella prima parte). Un testo lucidamente dettato dalla disillusione e dall'amarezza.

Licenza Creative Commons
Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0