-Quando sono arrivata qui, non era come ora- diceva a tutti "La Pazza" , una vecchia, curva, di cui tutti, persino lei, ne ignoravano l'età e che viveva da sola.
Aveva il corpo ricoperto da strane ferite e graffi profondi ormai cicatrizzati, che avevano contribuito a darle quel soprannome.
Era rimasta vedova da tanti anni, ma aveva avuto una bambina, che giocava quel giorno, vicino all'edificio appena costruito dove erano arrivati tanti nuovi amici.
E non era più tornata.
I bambini, si sa, inventano le cose, ma "Il Rosso" sembrava convinto di quel che diceva e piangeva disperato davanti ai poliziotti e alla madre che, arrabbiati, gli dicevano di dire la verità.
La verità era quella: l'aveva presa l'Edificio!
Veniva chiamato così quello stabile di cinque piani costruito nel dopoguerra.
In quegli anni, poche erano le persone che avevano visto un simile mostro d'acciaio e cemento poiché arrivavano quasi tutti dalla campagna in cerca di una situazione di vita migliore in fabbrica, in città.
Erano abituate a grandi cascine con molte stanze, dove abitavano più famiglie e dove, per avere acqua, dovevi andare al pozzo, fuori in cortile.
In città ogni famiglia aveva la propria abitazione e l'acqua arrivava direttamente in cucina, dal rubinetto.
Quasi una magia.
Dove avevano costruito l'Edificio, c'erano i resti carbonizzati di un antico rudere, circondato da grandi campi coltivati, ma all'improvviso, tutto fu recintato e ci furono scontri fra i proprietari terrieri e le forze dell'ordine.
C'era un mandato della contea e non si poteva discutere.
Lì sarebbe nato un palazzo di cinque piani e avrebbe dato rifugio alle famiglie dei venti nuovi operai che avrebbero iniziato a lavorare alla grande fabbrica della città!
Era stato messo ai voti democraticamente.
I più anziani, li avevano avvertiti, quelli là, i capi cantiere, di non fare niente... loro non sapevano... non erano del posto.
Ma veniva riso loro in faccia dicendo che le superstizioni non portavano a niente, mentre l'edificio che avrebbero costruito portava lavoro e soldi.
Così tutto fu demolito e iniziarono i lavori.
Anche a suo marito avevano tolto il pezzo di terra per costruirci sopra e, anche lui, aveva lottato contro i poliziotti.
Poi quando era successa la disgrazia della figlia, non aveva più parlato, ne mangiato e si era lasciato morire.
Qualche giorno prima della morte, aveva scritto su un biglietto: " Si è arrabbiata... di nuovo...".
Il delirio dei moribondi...
Così La Pazza era rimasta da sola nella sua piccola casa in fondo al viale dove sorgeva
L'EDIFICIO
5°PIANO
... la vita era deliziosa in quella piccola cittadina, ma c'era qualcosa che a me non piaceva...
Ero una bella ragazza a cui avevano dato il soprannome de "La Bionda" per i miei lunghi capelli biondi e ricci e tutti mi facevano la corte.
Ma io mi ero messa in testa di studiare e di girare il mondo litigando continuamente con i miei genitori che, preoccupati, vedevano passare gli anni e i buoni partiti senza che mi decidessi.
-Una donna deve sposarsi e fare figli, l'uomo va a lavoro e mantiene la famiglia!-.
Il primo e l'unico comandamento da seguire!
Mia sorella e mio fratello, entrambi più grandi di me, l'avevano capito, sistemandosi per sempre, l'una con un buon marito affettuoso e con un buon lavoro soddisfacente, l'altro con una brava moglie.
Ma io no!
Avevo preso dal nonno materno, temerario e testardo, che a soli sedici anni era scappato per non andare in guerra e si era rifugiato con i ribelli in montagna.
Anch'io volevo scappare da quel posto dove mi avevano portata, quando papà aveva avuto il lavoro nella nuova grande fabbrica e aveva lasciato i campi.
Mi avevano detto che, quella fabbrica, avrebbe dato lavoro ancora a tanti altri operai e che la città si sarebbe ulteriormente ingrandita con negozi e locali dove si poteva comprare tutti i giorni senza aspettare il fine settimana, quando si andava in paese.
Anche per come si presentava al momento, non era male stare lì; tutto era moderno, funzionale, con belle persone eleganti e gentili.
... ma sembrava che quella città respirasse.
Sì, a me sembrava questo.
La sentivo la notte dal mio letto quando, non riuscendo a dormire, mi mettevo a studiare.
Sentivo il suo affannoso respiro.
Ed ero convinta che quel respirare, togliesse aria e vita a chi ci viveva.
Come se quel posto si nutrisse dei suoi abitanti.
Ovviamente non potevo parlarne con nessuno, ma sapevo che non ero la sola ad essermene accorta.
Andavo spesso in biblioteca, poiché i libri per studiare erano molto costosi e lo stipendio di papà, anche se permetteva una vita agiata e persino un'auto, non poteva coprire tutto.
C'erano molti giovani che facevano come me e lì coltivai le mie prime amicizie.
Una in particolare.
Una ragazza della mia età, che andava a leggere romanzi nel tempo libero dagli impegni di casa.
No, lei non studiava e non lavorava.
Aiutava sua madre nelle faccende di casa e suo fratello e suo padre lavoravano nei propri campi ai confini della città.
Lei aveva capito il comandamento e lo seguiva.
Stavamo molto insieme e ci confidavamo anche i più intimi segreti.
Molte volte fui sul punto di dire alla mia amica del respiro della città ma, ogni volta, era come se qualcosa mi bloccasse e non le dicevo niente.
Avevo paura anche solo a parlarne, paura che la città mi sentisse e si vendicasse.
Forse stavo impazzendo, forse passavo troppo tempo sui libri?
Dovevo svagarmi un po'.
Uscire.
Decisi insieme all'Amica se le andava di andare in quel bel locale che avevano aperto da poco, dove si diceva che facessero il migliore gelato del mondo.
L'Amica, doveva chiedere al fratello perché i suoi non la facevano uscire da sola, poiché non era ancora maggiorenne e non era ancora fidanzata.
Non stava bene.
Nessun problema, era bello stare in gruppo.
Così quella sera mi passarono a prendere alle nove e, dopo che papà mi aveva fatto promettere di non essere a casa più tardi delle undici, c'incamminammo lungo la strada che portava alla Gelateria.
Era una bella serata di primavera, ancora un po' fresca ma piacevole.
La gente iniziava ad uscire e c'erano molte persone che passeggiavano nel grande viale.
Il Fratello aveva portato un amico, il tipico tenebroso, bello ma troppo serio e silenzioso.
Lavorava insieme a lui e a suo padre, ma voleva comprarsi un pezzo di terra sua e vivere dei suoi guadagni.
Poi avrebbe messo su famiglia.
Strano come queste persone avevano tutta la vita programmata alla stessa maniera!
La serata era allegra e piacevole, il gelato buono e il ragazzo carino non mi tolse mai gli occhi di dosso, cosa che a me faceva molto piacere, anche se mi ero accorta da subito che non era lo stesso per la mia Amica, alquanto contrariata dalla situazione.
Forse a mia insaputa ero diventata il terzo incomodo...
Ormai si era fatto tardi ed era ora di tornare.
Uscimmo ma, appena imboccato di nuovo il viale, mi sentì stranamente attratta da qualcosa che, in direzione dei campi, mi costrinse a voltarmi.
Qualcuno, qualcosa mi respirava nel collo e bloccava completamente i miei movimenti, mentre i miei amici continuavano a camminare.
Sentivo lì vicino a me una presenza forte, potente, che però mi entrava dentro con il suo sguardo acuto e incandescente, da lontano.
Una sensazione indescrivibile...
Aguzzai gli occhi, ma non riuscì a vedere bene i suoi tratti.
Cercai di divincolarmi da quella morsa invisibile ed urlare... niente.
Fluttuava, lontano, nell'aria scura della notte una sorta di sudario nero e lucido dal cui interno trapelava una luce propria, rossastra, malvagia.
Ed il suo respiro caldo affannato, sporco, che puzzava di marcio e di putrido, me lo sentivo addosso, nel collo, viscido e immondo.
Quando l'Amica mi chiamò scuotendomi, e ridendo mi disse che se le sigarette mi facevano quell'effetto forse era meglio se non fumavo più, detti un urlo lancinante e iniziai a torcermi per terra gridando
-Brucio!!! Brucio!!!-.
Dalla mia bocca usciva bava verdastra e i miei occhi erano completamente bianchi, mentre sulla mia pelle si stavano formando piaghe simili a piccole ustioni uniti a tagli sanguinanti.
Stavo bruciando!!!
Stavo per morire!!!
Ma non c'era un solo barlume di piccola fiamma vicino a me!!!
I ragazzi si guardarono l'un l'altro, non sapendo cosa fare, cercando di capire se soffrivo di attacchi particolari di cui loro non ne erano a conoscenza.
Negli spasmi cercavo di far capire loro che non ero io a causare il terribile fatto e indicavo là in fondo, nel buio, in mezzo ai campi, vicino al rudere. Nessuno aveva voglia di appurare cosa veramente stessi vedendo, ma nell'aria sentivano uno strano odore di putrefazione e un affanno caldo.
Stava arrivando gente, chiesero aiuto ed in breve un capannello di persone si formò intorno a noi.
Arrivò anche un medico che diagnosticò la cosa come una forte crisi di nervi che avevo avuto a causa di un pesante stress.
La notte nessuno dei miei amici riuscì a dormire, ripensando al mio sguardo allucinato e terrorizzato, ai miei strani versi e a ciò che dicevo, ma poi, ingannando se stessi, arrivarono alla conclusione che forse le sigarette che mi ero fatta non erano solo di tabacco.
Tutti tranne l'Amico: lui non la pensava così, era convinto che la Bionda non mentiva, quegli occhi così terrorizzati non potevano mentire.
Ma non disse nulla a nessuno: glielo aveva insegnato suo nonno... in quel posto dovevano farsi gli affari suoi... mai impicciarsi...
Il giorno dopo avevo la febbre alta e piccole ustioni e tagli su tutto il corpo e il medico disse che non riusciva a spiegare il motivo di tutto ciò.
A suo avviso era tutto nella norma... ci volevano degli accertamenti più approfonditi... da uno specialista magari... lui poteva solo dare degli unguenti per le ferite.
Soffrivo terribilmente in una specie di semicoma, sudavo, tremavo e mi lamentavo e quando perdevo completamente conoscenza, mi svegliavo di soprassalto e urlavo all'improvviso: -Non fatela arrabbiare!!!-.
Rimasi in quello stato per qualche settimana.
La sensazione di bruciare era nitida e reale.
I tagli sul mio corpo sembravano causati da lame affilatissime comandate da una rabbia incontrollabile.
Poi, pian piano, le ferite iniziarono a cicatrizzarsi e tornavo spesso cosciente finché fui di nuovo capace di alzarmi dal letto.
Non capivo cosa mi fosse successo ma mi ricordavo tutto ciò che avevo visto e il dolore fisico che avevo provato.
Avrei potuto raccontare tutto passando per "La Pazza" o stare zitta passando per "La Malata".
Il medico ordinò alcuni esami che risultarono completamente negativi e, quando i miei genitori gli chiesero cosa poteva essermi accaduto, lui, impacciato, disse che non lo sapeva spiegare, era la prima volta che aveva assistito ad un fatto del genere e che, però, gli ultimi studi sulla mente umana avevano dimostrato che il cervello può causare ferite al corpo, se non addirittura indurre il paziente ad autolesionarsi.
Praticamente mi ero ferita e bruciata da sola!!!
Per il momento non potevo fare altro che lasciarglielo credere, molto meglio che dire la verità.
E comunque in un modo o nell'altro non c'era via d'uscita.
O bere, o affogare!!!
I giorni che seguirono furono molto tristi, controllata a vista da mio padre che viveva nel terrore che la figlia potesse farsi di nuovo del male.
Non mi facevano uscire ne ricevere visite, solo qualche telefonata alla mia Amica, come se si vergognassero di me e di ciò che mi stava succedendo.
Ma, come si dice, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi.
Un giorno, un terribile giorno, mentre stavamo pranzando suonò il campanello.
Due strane figure erano alla porta: uomini in giacca e cravatta, dissero di essere giornalisti che si stavano occupando di strani casi accaduti in città.
Li fecero entrare e accomodare, sperando che potessero aiutare la loro bambina.
Non sembravano affatto giornalisti, ma più scienziati o studiosi.
Avevano tutti e due una grossa catena intorno al collo con appesa una grande croce.
Giornalisti bizzarri...
Iniziarono subito a chiedere informazioni su quella brutta sera e sul motivo per cui avevo messo in giro quelle chiacchiere, guardandomi come se si aspettassero da un momento all'altro chissà quale reazione da parte mia.
Non erano chiacchiere ciò che avevo messo in giro, ma era ciò che avevo visto.
E non solo io!
Gli altri non avevano il coraggio di ammetterlo ma c'era qualcosa quella sera là nei campi, vicino al rudere, che fluttuava e respirava un alito immondo come quello che si sentiva durante la notte in tutta la città!!!
La reazione che si aspettavano era arrivata!
Si guardarono fra loro e fecero cenno ai miei genitori di andare a parlare nell'altra stanza.
Avevo bisogno di cure e loro potevano aiutarmi.
Ma che cosa stavano dicendo?!
Io stavo bene, ero serena, felice, intelligente, allegra!!!
Se mai ero stata male, di certo non era per colpa mia e, comunque, ormai era passata.
Niente da fare, dovevo essere seguita da uno specialista, avevano buoni motivi per credere che sarei diventata pericolosa.
Pericolosa?!
Non avevo mai fatto del male a nessuno!
Mai in vita mia!
Capivo benissimo che volevano togliermi di mezzo.
Ero pericolosa... si... ma per loro!
Di cosa avevano paura?
Cosa... chi avevo visto quella sera?
Avevo ancora incubi notturni, va bene, mi svegliavo e urlavo che c'era una luce rossa in camera mia che mi tagliava e mi bruciava, ok, ma da lì a dire di essere pericolosa ce ne è di strada!!!
E poi questo non lo sapeva nessuno... cioè si lo avevo confidato alla mia Amica... ma lei era mia amica... o no?
No, forse no, non più.
In uno scatto d'ira balzai addosso ad uno degli individui e le sferrai un potente pugno!!!
Perché?
Perché mi stavano facendo questo?
Cosa volevano che non tornasse a galla?
Cosa era successo in quel posto?
Erano dei veri e propri bastardi!
Mi usavano per coprire le loro carognate!!!
Mio padre mi prese con forza bloccandomi, mentre l'uomo colpito si tamponava il labbro sanguinante e gridava che dovevo essere rinchiusa in manicomio. Mia madre gridava e piangeva.
Accorsero i vicini che iniziavano ad avere qualche pregiudizio su quella "brava" famiglia arrivata da poco e sulla figlia che ultimamente tenevano segregata in casa.
Se a volte dalla finestra salutavo dei ragazzini, arrivavano subito le madri o le babysitter ad accertarsi che non si fermassero a parlare con me.
Mica li avrei mangiati!!!
Mio padre riuscì a convincere i due uomini, che si sarebbe preso cura di me e mi avrebbe fatta curare.
-Non c'è bisogno di rinchiuderla... non per ora- aggiunse, guardandomi in cagnesco.
Rinchiudermi?! Ma non ero malata!
Iniziarono a portarmi regolarmente da una dottoressa che mi sottometteva a sedute ipnotiche con l'unico risultato che, quando la seduta finiva, la dottoressa ne usciva stremata e impaurita.
Dopo un po' non volle più ricevermi...
La situazione stava degenerando.
A scuola vedevo insetti schifosi sui banchi, ombre e voci nei bagni, risatine nei lugubri corridoi deserti.
Urlavo all'improvviso, spaventando i compagni che avevano iniziato ad evitarmi.
Sospettavo che, su consiglio del nostro medico, mi somministrassero dei farmaci nel cibo o nelle bevande.
Stavo sempre peggio, giorno dopo giorno, fino a che cominciai a pensare di essere malata di mente e completamente fuori di me.
Non avevo più visto la luce rossa nel sudario, ma vivevo nell'incubo che potesse tornare a farmi del male.
Ero stanca di tutto, stanca di testa e debole... non ce la facevo più.
Così mi arresi.
Mi gettai dalle scale di casa.
Non riportai gravi ferite ma Loro non aspettavano altro.
Il tentato suicidio è un motivo più che valido per essere internati.
E così fu.
Nell'Ospedale Psichiatrico fuori città dove, appena arrivata, fui sedata con potenti farmaci e messa in isolamento.
Erano riusciti a fermarmi.
Mi legarono ad un letto in una stanza squallida e vuota e mi tenevano semiaddormentata.
La notte, quando urlavo, si precipitavano nella mia stanza e mi trovavano in stato di shock che chiedevo aiuto perché stavo bruciando!
Il giorno dopo, immancabilmente, avevo nuove, inspiegabili ustioni.
Si, erano tornati a trovarmi, di nuovo, il fuoco, le lame affilate, il dolore, il calore!!!
E inspiegabile era anche il fatto che nella mia stanza la telecamera non funzionasse... eppure il tecnico diceva che era a posto...
Nei miei momenti di lucidità, venivo regolarmente ascoltata da uno psichiatra che sembrava interessarsi particolarmente al mio caso.
Ma neanche a lui dicevo la verità per timore che la mia situazione peggiorasse, se possibile, ancora di più.
La cosa andò avanti fino a che lo psichiatra, non arrivando a nessun risultato degno di essere chiamato tale, dette ordine di trasferirmi in una camera singola in corsia e di non legarmi.
Il mio corpo e la mia mente erano devastati dal dolore e dal terrore.
Non camminavo quasi più, mangiavo pochissimo e non mi fidavo di nessuno.
Ogni persona che mi avvicinava poteva essere per me un potenziale nemico.
Non capivo e non sapevo che genere di nemico, ma avevo paura e questo per me bastava.
La camera era illuminata da una grande finestra e c'era un mazzo di fiori sul mio comodino.
Il letto era pulito, c'era un armadio e un piccolo tavolino con una sedia.
Ma io cercavo un'altra cosa e la trovai!!
Ora la notte riuscivo a riposare: quando venivano a controllare mi trovavano che dormivo con il crocefisso, che di solito stava attaccato sopra alla porta delle camere, stretto sul petto.
Anche i tagli e le ustioni si stavano cicatrizzando e di nuovi non ne avevo.
Dovevano venire sempre di persona, due o tre volte per notte perché, stranamente, si era guastata anche la telecamera di quella stanza...
La mia sindrome destava interesse anche ad altri medici di altri ospedali che spesso venivano lì per parlarmi.
Tutti concordavano sul fatto che dal punto di vista clinico ero perfetta, non dovevo stare lì.
Perché allora?
Ero forse una specie di fenomeno che, con il potere della mente, riusciva a causarsi ferite?
O qualcuno di quei medici, come me, sapeva la verità e se ne stava cautamente zitto per paura di venire al posto mio?
In quei mesi passati là dentro oltre ai miei, mi faceva visita l'Amico bello e serio che era uscito con noi quella sera della gelateria.
Sembrava capire il mio problema, anche se non lo aveva mai detto apertamente, come se sapesse qualcosa che io non sapevo.
Era simpatico e piacevole, e quando iniziai a stare meglio mi portava i libri per studiare e parlavamo di molte cose interessanti, passando dei bei pomeriggi lieti nel parco dell'ospedale quando lui finiva con il lavoro.
Arrivò il giorno delle dimissioni: ero guarita!!!
Nello studio il mio psichiatra mi disse, chiaramente e in confidenza, che non sapeva a tutt'oggi il perché della mia degenza in quel posto, né quale fosse stata la causa del mio malessere, ma era sicuro al cento per cento che non ero io a causarmi quei tagli e il panico ingestibile che si scatenava nella mia testa.
Non era di autolesione che si trattava.
Una forza esterna, malvagia, cattiva s'impadroniva della mia mente e del mio corpo.
Gli chiesi se dovevo chiedere aiuto ad un prete.
Non ero molto credente, per niente praticante, ma avevo sentito parlare di strane possessioni da parte di entità di un altra dimensione.
Forse era quello che mi stava succedendo...
Ma lui, sorridendo, mi disse che niente di divino né demoniaco erano la causa di tutto ciò ma semplicemente umano.
Gli umani molte volte scatenano la presenza sia dell'uno che dell'altro.
Gli dissi che ero stupita di una risposta del genere da un uomo di scienza, ma lui rispose che a volte dobbiamo guardare oltre il materiale e il concreto.
4°PIANO
Una volta a casa, tutto scorreva come non fosse successo niente.
Sentivo il controllo impaurito dei miei, ma riuscivo a conviverci sapendo che lo facevano per il mio bene.
Ricominciai ad uscire, tornarono la mia Amica col fratello, andammo di nuovo alla gelateria ma non accadde più nulla di strano e nessuno affrontò mai l'argomento.
Il tempo passava senza problemi e mi sentivo bene, fino a che iniziai io stessa a dubitare di aver mai visto e sentito qualcosa e a pensare che veramente la mia integrità psichica aveva corso un grave rischio.
Una forte crisi di nervi a causa della tensione scolastica, dei frequenti esami da sostenere.
Ma una sera, mentre eravamo in giro tutti insieme, il mio Amico mi tirò in un angolo e mi disse di avere urgente bisogno di parlarmi da sola.
Il cuore iniziò a sbattermi nelle costole con violenza!!!
Finalmente si era deciso!!!
Voleva parlarmi da sola!!!
Voleva dirmi che mi amava e che mi avrebbe sposata!!! Ero stata insieme a lui, una volta nel parco dell'ospedale, in mezzo ad un roseto purpureo, ed era stato bellissimo.
Pensavo di aver sbagliato, di essere passata per una ragazza facile, ma lui mi aveva detto che ero una persona speciale.
Forse ora voleva dimostrarmelo con i fatti.
Paura, sgomento e felicità si scontrarono nella mia testa!!!
-Si! Si, ok! Dove? Quando?-.
Decidemmo di incontrarci subito la sera dopo, inutile aspettare.
Semplicemente meraviglioso!!!
Non credevo di provare quello che stavo provando.
Ero sempre stata scettica riguardo l'amore e gli uomini, ma ora mi ricredevo su tutte le mie convinzioni.
Avevo dato il meglio di me nel vestirmi e nel truccarmi, cosa mai accaduta prima.
Ma, quando alle otto suonò il campanello ed andai ad aprire, lo sconforto e la delusione mi fecero pentire di aver perso delle ore ad agghindarmi.
Lui era ancora in abiti da lavoro, sudato e sporco e scusandosi disse che aveva fatto tardi per passare a prendere dei documenti dall'archivio della biblioteca.
Cose importanti che dovevo assolutamente vedere.
Forse non era di matrimonio che doveva parlarmi...
Ci incamminammo verso il parco lì vicino e ci sedemmo su di una panchina illuminata da un lampione.
Non proprio il massimo del romanticismo per essere la prima sera che uscivamo da soli...
L'Amico arrivò subito al nocciolo della questione: la luce rossa che respirava!
I pensieri si spalancarono nella mia mente, come una antica porta mai oliata, dandole una sensazione quasi di dolore fisico e aprendomi il cervello!!!
Allora non era stata una crisi di nervi, era tutto vero, avevo visto e sentito, quella sera e anche le notti in clinica!!!
Appunto, lui voleva parlare di chi o cosa avevo visto e sentito:
Isotta di Goffredo.
Aveva preso ciò di cui avevano bisogno dalla biblioteca, documenti dell'epoca e mentre mi mostrava il tutto si guardava spesso intorno e gli tremavano le mani e la voce: Quel ragazzo era terrorizzato...
Con delicatezza le accarezzai i capelli, le detti un bacio e prendendo i documenti dalle sue mani sudate iniziai a leggere cosa c'era di così importante in quelle carte antiche che poteva riguardarmi:
"AD 1603 SENTENZA DEL PROCESSO A ISOTTA DI GOFFREDO
LA DONNA CONOSCIUTA COME ISOTTA DI GOFFREDO ACCUSATA DI ERESIA ET STREGONERIA ET PRATICA ARTI OCCULTE ET CANNIBALISMO INFANTI ET UNIONI CARNALI COL MALIGNO... POSTQUAM DEPOSITUS FUIT DE TORMENTO... OTTENUTO ABIURA... TRAMITE SUPPLIZIO DEI TRATTI DI CORDA... ET FLAGELLO...
E'CONDANNATA DA QUESTO TRIBUNALE INQUISITORIO
AL SUPPLIZIO DEL ROGO FINO A CHE MORTE NON SOPRAGGIUNGA"
Una strega?!
Cosa aveva a che fare con me una strega?
Chi era Isotta di Goffredo?
Isotta di Goffredo era una prostituta vissuta in quel tempo, lui lo sapeva, glielo raccontava sempre suo nonno.
Viveva nel rudere in mezzo ai campi dove quella sera, avevo visto la luce rossa e sentito il respiro puzzolente.
Ogni dieci anni, la somma dell'anno della sua morte, torna a prendere ciò che le spetta e se non le viene dato si arrabbia...
Tornarono nella mia mente le parole dello psichiatra: gli umani spesso sono la causa di tutto...
Si, Isotta di Goffredo era una donna di pochi scrupoli, meretrice di professione, causava aborti dietro lauto compenso, tramite erbe mediche, a chi non voleva l'incomodo dei figli.
Aveva attirato a se molti uomini del luogo, di tutti i ceti, di tutte le età, fino a che iniziarono le dicerie che non era solo grazie alla sua bellezza, ma i suoi capelli rossi erano un segno più che plausibile di come veramente Isotta otteneva ciò che voleva.
I suoi capelli, le sue sparizioni notturne, la musica che sentivano spesso al limitare del bosco unita a risa isteriche, schiamazzi e strane nenie la dicevano lunga sulle vere pratiche di Isotta...
Ma lei non badava a quello che sentiva dire e in poco tempo riuscì a mettere da parte una vera e propria fortuna, a comprarsi delle terre e a costruirsi una bella e grande casa in fondo al paese dove andò ad abitare circondata da servi e contadini.
Non faceva più il mestiere ma continuava ad esercitare le sue passioni con le erbe, preparando unguenti e tisane...
Gli inquisitori erano andati più volte a casa sua, ma non avevano mai trovato nulla di compromettente, come corna di caprone o zampe, o rospi o topi.
Erbe, solo erbe.
Subì anche dei processi con l'accusa di arti occulte da dove uscì sempre innocente per mancanza di prove.
Poi, anche l'Inquisitore cadde nella sua malìa e divenne uno dei suoi amanti.
Così non aveva più nulla da temere e con il passare degli anni anche le sue origini sfumarono nel tempo... per tutti era Lady Isotta Contessa Di Goffredonia, nobile benefattrice che sfamava tante povere famiglie dando loro lavoro nei suoi campi.
Ma un giorno sparì un bambino di una numerosa famiglia di braccianti.
Non fu mai ritrovato, né vivo, né morto.
Solo una scarpina, nel grande parco della villa di Lady Isotta.
Il popolo si sa come fa.
In un attimo sei il suo idolo, in un attimo il suo carnefice...
Per un popolo di contadini analfabeti è ancora più facile cambiare idea sulle persone, specie quando ha paura.
E un inquisitore, ex amante ormai rifiutato fa molta paura.
Ci volle poco per far ricordare a tutti chi era Isotta.
Fecero irruzione in casa sua di notte quando tutti dormivano.
La trovarono coricata insieme a tre uomini, con la mente annebbiata da strani infusi di erbe mescolate a laudano ed assenzio.
C'erano segni sul pavimento fatti con il sangue e pentacoli e talismani sparsi nella stanza.
Chiesero a Isotta del bambino ma lei in uno stato di confusione totale disse di non sapere nulla e comunque uno meno da sfamare.
Uccisero i suoi amanti sul posto, incendiarono la sua casa, le sue piantagioni, le sue stalle, dispersero le sue bestie e scacciarono le povere famiglie a cui dava alloggio in cambio di lavoro.
Le fiamme dell'enorme rogo, fecero accorrere anche gli abitanti dei vicini villaggi, credendo che fosse andato al fuoco tutto il paese.
Dopo averla fatta assistere a tutto questo, la portarono alle prigioni, dove, sul suo bellissimo corpo, fu dato sfogo alle più tremende e impensabili torture per giorni.
Poi, in seguito ad un sommario processo presieduto dal suo ex amante inquisitore, fu bruciata viva.
Quello che rimase di lei fu disperso in luogo consacrato in modo che non potesse più tornare.
Tutto tranne i suoi lunghi capelli rossi.
Quelli non bruciarono...
La leggenda narra che durante tutto questo dalla sua bocca non uscirono mai lamenti o grida, ma un respiro forte e affannato.
3° PIANO
Ero allibita e terrorizzata!!!
Cosa voleva Isotta da me?
Perché a distanza di secoli mi aveva scelta fra tanta gente?
Chi mai avrebbe potuto aiutarmi?
Non volevo tornare in sua balìa, non volevo soffrire ancora quello che avevo sofferto!!!
Mai più, per favore, mai più.
Guardai il mio Amico.
Aveva un angoscia particolare negli occhi.
Non sapevo di cosa era capace Isotta ma lui si.
Lui era del posto da generazioni e i suoi antenati avevano visto il rogo e si erano tramandati la storia.
Era una donna crudele, senza amore per nessuno, prendeva e otteneva sempre ciò che voleva ed era vendicativa.
Mi aveva scelta per qualche motivo, ma lui non lo sapeva.
Ma Isotta non faceva mai niente a caso e, quando ogni dieci anni tornava, aveva sempre uno scopo nelle sue azioni malvagie, sempre e comunque.
Anche questa volta.
Tornammo alle nostre case, sconvolti, impauriti, impotenti.
Quella notte non dormii, affacciata alla finestra, guardavo la città inerme dove, secoli prima, era stato consumato quel terribile omicidio e chissà quanti altri.
Isotta tornava a riprendere ciò che le spettava, aveva detto il mio Amico, ma cosa o chi le spettava?
Il mattino dopo, mi alzai di malavoglia.
Gli occhi rossi e gonfi testimoniavano una notte insonne e agitata.
Uscii.
Il quotidiano, per terra, alla porta, come tutti i giorni da quando abitavamo lì.
Lo presi.
Lessi la prima pagina.
Non so quanti battiti perse il mio cuore.
Era scomparso un bambino!!!
Mancava da settimane e non lo avevano più trovato né vivo, né morto.
Era stata ritrovata solo una scarpina nei campi coltivati vicino al vecchio rudere.
Tutto era accaduto durante la mia degenza...
Avevano aspettato a dare la notizia per volere della famiglia, che viveva i giorni nella speranza di ritrovarlo.
... Ecco cosa veniva a prendere ogni dieci anni... e tutti lo sapevano... tutti i vecchi abitanti accettavano questo abominio per vigliaccheria e paura.
Offrivano un vero e proprio sacrificio umano pur di salvare la loro pelle schifosa!!!
Corsi a casa del mio Amico piangendo.
Solo lui riusciva a capire il mio stato d'animo.
Mi abbracciò forte e mi baciò con tenerezza, dicendomi di stare tranquilla, con lui non mi sarebbe successo più niente.
Ma il dolore che provavo per ciò che avevo scoperto era mille volte più forte di ciò che avevo provato sulla mia persona.
Era orribile!!!
Dei bambini!!!
Prendeva dei bambini!!!
Mi accorsi che non eravamo più da soli... sentivo uno sguardo su di me...
Mi voltai.
C'era suo nonno che stava entrando in casa e, vedendomi, si era fermato sulla porta.
Rivolto al nipote in modo alquanto brusco chiese cosa ci facessi lì, chi mi aveva fatto entrare?
Non capivo, non l'avevo mai visto, ma sentivo che quell'uomo anziano mi odiava!!!
Guardai il mio Amico.
Era a disagio e rosso in viso.
L'uomo disse al nipote che non voleva trovarmi quando tornava!!!
Ed uscì di nuovo.
Cosa stava succedendo?
Cos'altro c'era che non sapevo?
Mi accompagnò fuori e andammo ad un bar lì vicino a prendere un caffè.
-Non voglio un caffè, voglio una spiegazione!!!-.
-Ok, va bene. Ne hai il diritto...-
Tu... la tua famiglia... non siete forestieri... siete semplicemente tornati sul luogo dove vivevate secoli fa... credendo che ormai tutto fosse passato, finito...-
- Che cosa passato e finito!?-
-I tuoi avi, erano originari di questo posto, ma siete stati costretti a fuggire per non essere uccisi-.
Uccisi come Loro... come Lui aveva ucciso Isotta: Lui, L'Inquisitore, il mio antenato!!!
Io discendevo da lui!!!
Mi girava la testa.
Svenni.
Quando ripresi i sensi ero in casa del mio Amico, distesa sul divano del salotto e sentivo bisbigliare nell'altra stanza.
Non importava cosa pensava il nonno e la gente, lui mi avrebbe sposata, così aveva deciso!
Questo fu quello che sentì dire prima di perdere di nuovo i sensi.
Come poteva succedermi tutto questo?
Come avevo fatto a non scoprire mai le mie origini?
E i miei, mio fratello, mia sorella, loro sapevano o come me erano ignari di tutto?
Aprii di nuovo gli occhi.
Il mio Amico era li vicino a me.
Aveva fatto un po' di tè e me ne porse una tazza tiepida.
Bevvi.
C'era anche suo nonno seduto più in là, vicino al tavolo.
Mi guardava, ma sembrava più calmo e disteso di prima.
Aveva gli occhi piccoli come due fessure e azzurro intenso.
La pelle cotta da anni di sole, al lavoro, nei campi.
Un bastone, con l'estremità in argento, in mezzo alle gambe su cui appoggiava entrambe le mani.
Vestito di tutto punto, con un panciotto di lana dal cui taschino spuntava una grossa catena che avevo già visto... da qualche parte.
Mi chiese come mi sentivo.
Aveva una voce forte, rauca, antica.
Mi sentivo meglio, se non pensavo.
Il mio Amico mi sorrise e mi aiutò ad alzarmi.
Mi avrebbe accompagnato a casa, doveva parlare con i miei.
Salutai l'anziano signore, che mi rispose con un timido cenno della testa.
Anche troppo timido.
Uscimmo.
L'aria pulita mi invase.
Il cielo era cupo e nuvoloso, segno evidente di un imminente temporale.
Dovevamo muoverci.
Percorrendo il viale, vidi che stavano mettendo recinsioni ai campi, là in fondo.
Non avevo fatto caso se c'erano anche al mattino quando ero arrivata.
Sicuramente le mettevano per il bambino scomparso.
Anche, ma non solo.
Avevano deciso di buttare tutto giù e costruire un grande stabile, con diversi appartamenti.
C'erano stati scontri e litigi.
Anche il mio Amico era andato a litigare con la nuova giunta perché non gli togliessero il suo pezzo di terra appena acquistato e si era azzuffato con un poliziotto arrogante e arrivista!!!
Poi gli avevano detto che lo avrebbero ripagato dieci volte tanto!
Doveva stare solo calmo e tranquillo!!!
Ma tutto così all'improvviso?
Perché?
Dicevano che la fabbrica stava assumendo persone e c'era bisogno di case, non di campi.
E poi quel rudere non serviva a niente... ci avrebbero costruito sopra e fine della storia!!!
Costruito sopra...
Fine della storia...
Questo era quello che credevano...
La storia era appena cominciata!!!
2°PIANO
Era una piccola e graziosa bomboniera, la villetta dove io e mio marito eravamo andati ad abitare dopo sposati.
Il matrimonio era stato semplice e riservato come piaceva a noi e i primi anni spensierati e gioiosi.
Io facevo un po' di doposcuola ai bambini meno studiosi e lui aveva trovato impiego presso una vicina officina di auto.
Il tempo passava sereno.
Avevo tutto ciò che volevo.
Quello che era successo, si era perso nei meandri dei ricordi.
Nessuno ne parlava più.
Il nonno di mio marito era morto, i miei genitori, anziani, evitavano prudentemente l'argomento dopo che, quel giorno, li avevo accusati di avermi tradito nascondendomi le nostre vere origini.
Che loro conoscevano molto bene.
In quanto a noi, non ne volevamo sapere.
Chiuso per sempre con Isotta e tutto il resto.
Pietra tombale.
Il nostro unico desiderio era avere un figlio che sembrava tardasse ad arrivare.
Un meraviglioso giorno, però, il medico disse che forse era meglio se non mi affaticavo più di tanto per un po'...
Ero fuori di me dalla gioia!!!
Euforica!!!
Mio marito, che non lasciava trasparire mai più di tanto le emozioni, iniziò a piangere in silenzio.
Finalmente si era avverato il nostro sogno!!!
Così iniziai a stare più in casa, a sognare ad occhi aperti.
Fuori avevamo un bel giardino e mi piaceva stare seduta all'ombra a leggere o ricamare.
Insomma tutto era da mille e una notte!
Davanti alla nostra abitazione, sorgeva il nuovo Edificio che avevano costruito sui resti del rudere, con tante nuove famiglie che vi abitavano.
Grigio e cupo, sovrastava dall'alto dei suoi cinque piani tutta la città.
Unico, invadente, gigante nero.
Avevamo scelto quella casa proprio lì davanti, come se, nel nostro subconscio, volessimo fare da guardiani.
Arrivò il giorno del parto.
Una splendida bambina.
Bella come il padre e bionda come me.
Gli anni continuarono a passare, calmi, senza alcun tipo di preoccupazione... apparentemente.
A nostra figlia piaceva molto andare a giocare con i nuovi amichetti che abitavano nel grande palazzo grigio.
La nostra casa era così piccolina, e lui così grande... e poi... respirava!!!
Come respirava?!
Si, quando i piccoli andavano a giocare nei locali del seminterrato, dove erano le lavanderie, sentivano il suo respiro caldo.
Lo sentiva anche "Il Rosso".
E anche tutti gli altri.
Ma non avevano paura, perché c'era la luce rossa che illuminava il buio.
La luce rossa!!!
Era tornata!!!
Isotta era tornata!!!
Erano passati di nuovo dieci anni!!!
Dovevamo proteggere tutti i bambini... la nostra bambina!!!
Dovevamo avvertire i genitori ma, soprattutto, dovevo dirlo a mio marito.
Sapevo che qualsiasi cosa avessi fatto non avrebbe fermato Isotta, come mai niente e nessuno l'aveva fermata.
Lei era forte, molto forte, ma dovevo comunque tentare!
Quando mio marito arrivò da lavoro vide subito che qualcosa non andava.
Si sedette vicino a me e mi ascoltò, pensieroso e in silenzio, mentre fra nervosi singhiozzi cercavo di dire cosa nostra figlia mi aveva raccontato quel pomeriggio.
Non sapevo da quanto tutto questo andava avanti...
... Non potevamo fare niente: lui lo sapeva bene... io lo ricordavo bene...
I dieci anni erano passati e lei era di nuovo arrabbiata, veniva a prendere quello che le spettava...
Non c'era modo di fermarla.
Come era possibile?!
Dovevamo fare assolutamente qualcosa.
Dovevamo trovare un modo.
I suoi capelli, certo!!! Dovevamo trovare i suoi capelli e bruciarli!!!
Ecco come la potevamo fermare: dovevamo andare nella lavanderia, era lì che tutto era cominciato e lì tutto doveva finire.
-Sei pazza!-
La storia della mia vita, ormai ci ero abituata.
-O con te o senza di te! Abbiamo poco tempo-
Risposi, a muso duro, guardandolo dritto negli occhi.
Conoscendo la mia testardaggine sospirò, si alzò e andò nella nostra camera.
Lo seguii.
Spostò il piccolo quadro appeso sopra il nostro letto e, infilandoci dietro la mano, ne estrasse una grossa catena con appesa una grossa croce.
-Tieni,- mi disse- metti almeno questa al collo.
Era di mio nonno e del nonno di mio nonno prima di lui. Era presente al rogo di Isotta.-
Un maledetto complotto che durava da secoli: la catena e il ciondolo erano identici a quelle che portavano i "giornalisti" anni fa.
Mi sentii tradita e offesa anche dall'uomo che amavo.
Delusa.
Non era la persona che per anni avevo creduto che fosse.
Anche lui mi aveva ingannata...
Senza dire una parola, la indossai ed uscii, diretta verso la lavanderia dell'Edificio.
Non mi seguì.
Non ci speravo.
Non avevo idea di cosa avrei fatto, né di come avrei potuto combatterla, ma non me ne sarei restata lì ferma a guardare ed a piangermi addosso.
Questo era sicuro!
Arrivata davanti al palazzo, mi resi conto solo in quel momento di non essere mai andata così vicino alle sue mura.
Era enorme.
Guardai in alto.
Dava l'impressione che da lassù si piegasse leggermente in avanti per guardarmi: strano effetto...
Alla mia sinistra si trovava la scalinata di cemento che portava nello scantinato della lavanderia.
Andava giù nel buio, come due braccia scarne che ti vogliono ghermire nella loro fredda morsa.
Dovevo farmi coraggio e scendere, per i bambini, per mia figlia... e per me.
Scesi.
Sentii subito, dai primi scalini, quell'odore di marcio e putrido che mi riportò inevitabilmente a quella sera alla gelateria: l'odore di Isotta!!!
Non mi ero sbagliata, lei era lì.
Il locale era grande e freddo.
C'erano diverse lavatrici in funzione ma non c'era nell'aria odore di bucato.
Le finestre, con i vetri opachi, davano sul selciato ed erano protette da inferriate.
Non sentivo il suo tipico respiro affannato, eppure sapevo di non essere da sola.
Mi inoltrai nella stanza, in fondo alla quale c'era il montacarichi per la biancheria.
Tutto era stato costruito all'avanguardia con i tempi.
Non mancava nulla.
Anzi, c'era qualcosa di troppo.
Un cigolio improvviso mi fece sobbalzare.
Qualcuno aveva azionato il montacarichi che, ora, stava salendo ai piani superiori, lasciando sotto di se un vano buio e profondo.
Mi avvicinai.
Non riuscivo a vedere cosa ci fosse laggiù ma l'odore immondo era insopportabile.
Non avevo portato niente con me per fare un po' di luce.
Dovevo scendere là in fondo.
Non era poi così profondo... forse.
Un brivido freddo mi percorse il corpo.
Il terrore e l'angoscia si stavano impadronendo di me, rallentando i miei movimenti e la mia volontà.
Sudavo freddo, tremavo...
Fuggire?! Si, fuggire via da tutto, da Isotta, da quella città di devastati mentali, via, io e la mia bambina.
Si era quello che avrei fatto.
Mi voltai, piano, tornando in direzione delle scale.
Vedevo la luce, fuori che mi chiamava, una voce dolce e suadente, melodica e calda.
Si, via, per sempre.
Ma, appena saliti i primi scalini... il respiro... caldo... affannato... putrido... marcio... immondo...
... Isotta!!!
Il vano si era illuminato di rosso e il respiro veniva da lì.
Era tardi, ormai, non potevo più andarmene.
Dovevo affrontarla, così le andai incontro.
1°PIANO
Camminavo piano, tremante, sudata, forse verso gli ultimi attimi della mia vita, aspettandomi che, da un momento all'altro, la figura abominevole e orripilante coperta dal suo viscido sudario nero uscisse dal profondo vano buio e venisse a prendermi per bruciarmi, tagliarmi o chissà che altro.
Ma no, niente di tutto questo.
Mi avvicinavo, passo dopo passo, ma non succedeva niente.
Assolutamente niente.
Ora ero lì sopra.
In piedi, inerme e indifesa, di fronte alla potenza dei secoli.
Niente.
Solo luce rossa e respiro.
Ma che cosa voleva da me quella strega schifosa e maledetta?!
Mi sporsi, guardai dentro.
Ora potevo vedere il fondo... c'erano segni... no c'era qualcosa... in rilievo... non vedevo bene... dovevo saltare... come avevo immaginato non era poi così profondo...
Saltai.
Sentii al tatto terra battuta, umida e qualcosa di metallico, parzialmente coperto dal tempo.
Le dita impazienti iniziarono a seguire i contorni dell'oggetto, togliendo la poca terra che lo ricopriva e capirono.
Una croce.
Una enorme croce, lì da chissà quanto tempo.
Dal 1603.
Né più, né meno.
Lì avevano bruciato Isotta.
Sui resti della sua stessa casa.
E lì erano le sue ceneri.
Non disperse in luogo consacrato, ma sigillate da un enorme croce.
Chi aveva fatto tutto ciò, era convinto che sarebbe bastato.
Sottovalutava i poteri di quella megera crudele!!!
Dopo i primi attimi di stordimento, ricordai: i capelli!!! Trovare i capelli!!!
Scavare.
Dovevo scavare.
Avevo bisogno di un badile, non potevo con le mani!!!
Mi arrampicai con facilità lungo il muro sconnesso della buca e arrivai in superficie.
La luce chiara, proveniente dall'esterno, mi accecò costringendomi a socchiudere gli occhi.
Quando riuscì di nuovo a mettere a fuoco, mi accorsi di non essere più da sola.
C'era una bambina lì con me.
Distinguevo bene i suoi contorni, ma non riuscivo a vederne il viso.
Mi guardava come fosse una bambola di pezza, in trance, senza espressione.
Feci qualche passo... no, non lei, non mia figlia!!!
La chiamai più volte, correndole incontro, con il terrore che dominava i miei sensi facendomi impazzire, gridando l'angoscia che sentivo con quanta voce avevo in gola ma, quando le fui vicino per prenderla e portarla lontano, fuori da lì, una raffica forte e puzzolente la fece volare via, là in aria dove non potevo arrivare.
Nello stesso istante, in tutto il suo antico splendore, con il suo corpo statuario e candido coperto dal nero e lucido sudario, sopra il baratro rossastro, fluttuava come una nera farfalla infernale, Isotta.
Il viso bellissimo, disegnava un ghigno soddisfatto mentre, sospesa a mezz'aria, teneva per mano la mia bambina, completamente catatonica.
Non avrei mai potuto bruciare i suoi capelli... mai!!!
Loro erano li dove dovevano essere, con il loro colore rosso infuocato, coprivano la sua testa come i serpenti coprivano quella di Medusa.
Mi inginocchiai, la implorai di non portarmela via, la pregai, le avrei dato tutto ciò che voleva in cambio!!!
Stupida, idiota, insignificante mortale!!!
Ciò che voleva era morto con lei tanti secoli fa...
Lui sapeva...
Sapeva che era figlio suo...
Suo e del peccato fatto donna...
Era meglio mettere tutto a tacere, con un bel rogo...
Lui non poteva...
Non voleva...
Non era possibile...
Con la sua risata stridente, che sembrava provenire direttamente dall'oltretomba, mi costrinse a tapparmi le orecchie e chiudere gli occhi, accasciandomi a terra.
Quando riuscii, finalmente, a guardare mentre ancora echeggiava la sua voce per tutto il seminterrato, un enorme vortice improvviso, la risucchiò nel profondo oscuro inghiottendola insieme alla mia unica bambina!!!
Mi buttai dentro, sperando, ma l'unica cosa che riuscì a fare fu rompermi un braccio nella rovinosa caduta.
La buca era completamente vuota.
E buia.
Di nuovo.
Sparita anche la croce, se mai c'era stata...
Grattai la terra con le mani fino a che le mie dita iniziarono a sanguinare, urlai, gridai il nome di Isotta, implorandola di tornare!!!
Niente,
Buio.
E freddo.
Sentii il cigolio del montacarichi che scendeva di nuovo.
Restare lì e morire.
Ormai non avevo più motivo di vivere.
Il montacarichi scendeva, cigolante e pigro come un vecchio treno a vapore.
Sempre più grande, sempre più vicino.
No, dovevo vivere.
Poteva tornare.
Sarebbe tornata e mi avrebbe trovato ad aspettarla!
Mi scaraventai fuori appena in tempo.
Il montacarichi con un tonfo sordo entrò nel suo letto e tornò a dormire...
Isotta di Goffredo, accusata di stregoneria, catturata, torturata e bruciata viva nell'A. D. 1603, aveva come unica colpa quella di aspettare un figlio dall'Inquisitore del luogo.
Questo era costata la vita ad innocenti creature, figli, nipoti, pronipoti degli abitanti del paese, complici vigliacchi di una cosa tanto ignobile e orrenda...
E alla mia unica bambina.
... E non era ancora finita...
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