S'è talmente tanto ricchi d'ardore, quando si viene a sto mondo, ch'i pallettoni che si sparano per una vita intera se restassero accomodati dentro di noi, in fondo a noi, e per l'eternità, ecco, per un istante solo, quella sarebbe la felicità.
Chi poteva immaginarsela sta frenetica notte dopo una vita spesa bene, a dirla tutta, in verità, nella spensieratezza più spudorata. Spensieratezza. Una parola sola. E noi altri giovani a trastullarci è vero con quelle ambigue pollastre che la gente le chiama le compagne dell'amore, noi immersi inesorabilmente nella lotta contro l'altro sesso, noi liberi, rocciosi, eccezionali ed aperti a quella vita così scevra da contaminazioni. E che vita! Una vita che neanche il più felice degli uomini maturi poteva immaginarsi così perfetta.
La maturità è come una sorta di strana vasca vuota dove s'attaccano di sotto i residui calcarei della vita che scorre. Quella lordura è lo svuotamento, la perdita di motivazioni, l'annichilimento delle energie. Si finisce pian piano, quasi senza rendersene conto, in quel calderone così ostile e putrido che è l'anticamera della morte: l'età adulta. E allora vattene alla grande con quest'andirierivieni di routine, questa danza così macabra e proprio niente gioviale che è la vita quando si raggiunge una certa età. È questa la notte, l'insieme di paure e mancanza di motivazioni, la noia, la grossa noia, la grossa ed impervia noia che ti porta, nostro malgrado, dal paradiso della spensieratezza alla prigione della responsabilità.