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Ferro e Legno

FERRO E LEGNO

La discesa si apre all’improvviso all’incrocio di un lungo vialone che prosegue rettilineo per parecchi kilometri, uno dei tanti che delineano l’assetto stretto e lungo della città, non ho bisogno di chiedere informazioni, so benissimo dove andare, ed anche se non lo sapessi, ci arriverei lo stesso seguendo la processione dei camion.
Non c’è modo di sbagliarsi, sono a soli tre a quattro silometri dalla Piazza principale della città, ma sembra, svoltando l’angolo, di passare dalla normale realtà di una normale cittadina aquella di una disastrata periferia terzomondista, che potrebbe appartenere ad una qualsiasi metropoli Africana, o Sud Americana, ed invece appartiene alla parte più a Sud dell’Europa, quella che per molti è Nord Africa, e chissà…. forse è così.
Mi avvicino al gabbiotto all’entrata, c’è un vecchio dalla pelle di cartone dentro:
“Scusi, sono nuovo, dove devo andare per i tre mesi”?
“Avanti, segui u canaluni”
U canaluni non è altro che un fiumiciattolo immondo, di colore indefinito, costituito di liquami vari, sicuramente da grasso di motore e residui di gasolio, misto a chissà che altro.
A sinistra lo spiazzo dell’autorimessa con l’officina annessa, tanti camion in fila, la maggior parte palesemente fuori uso, alcuni meccanici che si aggirano tra di essi senza degnarli di attenzione, alcuni mezzi leggeri ai lati del vialetto che sto percorrendo, ed un paio di gabbiani tisici che mi volano sopra, c’è puzza di decadenza.
All’improvviso, misto al fetore, mi giunge in una piccola parte della narice un profumo agonizzante, familiare, destabilizzante, è iodio, allora realizzo che a non più di trenta metri da dove mi trovo c’è il mare, e che mia suocera mi raccontava che dopo la guerra, in questo stesso punto e per molti kilometri a seguire, si veniva a fare il bagno, e c’erano persino alcuni lidi, la gente usciva di casa e dopo cinque minuti era in spiaggia a guardare l’Europa.
Tutto questo prima che cominciassero a violentare la costa per innalzare le cattedrali industriali che hanno fruttato voti per generazioni ai politici e generazioni di pessimi politici alla gente.
Il flusso degli altri, (chi sono? Non riesco a guardarli), mi spinge, siamo davanti ad una casupola, entro…. c’è solo una scrivania da scuola elementare e due poltrone che forse, un tempo, sono state anche in grado di attrarre qualcuno dalla vetrina di qualche mobiliere, ma che oggi hanno assunto l’aspetto ed il colore di quella decadenza che avvelena l’aria.
Ci dividono a coppie, uno nuovo con uno di quelli di ruolo, aspetto che chiamino il mio nome.
Quando questo viene associato alla persona che mi deve istruire, all’inizio non faccio neanche molto caso a come sia fatto, e lui sembra già avere vissuto la scena mille volte.

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4 commenti:

  • francesco gallina il 29/07/2010 12:41
    grazie
  • Ivan il 29/07/2010 12:27
    Bel testo, anche se con qualche... frenata. Un'eccezioni nei lavori di Francesco ottimo narratore e maestro di parole.
  • Stella La Rosa il 17/06/2007 12:06
    Crudo, duro, con quell'accenno di sicilianità che non guasta; bello, mi piace. Bravo.

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