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Maristella
Maristella, i suoi genitori le avevano dato questo nome, perché avevano tanto pregato Maria, affinché facesse loro il dono di una figlia, dopo tre maschi, e Stella, perché alla sua nascita, le vollero augurare una buona sorte..
Maristella, un nome da ragazzina tutta dolce, con movenze aggraziate e fare ammiccante.
Ti trovavi di fronte un visino simpatico, un po’ da topolino, gambe forti e muscolose e un bel seno in evidenza.
Lo sguardo era deciso, anche se raramente diretto.
Maristella si era resa conto verso i quattordici anni di essere un filino diversa dalle sue coetanee e anche forse da come l’avrebbero voluta i suoi genitori.
Non era stato facile capire cos’era, non era solo questione di gusti; non le piaceva agghindarsi il sabato sera e non sentiva il cuore battere forte per il ragazzino più carino del paese; però pensava che forse doveva solo provarci con più convinzione, o solo non era ancora il momento.
Giovanni e Wilma, i suoi genitori, pensavano invece che fosse tutta colpa di quei “masciuss”, quei tre fratelli maschi che Maristella tanto adorava.
Quindi avevano provato a dare qualche consiglio a Maristella, che lei ubbidiente cercava di mettere in pratica; aveva provato a truccarsi, a scegliere dei vestiti un po’ più femminili, a comprarsi scarpe con il tacco, ma non era servito a un granché.
Non si sentiva a suo agio, era goffa e imbranata.
Lunghi ed estenuanti giri in bicicletta in tuta e scarpette da ginnastica la facevano sentire bene.
Spesso incontrava Tommaso, un ragazzone grande e grosso, che aveva la sua stessa età, un po’ impacciato e timido, ma con lui si sentiva completamente a suo agio. Insieme facevano delle lunghe gare in bicicletta, fino ad arrivare al fiume a cercare tane di animali.
Maristella si metteva in competizione con Tommaso a chi era più
coraggioso, a chi riusciva per primo ad afferrare una salamandra con le mani. Non si tirava mai indietro; Tommaso d’altro canto aveva con lei un atteggiamento protettivo e forse era anche segretamente innamorato di questa ragazzaccia.
Qualche volta anche lei aveva pensato probabilmente che con Tommaso sarebbe stato possibile qualcosa in più, aveva persino pensato di provare a baciarlo, ma poi, quando erano insieme, il gioco, l’avventura avevano il sopravvento.
Questo era il tempo delle scuole medie, quando tutto sembrava ancora possibile e niente era preso troppo sul serio.
Ci si poteva considerare ancora dei bambini e le scelte erano lontane.
Alle scuole superiori le cose si fecero più difficili; le scorribande con Tommaso più improbabili, anche perché lui aveva urgenze che lei non riusciva più a contenere e forse neanche a capire.
Iniziò pian piano a isolarsi, si sentiva strana con le amiche e anche loro non si sentivo tranquille con lei. Non c’erano discorsi che la interessavano ed era sempre più difficile trovare delle cose da fare insieme.
Con i ragazzi era più facile, fin che si trattava di sport o anche di una gara di rutti, ma poi loro cercavano quelle carine, con cui fare i galletti.
Maristella però non si sentiva emarginata, si sentiva forte e soprattutto pensava di avere tempo. Aveva molta fiducia nel fatto che il tempo e la pazienza l’avrebbero aiutata. Aveva la fiducia e la calma che le venivano da Giovanni e dalla Wilma, i suoi genitori contadini. Sapeva che avrebbe trovato la sua strada, senza fretta.
Poi, pian piano aveva capito, anche se ci aveva messo del tempo a confessarlo anche a se stessa: non era facile avere questo tipo di dubbi, anche perché non sapeva con chi confidarsi. Talvolta era spaventata e soprattutto aveva paura di allarmare o far preoccupare gli altri.
La certezza l’aveva avuta un giorno in palestra.
Una ragazza, Michela, molto carina, con la quale aveva istaurato una buona amicizia, le si era avvicinata e con la mano le aveva sfiorato la schiena. Erano in palestra, durante l’ora di ginnastica. Tutte e due avevano pantaloni di tuta ed una maglietta sottile.
Il gesto era solo casuale e di estrema confidenza, fra amiche, ma lei aveva sentito il calore della mano di Michela sulla sua pelle, attraverso la maglietta e aveva provato un grosso turbamento. Si era girata per nascondere il calore che le arrossava le guance. Aveva sentito anche uno strano crampo partirle dalla pancia, e con una scusa era corsa a nascondersi in bagno.
A Michela, che voleva seguirla preoccupata, aveva poi dato spiegazioni vaghe su un improvviso dolore mestruale, ma per lei era finalmente chiaro, anche troppo, che quel semplice gesto tra amiche aveva scatenato un’enorme bufera.
Quel gesto le aveva fatto scoprire tutta la dolcezza di teneri gesti tra donne.
Era stata tentata di raccontare tutto a Michela, la sapeva intelligente e discreta e sapeva che avrebbe anche capito, ma non voleva turbarla e quindi cercò sempre di non dimostrare quanta tenerezza le facesse nascere dentro.
La palestra, che così chiaramente le aveva fatto capire chi era, divenne col tempo il suo lavoro.
Decise infatti che era un posto bello, dove anche lei, con la sua timidezza avrebbe potuto avvicinare molte donne, senza per questo sentirsi a disagio. Divenne istruttrice di educazione fisica e si avvicinò soprattutto alle arti marziali, di difesa, dove il contatto fisico era non solo normale, ma obbligatorio.
Maristella aveva infatti conservato la sua timidezza, non ostentava mai atteggiamenti equivoci, anche se in lei tutto era profondamente chiaro: provava una profonda attrazione per le donne, ma allo stesso tempo un grande rispetto. Le bastava averne l’amicizia e la confidenza, senza mai urtarne la sensibilità.
Le era capitato con qualcuna, di avere chiara la percezione che qualcosa in più sarebbe potuto accadere; allora, con pazienza e dolcezza, iniziava a corteggiarla, senza fretta, lasciandole tutto il tempo che le serviva per maturare un’idea a volte così lontana.
Se anche poi tutto finiva, Maristella rimaneva serena, conservando il ricordo dell’amore passato come un regalo prezioso.
Non pretendeva di più; si accontentava di quanto riusciva ad avere senza troppi progetti.
Continuava a vivere con Giovanni e la Wilma che avevano capito, ma continuavano a sperare che un giorno un bel giovanotto le facesse cambiare idea. Le volevano bene, era la loro stellina.
E se il tempo, tra un amore e l’altro, diventava troppo lungo e l’energia accumulata troppo grande, Maristella andava nei campi con il padre Giovanni e zappava, zappava facendosi venire i calli alle mani.
Maristella
Maristella, i suoi genitori le avevano dato questo nome, perché avevano tanto pregato Maria, affinché facesse loro il dono di una figlia, dopo tre maschi, e Stella, perché alla sua nascita, le vollero augurare una buona sorte..
Maristella, un nome da ragazzina tutta dolce, con movenze aggraziate e fare ammiccante.
Ti trovavi di fronte un visino simpatico, un po’ da topolino, gambe forti e muscolose e un bel seno in evidenza.
Lo sguardo era deciso, anche se raramente diretto.
Maristella si era resa conto verso i quattordici anni di essere un filino diversa dalle sue coetanee e anche forse da come l’avrebbero voluta i suoi genitori.
Non era stato facile capire cos’era, non era solo questione di gusti; non le piaceva agghindarsi il sabato sera e non sentiva il cuore battere forte per il ragazzino più carino del paese; però pensava che forse doveva solo provarci con più convinzione, o solo non era ancora il momento.
Giovanni e Wilma, i suoi genitori, pensavano invece che fosse tutta colpa di quei “masciuss”, quei tre fratelli maschi che Maristella tanto adorava.
Quindi avevano provato a dare qualche consiglio a Maristella, che lei ubbidiente cercava di mettere in pratica; aveva provato a truccarsi, a scegliere dei vestiti un po’ più femminili, a comprarsi scarpe con il tacco, ma non era servito a un granché.
Non si sentiva a suo agio, era goffa e imbranata.
Lunghi ed estenuanti giri in bicicletta in tuta e scarpette da ginnastica la facevano sentire bene.
Spesso incontrava Tommaso, un ragazzone grande e grosso, che aveva la sua stessa età, un po’ impacciato e timido, ma con lui si sentiva completamente a suo agio. Insieme facevano delle lunghe gare in bicicletta, fino ad arrivare al fiume a cercare tane di animali.
Maristella si metteva in competizione con Tommaso a chi era più
coraggioso, a chi riusciva per primo ad afferrare una salamandra con le mani. Non si tirava mai indietro; Tommaso d’altro canto aveva con lei un atteggiamento protettivo e forse era anche segretamente innamorato di questa ragazzaccia.
Qualche volta anche lei aveva pensato probabilmente che con Tommaso sarebbe stato possibile qualcosa in più, aveva persino pensato di provare a baciarlo, ma poi, quando erano insieme, il gioco, l’avventura avevano il sopravvento.
Questo era il tempo delle scuole medie, quando tutto sembrava ancora possibile e niente era preso troppo sul serio.
Ci si poteva considerare ancora dei bambini e le scelte erano lontane.
Alle scuole superiori le cose si fecero più difficili; le scorribande con Tommaso più improbabili, anche perché lui aveva urgenze che lei non riusciva più a contenere e forse neanche a capire.
Iniziò pian piano a isolarsi, si sentiva strana con le amiche e anche loro non si sentivo tranquille con lei. Non c’erano discorsi che la interessavano ed era sempre più difficile trovare delle cose da fare insieme.
Con i ragazzi era più facile, fin che si trattava di sport o anche di una gara di rutti, ma poi loro cercavano quelle carine, con cui fare i galletti.
Maristella però non si sentiva emarginata, si sentiva forte e soprattutto pensava di avere tempo. Aveva molta fiducia nel fatto che il tempo e la pazienza l’avrebbero aiutata. Aveva la fiducia e la calma che le venivano da Giovanni e dalla Wilma, i suoi genitori contadini. Sapeva che avrebbe trovato la sua strada, senza fretta.
Poi, pian piano aveva capito, anche se ci aveva messo del tempo a confessarlo anche a se stessa: non era facile avere questo tipo di dubbi, anche perché non sapeva con chi confidarsi. Talvolta era spaventata e soprattutto aveva paura di allarmare o far preoccupare gli altri.
La certezza l’aveva avuta un giorno in palestra.
Una ragazza, Michela, molto carina, con la quale aveva istaurato una buona amicizia, le si era avvicinata e con la mano le aveva sfiorato la schiena. Erano in palestra, durante l’ora di ginnastica. Tutte e due avevano pantaloni di tuta ed una maglietta sottile.
Il gesto era solo casuale e di estrema confidenza, fra amiche, ma lei aveva sentito il calore della mano di Michela sulla sua pelle, attraverso la maglietta e aveva provato un grosso turbamento. Si era girata per nascondere il calore che le arrossava le guance. Aveva sentito anche uno strano crampo partirle dalla pancia, e con una scusa era corsa a nascondersi in bagno.
A Michela, che voleva seguirla preoccupata, aveva poi dato spiegazioni vaghe su un improvviso dolore mestruale, ma per lei era finalmente chiaro, anche troppo, che quel semplice gesto tra amiche aveva scatenato un’enorme bufera.
Quel gesto le aveva fatto scoprire tutta la dolcezza di teneri gesti tra donne.
Era stata tentata di raccontare tutto a Michela, la sapeva intelligente e discreta e sapeva che avrebbe anche capito, ma non voleva turbarla e quindi cercò sempre di non dimostrare quanta tenerezza le facesse nascere dentro.
La palestra, che così chiaramente le aveva fatto capire chi era, divenne col tempo il suo lavoro.
Decise infatti che era un posto bello, dove anche lei, con la sua timidezza avrebbe potuto avvicinare molte donne, senza per questo sentirsi a disagio. Divenne istruttrice di educazione fisica e si avvicinò soprattutto alle arti marziali, di difesa, dove il contatto fisico era non solo normale, ma obbligatorio.
Maristella aveva infatti conservato la sua timidezza, non ostentava mai atteggiamenti equivoci, anche se in lei tutto era profondamente chiaro: provava una profonda attrazione per le donne, ma allo stesso tempo un grande rispetto. Le bastava averne l’amicizia e la confidenza, senza mai urtarne la sensibilità.
Le era capitato con qualcuna, di avere chiara la percezione che qualcosa in più sarebbe potuto accadere; allora, con pazienza e dolcezza, iniziava a corteggiarla, senza fretta, lasciandole tutto il tempo che le serviva per maturare un’idea a volte così lontana.
Se anche poi tutto finiva, Maristella rimaneva serena, conservando il ricordo dell’amore passato come un regalo prezioso.
Non pretendeva di più; si accontentava di quanto riusciva ad avere senza troppi progetti.
Continuava a vivere con Giovanni e la Wilma che avevano capito, ma continuavano a sperare che un giorno un bel giovanotto le facesse cambiare idea. Le volevano bene, era la loro stellina.
E se il tempo, tra un amore e l’altro, diventava troppo lungo e l’energia accumulata troppo grande, Maristella andava nei campi con il padre Giovanni e zappava, zappava facendosi venire i calli alle mani.
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