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La conoscenza emozionale

Percepire la realtà come se modellata sulla superficie emozionale, regione dalla grana più grossa e volubile di quella della logica. La maschera non aderirà perfettamente, resteranno interstizi, spazi d’aria, spiragli di fantasia. Saranno intercapedini di creatività, dove l’estro potrà inventare la propria esperienza.

In quella sottile differenza
che separa la notte dall’aurora e il tramonto dalle tenebre
la fertile penombra crea il folle movimento dell’immaginazione
vivace espressione dell’esistenza.

La superficie emozionale è un terreno accidentato e irregolare, sembra un campo arato di recente, dove il vomere massiccio dell’emozione squarciando la terra ha lasciato dietro di sé pesanti zolle ribaltate. L’aratro solcando il suolo ha portato aria dove a regnare era il buio. Ma ora, che ogni zolla giace beatamente in panciolle a prendere il sole, il venticello sostiene le capriole dei passeri che svolazzano alla ricerca dei piccoli insetti terrestri e clandestini venuti alla luce. E si respira il movimento, l’odore è quello del chiuso che si mescola al vento. E viene da aprire il torace e riempire i polmoni. Camminiamo, stando attenti a dove mettere i piedi per non prendere storte alle caviglie. Mettiamo i piedi sulle punte dei piccoli iceberg d’argilla, quasi volendo sempre rimanere sulla cresta dell’onda. Di qui non si perde mai di vista la linea dell’orizzonte e la brezza non finisce di scompigliarci i capelli. I meticolosi piccoli passi, a prenderci la mano, diventano saltelli e per obliquo si risale il pendio. Allora, da lontano, quelli che prima erano grumi irregolari adesso paiono rughe e increspature, poi graffiti, ora scampoli di stoffa colorata. La conoscenza logica cede il passo all’esperienza emozionale. Con il calare del sole crescono le ombre e macchie di nero tacitano nuovamente le radici appena emerse. Al tramonto però brillano anche le piccole pietre dalla lucidità metallica che sono venute alla ribalta dopo la rivoluzione. Reclamano la loro visibilità, la ottengono, anche se effimera dura il tempo di un passo e la fugacità di un’occhiata. Poi l’angolo cambia e rientrano nel loro silenzio discreto. Sono quelle scintille sporadiche che assomigliano tanto alle stelle cadenti. Appena le si è viste viene subito il dubbio sulla loro fulminea esistenza. Sono come i dejà vu, impongono un alt; a volte anche un passo indietro. Se non altro per ripassare in rassegna velocemente le diapositive archiviate dalla nostra memoria, o magari per controllare se ci siamo dimenticati qualcosa, anche un dettaglio potrebbe inceppare il cammino. O aprire una porta su un altro campo di un’altra vallata, voglio dire, un particolare potrebbe far ricordare un tempo diverso da quello presente o invece far pensare ad uno spazio vicino nella memoria ma distante miglia e miglia da noi. Varrebbe comunque la pena di seguirlo, farsi portare per mano da quel dettaglio intraprendente che si è preso la briga di farci da Virgilio nei nostri pensieri. Ritroveremmo quella superficie granulosa sulla quale camminiamo, vedremmo le zolle rivoltarsi continuamente, assumere forme nuove come fossero di plastilina. Colorarsi di giallo ad un nostro sorriso e appiattirsi nei momenti di noia. Accade in alcuni nostri sogni di vivere ciò che si desidera, o forse semplicemente ciò che si crede di desiderare, ma fa lo stesso. E allora una zolla di terra diviene una balla di fieno su cui salire e poi saltare per spiccare il volo. Ci si ritrova in un baleno fra le nuvole a guardare i campi arati. La terra gira e noi fermi nel cielo guardando trascorrere quella distesa rugosa e le colline, poi i boschi e le montagne che quasi si sfiorano con le dita e poi il mare, che non finisce più. È più semplice che diventi un lenzuolo steso, di quelli che, sventolando appesi ad asciugare sui fili dei balconi dei paesi, diffondono il profumo del sapone nei vicoli stretti dei quartieri popolari. Se poi corriamo giù verso i tetti rossi e i loro comignoli, se si sarà fatto inverno, avremo il fumo negli occhi e in bocca il sapore forte e denso della legna bruciata nei camini. Se invece aspetteremo, i paesi passeranno e i lenzuoli sarà più difficile vederli vibrare al vento; vento che, risalite le curve delle colline in fiore, lascia il polline rubato ai petali sui tessuti di flanella stesi a seccare velandoli di un giallo tiepido. Vedremo probabilmente linee e spigoli salire verso di noi. Prismi più o meno alti cercare il sole. La città; con le sue formiche in automobile impegnate a inseguire il tempo. Anche qui il sole compiendo il suo arco farà delle ombre dei grattacieli le sue lancette. A inseguire con l’immaginazione un particolare rincorrendolo fra quegli interstizi di quella superficie emozionale dalla grana grossa, si respira l’aria che circola fra il mantello ben ordito della realtà e il corpo ruvido delle emozioni. Ci si rende conto della ricchezza delle opportunità, che quel saltellare brioso ma sempre vigile da una zolla all’altra, offre rispetto al cammino uniforme della pianura, che senza alcun sobbalzo finisce per assopire gli entusiasmi.

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2 commenti:

  • c m il 17/07/2008 14:58
    non ho ancora focalizzato cosa
    ma c'è qualcosa in quel che scrivi
    che proprio mi piace

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