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mio padre

Di mio padre so, in ordine:

che quando giocava a calcio (un ottimo incontrista, secondo la definizione tramandatami) giocava assieme a degli avanzi di galera;

che, quando non giocava a calcio, veniva considerato un figòn, le scarpe a stivaletto, i capelli neri sciolti e lunghi sulle spalle e uno sfiancatissimo cappotto viola;

da bambino, quando ancora abitava in Libia e andava a scuola, durante le lezioni di lingua araba si nascondeva sotto il banco;

tornato in Italia, spese la sua gioventù tra vetrai e osterie, dopo il lavoro infatti partiva la ricerca, lungo il canale Camuzzoni e le vie di borgo Milano, per trovare e riportare a casa suo padre, che qualche anno dopo sarebbe morto in ospedale di cirrosi epatica;

portava sempre un fazzoletto di tela nella tasca destra dei pantaloni, un fazzoletto diverso per cadaun paio di pantaloni;

e che, per più di trent’anni, si è fatto imbottigliare il vino da una e unica, sola cantina sociale, a Pedemonte, il paese dov’era nato e dove saliva a prendere il vino suo padre.

credo sia tutto.

Le una di notte, m’allungo sotto le coperte e m’addormo. Ho appena terminato la rilettura di “Mio Padre”, un ottimo racconto e breve di Raymond Carver. Mia sorella ha varcato la soglia da qualche istante ma sono davvero troppo indolenzito perché possa alzarmi per augurarle una dolce notte.
Gli occhi si chiudono. Poi un inatteso trambusto, qualcuno telefona, si, una voce femminile che parla e dice, ritmicamente, scandendo, numero e indirizzo della nostra abitazione. Papà. Vorrei poter chiudere anche le orecchie.
Papà.
È davvero singolare come una persona possa aspettarsi cosa succederà, t’immagini luoghi e situazioni. Ero pronto, avevo creduto succedesse in ospedale, quanti?, quaranta giorni fa. Non riuscivi a respirare era notte ed eri parecchio agitato. Tenevi gli occhi sbarrati chiedevi aria ma io non te ne potevo dare di più. Avevo previsto con sadica precisione una tua crisi di respiro, l’ora, il giorno, i minuti d’agonia. Da quando eri tornato a casa non aspettavo altro che. Riportarti di corsa in ospedale, i tubi, tanti tubi e tubicini, flebo e tu che guardi sempre meno verso i miei occhi e sempre più nel vuoto davanti a te.
Invece.
E invece mi precipito sudato in salotto, indosso già le sneakers ai miei piedi. Le una e due minuti. Come?, ti guardo, stai sputando sangue. Accidenti, questa non me l’aspettavo.

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3 commenti:

  • laila il 28/02/2012 10:29
    Un racconto molto bello, forse perchè così amaramente vero, quando raccontiamo la realtà della nostra vita, questa autenticità traspare da ogni parola. un abbraccio
  • Giacomo Donelli il 03/04/2008 16:44
    complimenti, molto bella
  • Anonimo il 17/02/2008 15:11
    Il testo è scritto bene! Se sono parole gettate d'impulso ti faccio i miei complimenti ma se ci hai lavorato molto sopra rivivendo minuto per minuto ti consiglierei di non riviverle. Un'esperienza se NON CI DISTRUGGE CI RENDE PIù FORTI me riviverla non farà altro che farti male! ciao

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