racconti » Racconti fantastici » LE TESSERE DI JEREMY
LE TESSERE DI JEREMY
Come tutte le sere Jack il secondino preparò la cena per noi della sezione otto e come tutte le sere, ondeggiando nelle scodelle, la brodaglia ed il suo puzzo giunsero puntuali nel corridoio.
Non fosse bastato il cigolio tedioso del carrello portavivande te ne saresti accorto lo stesso per il fetore che saturava le celle in pochi secondi.
Jack si presentò davanti a noi e con maggior spregio del solito ci invitò a prendere le nostre razioni. «Mangiate bastardi! Ringraziate l'amministrazione che anche oggi ha pensato bene di mantenervi! Puah! » e sputò nella minestra con tutta la saliva che aveva in gola.
Come il taglio della fune proietta in avanti la catapulta, così quel suo gesto mi fece scattare verso di lui, urlante. Jack non fece neanche in tempo a passarsi il braccio sulla bocca per ripulirsi che già gli ero addosso, intorno al collo. Con le braccia protese come tenaglie lo afferrai e lo pressai con violenza contro il ferro arrugginito. Ringhiando come una furia, (mi raccontarono poi) cercai di far passare la sua testa nel piccolo spazio fra le sbarre della cella.
Riuscì a divincolarsi a fatica, aiutandosi con il suo manganello elettrico. Ci vollero dieci o venti scariche prima di convincermi a mollare la preda.
Duke, il mio compagno di cella, se ne stava nel suo angolo, come avesse già assistito a quella scena un milione di volte. Non si mosse neanche di un millimetro. Aveva l'aria imperturbabile di chi nella vita ha visto già tutto, anche più di una volta, conoscendo il finale di ogni storia. Non accennò un movimento neanche quando entrò Bob, l'altro secondino, brandendo la siringa e deciso a tutto pur di rendermi inoffensivo.
Quello che accadde negli istanti seguenti non lo ricordo. La memoria mi ripropone spesso brandelli di immagini indistinte. Duke non affrontò mai l'argomento; neanche Bob, con cui in seguito feci amicizia, riuscì mai a descrivermi la scena. Il risultato in ogni caso, fu sotto gli occhi di tutti: Jack giaceva a terra, supino. Avrebbe potuto guardare negli occhi il suo assassino se solo la testa non fosse stata girata innaturalmente verso il pavimento come per sorseggiare nella pozza di sangue che la circondava.
Mi risvegliai nella cella d'isolamento, immobilizzato. La mia condanna era stabilita.
Decisero che "Jeremy doveva essere soppresso".
Ricordo bene l'inizio della mia prigionia al campo. Fu alcuni mesi fa.
Mi beccarono al tramonto, mentre tornavo al villaggio insieme a mio padre, di ritorno da una caccia. Quegli infami ci sorpresero e cademmo nell'imboscata. Per lui non ci fu scampo e lo vidi cadere sotto il grande albero, mentre mi portavano via, legato e imbavagliato.
Ancora oggi non trovo ragione per quella brutalità. Non che io mi ritenga uno stinco di santo ma ciò che mi colpì fu l'accanimento e la ferocia con cui gli aguzzini mi separarono per sempre dalla mia famiglia e dalla mia terra.
Arrivai al campo che era notte fonda, dopo aver viaggiato ore, forse giorni, ammaccato, segregato, affamato. Mi scaraventarono nell'ultima cella, in fondo al corridoio del settore otto. Dopo qualche tempo, a fatica, cominciai a percepire il luogo in cui mi trovavo. Aprii gli occhi, come due fessure, ancora tumefatti e dolenti.
Non dimenticherò mai ciò che vidi. Tratteggiato dalla fioca luce della cella, riconobbi il profilo di un mio simile, seduto sul tavolaccio. A giudicare dall'aspetto avevamo molto in comune, ma ci separavano decenni. Non fu l'aspetto fisico che mi convinse, quanto l'atteggiamento sereno e compassato che quel tipo aveva mantenuto al mio arrivo.
«Benvenuto al campo, amico » - mi disse.
«Ho visto altri trattati molto peggio di te. Tutto sommato non devi averla fatta troppo grossa. Mi ricordo di un tizio che dopo la "cura" non ricordava più quale fosse il proprio nome e neanche da dove venisse. Tu per esempio di dove sei?»
La testa mi faceva molto male e di rialzarsi neanche a parlarne. Prima ancora che riuscissi a comporre una risposta il personaggio sulla tavola riprese:
«Mi chiamo Duke. Imparerai presto a sopravvivere. Togliti subito dalla testa di provare a fuggire. Molti hanno tentato e molte sono le tombe qui fuori. Quindi abituati perché questa sarà la tua nuova casa, per moltissimo tempo. »
Quelle parole mi risuonarono in testa per alcuni minuti, nel silenzio della cella. Poi crollai nuovamente faccia a terra.
Mi risvegliai e Duke mi disse che avevo dormito per un giorno intero. A guardare la scena che mi si presentò riaprendo gli occhi non ci avrebbe creduto nessuno: tutto era esattamente identico al giorno prima, anche l'espressione del mio compagno di cella. Accadde altre volte. Mi addormentavo, mi risvegliavo, ma tutto intorno a me pareva rimanere immobile. Il tempo scorreva, lento, inesorabile. Le giornate, tutte uguali l'una all'altra erano scandite dallo spegnersi ritmico delle luci del corridoio. L'alternarsi di luci gialle diurne e azzurrine notturne sostituì il naturale ciclo del sole. Imparai a conoscere Duke, sempre più in profondità. I nostri dialoghi duravano ore, interrotti solo dal rancio o da quel bastardo di Jack. Perché una persona mostrava così tanto odio verso di noi? Ogni suo gesto, ogni sua parola, sembrava indirizzare verso di noi rancore e cattiveria. Non era così per Bob, il collega di Jack. Capii subito, al primo sguardo, l'abisso che esisteva fra i due. Jack era orgoglioso, pieno di se, sacerdote del proprio ego. Bob, disponibile, comprensivo, gentile. Con Bob, che non parlava la mia lingua, riuscii in seguito a dialogare facilmente. A differenza di Jack, lui era un animo veramente nobile. Il lavoro purtroppo, lo portava a fare cose che odiava, ma si doveva pur vivere e Bob non faceva che il proprio mestiere.
Ogni tanto Bob mi portava in un'altra cella e lì iniziammo a conoscerci meglio. Subito fu difficile ma poi in poco tempo la nostra intesa crebbe. Non fu solo una questione tecnica. Avevamo una sintonia ed un'affinità che pochi altri al villaggio mi avevano mai manifestato.
Per tutti quanti Bob era un carceriere, non per me.
Diventammo molto amici, confidenti. Fu anche per questo motivo che Jack iniziò a disprezzarmi sempre di più. Il sentimento fu senz'altro corrisposto, ma credo che per intensità e costanza nel manifestarlo Jack mi superasse di molte lunghezze.
Più il tempo passava e più maturava la mia idea di fuggire. Non sapevo con certezza quando o come ma ero certo che avrei lasciato Duke, Bob e Jack al loro destino. La mia vita non poteva terminare in quell'angolo di mondo.
Ne parlai spesso con Duke. Credete mi abbia mai sostenuto? Il modo in cui mi osservava, mentre esponevo i miei propositi era unico e indescrivibile.
Mi guardava come se avessi appena detto che una mela, lasciata cadere, non sarebbe caduta in basso ma avrebbe fluttuato libera nell'aria. La sua bocca, serrata in una specie di ghigno, non proferiva parole. Duke parlava con il corpo. E con il corpo mi urlava: «sei un illuso, lascia perdere, tutto impossibile! »
Venne addirittura un giorno in cui, preso dalla foga, aprii quella bocca e quel ghigno a suon di pugni. Ma lui niente! Si sciacquò nel catino, si ricompose, si rimise a sedere, ritornò in un istante il Duke di qualche minuto prima, null'altro.
Dopo tante sfuriate la mia voglia di convincerlo si spense. Fu molto più costruttivo prendersela con il muro e con l'intonaco cadente. Tutto intorno a me si stava perdendo in un monotono e uniforma colore grigio.
Ma venne il giorno in cui conobbi Flo. In quei pochi istanti mi parve che il tempo, fino allora assopito si fosse improvvisamente rianimato, come da un lungo letargo.
Quella mattina Bob, venne a prelevarmi e mi accompagnò alla sezione nove. Non mi spiego il perché ma poco importa: fui felice e non so dirvi quanto.
Rimasi solo con lei. Era seduta in un angolo, le gambe fra le braccia. Con rapidi movimenti degli occhi, bellissimi, mi scrutò per un momento che parve eterno. Poi, senza parlare, si alzò, mi venne incontro, prese la mia testa fra le sue mani e mi fissò negli occhi.
Non disse nulla, ma è come se lo avesse fatto. Non accadde altro, fu abbastanza. M'innamorai perdutamente di lei. In seguito Bob ripeté più volte quel rito meraviglioso e più volte fui nuovamente con lei. Imparammo a comunicare, sempre meglio, sempre più intimi, con maggiore passione. Ci svelammo lentamente l'uno all'altra prima come amici, poi fratelli, infine amanti. Non mancarono gli scontri. Flo impazziva di rabbia parlando di una ipotetica fuga. Sapeva che non ci sarebbe stata la benché minima possibilità. Aveva conosciuto altri, con la mia stessa frenesia che avevano trovato la pace appena fuori il campo, sotto qualche centimetro di terra. Tutto ciò che prima di Flo era schifo, ribrezzo, angoscia, dopo Flo era meraviglia, attrazione, serenità. Fu una notte fra le tante, sotto quella luce azzurrina, che Flo ed io ci donammo l'uno all'altra. Fu un'esperienza irripetibile, unica, anche se poi altre volte ripetemmo quel gesto. Questa estasi che pareva eterna terminò un giorno, quando Bob, a malincuore, mi dette la notizia che non avrei più rivisto Flo.
Ci volle tutta la pazienza e l'equilibrio di Duke per riportarmi alla ragione. Impiegò settimane, mesi, non so dirvi quanto, anche perché il signor Tempo riprese il suo sonno.
Poi venne il giorno dell'aggressione a Jack, ma di questo sapete già.
Oggi sono qui, steso in questa cella, in attesa dell'ultimo giorno, compagno di topi e umidità. Rimpiango Duke, le sue espressioni, la sua serenità.
Il tempo scorre, indefinito, lento, sempre uguale. Ho poca voglia di mangiare; a che serve ormai? Se mi lascio morire sarò io a deciderlo e non qualcun altro al posto mio.
Un ultimo gesto libero ecco cosa vorrei fare. Poter agire finalmente come, dove, quando pare a me! Poche volte nella vita ho agito in piena libertà. L'egoismo e la prevaricazione degli altri, il tuo amore verso chi hai a fianco, la natura stessa tutti ti impediscono di essere pienamente libero! Basta! Che si fottano tutti!
E fallo anche tu Jeremy, annientati annullati cancellati una volta per tutte da questo mondo. Hai forse qualche dubbio? Per i dubbi non c'è più tempo!
Silenzio. Ronzio. Luce azzurrina. Bob. Cibo. Sei lati da guardare e riguardare.
Su giù di lato. Tutto fermo e immobile, in un istante che contiene tutto!
Silenzio. Ronzio. Luce azzurrina. Bob. Cibo. Tutto è esattamente come ieri.
Riesci ancora a distinguere oggi da ieri? In questo niente senza suoni e dolore mi appare lei, con il suo sguardo intenso. Non importa se Flo è chissà dove, ma ora è qui! Ho aspettato giorni, ma ora posso vederla, posso sentirla, posso capirla! Di colpo perde senso la mia voglia di annichilirmi. In un unico fremito mi aggrappo alla vita, con tutto il mio essere. Il suo ricordo mi pervade, mi penetra, s'impregna nella mia carne, nelle mie ossa, si diffonde perdo significato c'è solo Flo.
Mi uccisero, ancora avvinghiato alla vita. Come una mano che partendo dal basso ti afferra al collo e ti trascina via, con calma, senza fretta, così l'iniezione letale mi condusse nell'abisso. Non un gemito. Non un dolore. Un grande Buio.
Dopo la mia esecuzione, la vita al campo continuò come se nulla fosse accaduto.
Le solite cose, sempre uguali, sempre identiche, una dopo l'altra ad inseguirsi senza tregua.
Bob il secondino fu licenziato. Mi dispiace Bob, credimi. I tuoi buoni propositi, i tuoi sani principi, la tua onestà, ora sai bene cosa puoi farne!
Ed il povero Duke? È ancora lì, fermo, impassibile, su quella tavola. Davanti ai suoi occhi stanchi sarà transitato l'ennesimo pazzo che credeva di cambiare il mondo. A breve altri sognatori come me si alterneranno a quel suo confessionale come una schiera di fedeli prima della Pasqua.
E Flo? Destinata ad un Circo. Una di quelle stramberie che gli uomini sono soliti creare. Uomini, esatto, come "qui" mi hanno insegnato a chiamarli. Fanno di tutto per convincersi di non essere animali. Eppure come me, come Duke, come tutti quelli che ho incontrato al campo, non sono altro che una specie particolare di animali. Capisco molte cose ora. Qui dove mi trovo non mi danno né felicità ne amarezza. Capisco e basta. Le cose Sono.
Non ho rimpianti tranne uno: l'amore di Flo. Ripenso alla sua tenerezza, quando seduta su quel ramo più alto della gabbia mi faceva perdere la ragione con le sue evoluzioni.
Probabilmente la incontrerò di nuovo e forse i suoi occhi mi guarderanno, ma senza vedermi. Cosa darei ora per poter stringere fra le mie braccia possenti e vigorose nostro figlio, Mathias.
Lo vorrei qui con me, per scaldarlo fra il mio pelo folto e rassicurante.
Vorrei anche rivedere mio padre e parlare con lui di tutto questo. Perché non mi parlò mai degli uomini? Perché non mi spiegò mai le diversità che ci separano? Forse anche lui, ingenuo ed illuso, ha vissuto per anni senza dubitare nulla? Neanche Duke, nella sua sconfinata saggezza, ha mai avanzato un sospetto, una perplessità. Nulla. Ai nostri occhi la sola diversità fisica non ha mai costituito problema. Esistenze eravamo, esistenze siamo. Che importa se amalgamate in modo diverso! Qui tutto è ricollocato nelle giuste posizioni. L'ordine delle cose è ristabilito. Differenti espressioni della materia e della chimica si ritrovano qui, riallineate, ricomposte, accomunate.
Tutti qui sono essenza. Niente ci divide ormai. In questa condizione attuale sento che potrò avere tutto: pace, libertà, conoscenza. Niente e nessuno potrà ridarmi però ciò che Flo riuscì a offrirmi. Senza nulla pretendere in cambio.
Una cosa, fra tutte, mi resterà sempre oscura. Perché quella doppia elica che ognuno di noi racchiude può renderci così diversi? Forse, vuole così il giocatore misterioso di questo domino infinitesimo. È solo un rimescolamento delle sue piccole tessere che ci fa nascere
. uomo o bestia.
12345
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
1 recensioni: