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Lettera da recapitare a “me” il 19 Novembre 1960

Ciao G, sono io, o meglio sei tu, oh insomma capiscimi, tu, oggi, ricevi questa mia da me, ma la ricevi da te stesso, inviata a te da te, dal futuro.
So che è da pazzi, ma fidati, sono io, cioè sei tu che parli a te stesso, ecco, ascolta:

domani mio padre, tuo padre, morirà, smetterà di strillare dal dolore quando la morfina cessa l’effetto, domani quest’uomo cesserà di spaventarti col suo aspetto di macabro avanzo di essere umano, trasformato e distrutto dal male che non perdona, domani proverai un senso di sollievo a non averlo più “fra le scatole” e mamma non ti dirà più “- vai a vedere se tuo padre ha bisogno di qualcosa?"“
non dovrai più avvicinarti timoroso, a quella stanza sempre in penombra, al puzzo delle medicine e della malattia, alla percezione del dolore onnipresente, tu, io, sparuto e timido bambino, domani “smetterò di sentirmi oppresso”.

Domani inizierai una nuova vita, be’ proprio “vita” non direi, però non sarai, non sarò mai solo; sai, nel corridoio, su quelle mensole in alto, puoi trovare tutta la compagnia che ti serve, ci sono decine e decine di libri, tutti rilegati, tutti con le copertine colorate e accattivanti, tutti allineati e in ordine ad aspettarti, su, fatti coraggio, avvicina una sedia al muro, salici sopra e col braccino steso potrai prenderne uno, uno a caso, e cominciare a leggerlo.

Non piangere G, non oggi, non domani, verrà, stà sicuro, il momento giusto per farlo, ma non adesso, non domani, con la casa invasa da parenti ed estranei, tutti che cercheranno di consolarti, consolarti di chè se in realtà tu sei contento, ed io lo so, di questa morte? Ma non devi avere orrore di te stesso, sono io che te lo chiedo, sei tu che te lo chiedi, e domani, seduto in un angolo fra l’armadio e il muro, prendi fra le braccia Micio, lui ti darà il calore che ti serve, tieni sempre gli occhi bassi, non consentire agli altri di leggere in essi, i tuoi sentimenti, pensa a qualcosa di lontano, di caldo, di luminoso, la spiaggia di Torregaveta per esempio, ecco, pensa al mare, alla sabbia, al sole, alle spalle scottate, le ginocchia sbucciate per le cadute durante le corse sulla sabbia, il sapore di sale sulle dita che ti metti in bocca; ecco, domani verrà, ma poi passerà, e comincerai il percorso che ti porterà a me, a te, adesso, o domani. Ciao G.

 

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6 commenti:

  • valeria Dugo il 01/10/2008 10:10
    bel racconto... brava
  • enrico ziohenry il 29/09/2008 19:01
    Sarebbe davvero bello se ci si potesse consolare da soli, donando a se stessi l'esperienza che trasforma il dolore in consapevolezza e la tristezza in fiducia. Sarebbe bello..., ma purtroppo ci dobbiamo accontentare di farci consolare da chi, a volte, lo fa solo per forma. In qualche modo bisogna pur crescere! Bel racconto. saluti, ziohenry
  • Maria Lupo il 29/09/2008 15:40
    L'ho riletta... alla luce del presente, mi commuove ancora di più.
  • Monica d il 29/09/2008 15:18
    Già questi sentimenti contrastanti sono ciò che di più vero c'è in queste situazioni. Bella la tua maniera di affrontare questo tema anche se un po' confusionaria ma forse anche la confusione ne fa parte.
  • Anonimo il 13/07/2008 19:55
    molto bella e toccante dal tuo inconfondibile stile. Mi piace molto la consolazione finale di quando dici di non avere orrore di questa strana contentezza perchè cmq non è una contentezza di gioia ma di pace. Bellissimo tema!
  • Maria Lupo il 29/06/2008 13:27
    Un'idea molto bella e un testo, più che commovente, straziante per la semplicità e la lucidità con cui arrivi fino in fondo al cuore di quel bambino di ieri - e di oggi, e di sempre.

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