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Ombre (prima parte)

La vetrina risplendeva di mille colori, e il nero del velluto si rifletteva sul bianco della seta lanciando ammiccanti occhiate agli acquirenti. Giacche, pantaloni, maglie di tutte le taglie sorridevano a coloro che passavano, immagini vaghe di sogni proibiti e forse troppo lontani per essere raggiunti. Il ragazzo stava in piedi sul marciapiedi, e le ombre che si proiettavano dalla vetrina s’incontravano sul suo corpo per disegnare forme incomprensibili agli occhi dei passanti; ma lui non se ne curava, forse nemmeno le vedeva, perso nei sogni dei vestiti che lo chiamavano, chiavi d’accesso ad un magico mondo di desideri e piaceri, piaceri che si concentravano in notti passate in una discoteca- il Karma- e lei che lo guardava e gli diceva mi piaci, ti voglio qui e subito e loro due uscivano insieme ed andavano a passeggiare sulla spiaggia, loro due soli, le mani che si sfioravano e allora non ci sarebbero stati né la spiaggia, né il traffico lontano che gridava né i pedoni che camminavano distratti e indifferenti ai pensieri altrui…solo loro due e lì, in riva al mare, il traffico che gridava ma era lontano, sotto una calma luna primaverile si sarebbero baciati e lei gli avrebbe detto- piano ma la sua voce avrebbe sovrastato il mare: “Ti amo”. Ma per tutto questo ci voleva il vestito, la macchina, l’ingresso per il Karma, e lui, mentre guardava la vetrina, pensava che ci dovesse essere un modo per procurarsi i soldi, e che chissà chiedendo a Trent forse ci sarebbe riuscito- e le ombre si allungavano, invadevano la strada che si riempiva sempre più di pedoni affrettati, con il sole calante che annunciava il sabato sera imminente- e per alcuni, per Eddy tra questi, anticipo della notte esplosiva di sogni, ambizioni e desideri che chissà se si sarebbero avverati.
Una macchina inchiodò, e Trent gettò il mozzicone di sigaretta dal finestrino prima di rispondere con un gesto annoiato al clacson che suonava dietro di lui “Perché ti sei fermato” strillò Lucky, abbassando il finestrino e gettando uno sguardo rabbioso nello specchietto retrovisore.“C’è Eddy - rispose Trent, indicando la figura ferma davanti alla vetrina della boutique. ”Hey, vedi di salire! Che cavolo stai a fare lì!”. Il traffico, bloccato dalla grossa mercedes nera, protestò con tutto il suo coro di clacson e trombe contro la sosta forzata. Il ragazzo sul marciapiede si girò, la mente ancora persa dietro pensieri che sarebbero rimasti segreti per tutti, e accennò un gesto di saluto. Strizzò gli occhi, poi quando riconobbe Trent si portò la mano al taschino e tirò fuori un pacchetto di sigarette. Con Trent aveva sempre fumato -non seppe perché fu questo il suo primo pensiero- e gli uomini non piangono, ma questo non centrava, chissà, e anche se aveva voglia di piangere doveva fare il duro, gli uomini non piangono per ciò che non possono avere, anche se sanno- in un attimo di intensa lucidità- che mai lo avranno- “Hey amico, che racconti, mi dai uno strappo fino a …” e la sigaretta fra le labbra da un’aria da duro, da persona sicura di sé. Eddy a dire la verità non era mai stato molto sicuro di sé, da quando era bambino e giocava in cortile con i suoi coetanei e non sapeva mai che fare, e a volte pensava che neppure Trent fosse molto sicuro di se, ma Trent era cresciuto ed era diventato alto, forte, piaceva alle ragazze, e le sue paure erano rimaste ombre che tormentavano i suoi pomeriggi da adolescente, lontani ricordi che il tempo aveva cancellato. Trent adesso aveva altri problemi, come quello di restituire tutti quei soldi a Rock, e non sapeva proprio come fare.

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