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Come sempre

Come sempre, si alzava la mattina. Poi prendeva il treno, tum tum tum si avvicinava al suo ufficio. Il viale alberato, le scale di marmo, un portiere Buongiorno in ascensore 5° piano chiavi porta entrare ufficio computer. Chi era lui se non un’appendice del suo computer. Poi c’era la segretaria, il postino, il magazziniere, il cane, il mercante, lo schiavo e il mercante di schiavi. Tutta gentaglia, pensava, senza un briciolo di fortuna da parte. Credeva che la fortuna si potesse conservare, accumulare, e poi spendere nei momenti di bisogno. In realtà non sapeva nemmeno cosa fosse la fortuna, non ne aveva mai avuto bisogno.
Cercava il sole dietro la finestra, il sole non c’era. Allora cercava una nuvola bianca soffice di cotone in cui farsi avvolgere, ma nuvole non ce n’erano. Solo un velo continuo fitto insistente di pallida nebbia grigiastra; sembrava di essere soli in una chiatta sul Nilo, cercare vita dove vita non ce n’è più, ormai da millenni. Eppure la vita c’è stata, in quell’ufficio, su quella chiatta, la vita una volta c’era. Ma dove è finita, forse sepolta da secoli di sabbia sottile che ha ricoperto ogni cosa ignara del delitto che stava compiendo. Siamo egiziani senza patria e senza passato.
A questo pensava mentre seduto alla sua scrivania, lentamente, scriveva. Con una penna antica quanto la sua stessa vita, un foglio nuovo come il suo sorriso e bianco come la luce bianca può essere, prendeva appunti su quello che avrebbe voluto dire. Tutto dipendeva da quel foglio, tutto dipendeva da lui. Non c’era possibilità di scelta, non c’erano mezzi per scappare, il giorno era venuto. Ascensore Buonasera il portone le scale. Di nuovo il treno, tum tum di nuovo il treno.
Una casa lontana che di sera aspetta il suo padrone; la vedi scodinzolare da lontano quando ti avvicini, ti salta addosso si strofina e quegli occhi, quegli occhi che solo una casa può avere, con quegli occhi ti guarda languidamente cercando in te quell’affetto che ha fin’ora atteso invano. E lo schiavo non c’è, perché la schiavitù non esiste da cent’anni.
E il mercante ormai vende bigiotteria.
Il sole tramonta (quale sole?) la luna si incunea nella densa fissa notte-budino. La fame ti spingerebbe ad assaggiarla, ad addentarla,
Nel giardino c’è un termosifone, e una foglia bruciata dal sole. Qualcuno lontano che guarda un tramonto sul mare, sul Tuo Mare, quel mare che ti prende e ti avvolge e fa parte di te. Un giorno quel posto non ci sarà più, ucciso da quel cancro che ha ucciso la persona che l’ha inventato, l’ha creato. Se devo morire, voglio morire così. E andarmene lentamente circondato da amore.
Tra quattro giorni sarà il tuo compleanno, lui ci sarà, lei ci sarà. Saranno entrambi distanti, di una distanza diversa ma ugualmente profonda. Uno nel cielo, lei sulla terra. E dal cielo arriverà il sorriso più bello, quello che allontanerà la nebbia e spezzerà l’incantesimo. Guardava sempre il cielo, sapeva che dietro la luna, il sole, forse dietro le stelle, o forse solo qualche centimetro sopra di lui, un Dio lo guardava, soffriva e sperava, approvava e confortava ogni cosa. Ognuno crede nei suoi dei. Quando uno di questi muore, non resta altro che amarlo.

 

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1 commenti:

  • Musa Alienata Inquietante il 28/06/2009 23:50
    Manca anche a me qualcuno che portava sole, dove sole non c'era. Tantissimi complimenti per questo racconto da addentare...

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