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La fine

La luce filtra sbilenca tra le assi di legno che formano quel cubicolo scuro che è il capanno degli attrezzi. Stano per aria come decine di lame bianche sospese nel nulla, sembrano tanto solide da poter tagliare la realtà se gli capita di passargli accanto. Dalla mia posizione posso ammirare il cappio che dondola tra loro, legato alla base della trave portante. Sembra quasi chiamarmi con voce invitante: vieni!
(Sei sicuro di volerlo fare?)
Oggi è una splendida giornata. Nel parco in cui lavoro come giardiniere ci sono tanti prati verdi e aiuole fiorite, famiglie e bambini che giocano felici.
(Non è ancora giunta la tua ora.)
- BASTA!
Il mio urlo rimbalza tra le assi, persino il cappio sembra colpito dalla sua forza che pare fargli aumentarne il rollio. La voce dentro la mia testa continua a parlare.
(Non sono stato io a decidere, nessuno a colpa )
- Certo, sono le stesse parole che ha usato il dottore per dirmelo non è colpa di nessuno.
Quel momento mi ritorna in mente con una forza dirompente, quasi sia ancora lì, in quell'ospedale, ad aspettare il responso della visita. La sala bianca, nell'aria un forte odore di medicinali, dovrebbe dare l'idea di pulito, invece riesce a rendermi ancora più stordito. Sui muri sono appesi poster d'anatomia umana, enormi scaffali pieni di scatole medicinali, una scrivania, un computer acceso, qualche sedie, il letto su cui sono sdraiato. La vita dalla visuale del malato non è piacevole, e fatta soprattutto di paura e apprensione. Il dottore entra con passo veloce nella stanza. Con un gesto della mano mi fa segno di rimanere sdraiato, bloccando sul nascere il tentativo di mettermi in piedi. Sembra molto giovane, potremmo essere quasi coetanei, ma il suo sguardo è spento, freddo in maniera innaturale, come se avesse visto cose capaci di spegnergli ogni emozione se non la rassegnazione.
- La sua TAC è uscita molto bene. Ora abbiamo un quadro abbastanza chiaro della situazione clinica. Come si sente ora?
- Meglio, ma il mal di testa continua a stordirmi.
- Capisco.
Le gelide premure che mi rivolgeva aumentavano ancor di più il disagio. Lo osservo armeggiare davanti ad un grande panello illuminato, appese lastre fotografiche di quello che dovrebbe essere il mio cervello.
- Guardi, proprio qui, nella zona occipitale destra. Questa è la causa del suo precario stato di salute: un tumore.
Quella parola è come una cascata gelata che mi travolge. Non so controbattere a ciò, né parole per definire il mio stato d'animo. Rimango in silenzio ad ascoltare.
- La situazione è grave. Un ipotetico intervento chirurgico può esserle fatale, in questi casi i trattamenti con chemioterapia sono i più indicati.
- Posso sperare in una guarigione?
- Può è deve, ma e giusto sapere che le sue probabilità di guarigione sono dieci su cento. Mi spiace! La signorina Matilde le saprà indicare tutte le terapie e i trattamenti previsti. In ogni caso è libero di fare ciò che vuole.

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