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giuseppe

Pure se accolte in trionfo alle splendenti porte del Cielo, da qualche tempo le anime beate dei palermitani giungevano in Paradiso con visi sempre più contriti.
Di ciò si dolse Gesù con Giuseppe per conoscerne il motivo.
Il sant’uomo un poco si schermì ma, che volete, a sentirsi appellare papino-papetto da quello che tante gliene aveva rifilate in terra e che qua ora gli era figlio neanche a metà, al buon vecchio gli si sciolse la cera di padre: “Vedi che c’è, figlio mio, da tanto in Sicilia neanche da morti i vivi hanno risetto”, e gli contò il come e il per la quale trovare riposo nei cimiteri comunali era diventato una Passione che pari solo il Golgota, forse.
Al sentir la sonata, al piccolo dio gli girarono le sante cose e, con un colpo di bacchetta, in quel bruscolo di creato che era Palermo di colpo si smise di morire.
Fu un bel vedere per i quasi eredi in attesa d’ereditare, per le quasi vedove in attesa di svedovare, per i casciamortari in attesa nelle sale d’attesa che non la finirono più d’attisare.
Al modo del gioco di Peralta, la morte era montata sull’albero e non ne intendeva scendere. Nonostante le tarme che salivano fuori dalle tasche degli eredi, del fuoco da sotto le gonne delle vedove e dei denari a chi di dovere pagati sottobanco dai casciamortari.
Come un cattivo odore, poco a poco, la notizia si propalò e non vi fu chi da ogni parte non accorresse a frotte: malati agli ultimi istanti, generazioni di sifilitici, ricconi decrepiti e canaglie d’ogni sorta decisi a prolungare l’onore di madre terra a tenerseli per figlietti.
In breve le vie della città erano un viavai di incartapecoriti, di vecchi con facce come scorze d’alberi, di strisce lunghe di cateteri, clisteri e bypass. Nel contempo ai camposanti i vivi fecero deserto, rinfrancati d’aver frapposto più che una morte tra loro e quegli altri; tanto che sulle cancellate gonfiavano le ruggini e s’aggrappavano edere prodigiose.
Al sindaco cominciarono a venire strette le scarpe: meno per i mascalzoni che respiravano l’aria della città senza neanche pagare dazio, più per i gentiluomini arricchitisi col malo stare d’un tempo che gli soffiavano sul collo fino a farlo sudare di freddo. Fu estratta, pertanto, fra costoro a sorte una delegazione, e questa se ne venne con i giusti conforti a morire fuor di capitale, in Bisaquino.
Non ci fu manco il tempo di mettere la libretta a turno sotto la barbaccia di Pietro che, grazie ai buoni uffici del solito santo in paradiso, si trovarono a rimostrare le lor cose faccia faccia al Gran Cospetto: che avvocati, che loquele, che dottor sottili, a sostenere e dimostrare con copia d’argomenti il “non lo fo per piacer mio” ma per garantire, e pure quassù celarono le proprie anime negre dietro la scusa del “garantire”, la giustizia negata al “diritto palese dei più deboli e degli ultimi alla ricompensa dei Cieli”.
Gesù, che non era certo asino da incavezzare, ad udire l’insolenza di quelle facce di bronzo con una scorreggia per canto suo le avrebbe volentieri spedite giù dal collega; ma cedette a Giuseppe che, impastato più da uomo che da dio, impetrò per i miserabili una soluzione.
Al buon vecchio a cui tra i sassi di Palestina i ragazzetti facevano lo gnecco correndogli dietro con sulla testa corna di bue, che dire, gli veniva specie a mostrarsi impietoso con i colleghi del genere mortale. E pure se ora gli giungeva l’occasione di togliersi qualche paglietta dai sandali e, una parola in più o in meno, quelli erano che belli e spacciati, gli spilli della fratellanza lo presero a punzecchiare sul sederino tondo e sodo di santo.
Fu così che, stupor mundi, a Palermo i morti freschi si cominciarono a fare piccoli piccoli piccoli, da entrarci due in un astuccio o quattro nelle uova di cioccolato.
Che il signor sindaco si vide recapitare per Pasqua col bigliettino “Gli auguri più sentiti”.
Firmato: Giuseppe

 

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2 commenti:

  • Sam Briacatu il 04/11/2010 23:10
    Cielo! quando al piccolo dio gli girarono le sante cose credevo di morir dal ridere... ma poi le vedove e le sale d'attesa me ne hanno dato certezza: sei un mito

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